Con la seconda stagione di Andor lo showrunner e sceneggiatore Tony Gilroy conclude la sua personale “trilogia di prequel” di Star Wars che comprende anche Rogue One – A Star Wars Story (di cui Gilroy è sceneggiatore) e, cronologicamente, si colloca immediatamente prima della trilogia originale. 

Ora che quest’opera è stata completata, è possibile riordinare e ampliare le riflessioni esposte dopo i primi due capitoli. Ne vale la pena perché, per quanto la vicenda di questi prequel sia perfettamente inserita nella sua cronologia e appartenga tecnicamente al canone tradizionale, dal punto di vista narrativo si tratta di un’opera davvero unica e per molti versi rivoluzionaria, specialmente all’interno dell’universo di Star Wars.

Dal fantasy alla fantascienza distopica

A partire da Rogue One e ancora più marcatamente con le due stagioni di Andor, infatti, l’operazione creativa di Gilroy è consistita nell’avvicinare la “galassia lontana, lontana” di George Lucas alla nostra. Si è verificato così uno slittamento dal genere del fantasy verso quello della fantascienza distopica. 

Per questa ragione l’aspetto più interessante della serie, e il focus principale della storia, non è tanto la singola vicenda del ribelle Cassian Andor, quanto la descrizione del contesto in cui si muovono il protagonista e tutti gli altri personaggi: la rappresentazione realistica e ricca di dettagli della macchina imperiale e del modo in cui i singoli individui si pongono rispetto al suo potere.

Diego Luna in Andor - Stagione 2
Diego Luna in Andor - Stagione 2

Quello che nella trilogia originaria di George Lucas era poco più che uno sfondo privo di profondità e di riferimenti storici coerenti, utile solo a riempire di suggestioni estetiche l’identità dell’Antagonista di una favola, nella storia raccontata da Gilroy emerge e diventa tridimensionale, acquista contorni definiti e chiari riferimenti non solo alla storia del Novecento e ai suoi regimi totalitari, ma anche all’epoca attuale. 

Anche per ragioni di spazio, questa rappresentazione era appena abbozzata in Rogue One: si coglieva nella breve apparizione del “campo di lavoro imperiale” in cui era reclusa la protagonista Jyn Erso, nell’oppressione materiale di Jedha da parte delle truppe di occupazione, nel parallelo visivo esplicito tra la distruzione della stessa Jedha e della base su Scarif sotto il raggio della Morte Nera e quella di Hiroshima e Nagasaki sotto le bombe atomiche.

Rogue One - A Star Wars Story
Rogue One - A Star Wars Story

Nella prima stagione di Andor il tema era ben più approfondito: il vero volto della dittatura imperiale era individuato nella depredazione delle risorse naturali del pianeta Aldhani e nella conseguente deportazione dei suoi abitanti raccontate nei primi sei episodi, e ancora nella descrizione dello sfruttamento senza fine dei detenuti nella prigione-lager di Narkina 5 negli episodi successivi.

Ghorman: La banalità del male

Ma è la seconda stagione, incentrata sulla distruzione del pianeta Ghorman e sul genocidio della sua popolazione, che svela in tutta la sua portata la mostruosità del regime di Palpatine. 

Ricordiamo tutti l’altro pianeta distrutto dall’Impero (cronologicamente, poco dopo Ghorman): in Una nuova speranza a essere spazzato via dalla galassia è Alderaan, pianeta natale della principessa Leia, con le sue “milioni di voci” a un tratto zittite. Il confronto tra le due rappresentazioni di eventi pressoché identici è rivelatrice. 

L’esplosione di Alderaan era mostrata quasi en passant e non aveva altra funzione narrativa se non quella di mostrare la potenza della Morte Nera e la capacità del Jedi Obi-Wan Kenobi di percepirne l’eco attraverso la Forza. Perfino Leia, che pure nella catastrofe aveva sicuramente perso molti suoi cari, non mostra mai di pensarci nell’intero arco della trilogia.

Andor
Andor

Al contrario, il racconto del tragico destino di Ghorman e dei suoi abitanti occupa gran parte dei dodici episodi della serie, e permette a Gilroy di affrontare con grande profondità una serie di temi cruciali e di straordinaria attualità. 

In primo luogo, gli autori ci danno modo di osservare nel dettaglio la capillare rete burocratica prima ancora che militare che, con vari gradi di responsabilità e di consapevolezza, viene utilizzata per mettere in atto la distruzione del pianeta. 

Dai vertici dei servizi di sicurezza imperiali fino ai grigi impiegati dell’Ufficio degli standard – un ente che sembra partorito direttamente dalla fantasia del Terry Gilliam di Brazil – la macchina imperiale che viene messa in moto per giustificare il genocidio dei ghormiani è un enorme mostro tentacolare che si muove lentamente ma inesorabilmente: dal momento in cui viene decisa a quello in cui viene attuata la distruzione del pianeta trascorrono non meno di tre anni di meticolosa preparazione. 

Pare assurdo, al confronto, che la disintegrazione di Alderaan sia stata decisa da un singolo gerarca, e ottenuta nel giro di pochi secondi semplicemente premendo un pulsante in una console. 

Il tempo necessario a realizzare l’ecatombe è inversamente proporzionale alla statura dei suoi responsabili. Con diverse sfumature, i funzionari imperiali che pianificano la distruzione di Ghorman e il genocidio dei suoi abitanti sono tutti lontanissimi dalla personificazione del Male incarnata dai villain della trilogia di Lucas. 

Andor
Andor

Ricordano molto di più l’ufficiale delle SS Adolf Eichmann de La banalità del male, di cui Hannah Arendt scrisse: Non era stupido: era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo.

Una descrizione che calza a pennello per il personaggio di Syril Karn, mediocre burocrate senza veri ideali la cui coscienza è metaforicamente rappresentata dalla figura grottesca della madre (altra citazione più o meno esplicita da Brazil), animato unicamente da un insulso zelo e da una patetica ambizione, totalmente incapace di rendersi conto di quanto accade realmente intorno a lui e del suo stesso ruolo nella rovina di Ghorman. 

Solo apparentemente più consapevoli di Syril, non fanno una figura (né certamente una fine) migliore di lui Dedra Meero e Lio Partagaz, ufficiale e Direttore dei Servizi di sicurezza imperiali, anch’essi in fin dei conti semplici ingranaggi della macchina imperiale, destinati a scomparire senza lasciare tracce.

Eppure – ed è precisamente questo l’aspetto spaventoso – è su simili mediocrità che basa il suo dominio il regime dittatoriale di Palpatine, proprio come è avvenuto sul pianeta Terra nel Novecento.

Ghorman, un genocidio “necessario”

Non meno rilevante e ricca di significato è la spiegazione delle ragioni che hanno portato al genocidio dei ghormiani. 

Se Alderaan era stato disintegrato per un’estemporanea (e anche per questo assurda) rappresaglia (Lo sapete? Voi avete determinato la scelta del pianeta che verrà distrutto per primo, spiega Tarkin alla principessa Leia un attimo prima di “premere il pulsante), la distruzione di Ghorman è motivata dalla calcolata necessità di estrarre un minerale che si trova al suo interno, indispensabile al regime per le sue proprietà energetiche. 

Addirittura – ci viene spiegato nel primo episodio della stagione – stante la complessità delle misure necessarie a giustificare all’opinione pubblica l’inevitabile massacro dei ghormiani (e non certo perché sia eticamente dubbio), gli scienziati imperiali cercheranno fino all’ultimo di sviluppare una tecnologia alternativa, e solo una volta che questi tentativi saranno falliti si procederà con i piani per estrarre la materia prima dal pianeta, che ne causeranno la disintegrazione.

Andor
Andor

In altre parole, il genocidio dei ghormiani viene presentato non come il capriccio di un pazzo, ma come la conseguenza “logica” – e per questo non meno ma più mostruosa – di una necessità economico-militare, funzionale alla salvaguardia del regime: proprio come il genocidio degli ebrei da parte dei nazisti. 

Ma il riferimento storico in questo caso, più ancora che all’Olocausto, è alle guerre contemporanee: quelle già in atto, e quelle futuribili che ci appaiono ogni giorno più vicine. Perché a giustificare il massacro è la volontà di accaparrarsi materie prime, letteralmente terre rare (così rare che esistono solo lì in tutta la Galassia). 

È proprio questa verosimiglianza, probabilmente, a farci apparire tanto terribile il volto dell’Impero galattico e a rendere tanto coinvolgente il racconto di Tony Gilroy.

Repressione e fake news: la “macchina del pensiero imperiale”

L’esistenza stessa di stati totalitari impone di interrogarsi su come sia possibile che regimi fondati sull’oppressione e sulla negazione della libertà individuale e collettiva possano reggersi e, per un certo periodo, prosperare al punto da sembrare “invincibili”. Sono state scritte migliaia di pagine su questo argomento a proposito dei totalitarismi del Novecento. 

Quanto all’Impero di Palpatine, prima di Andor, la questione era ferma a uno scambio di vedute all’interno dello stato maggiore imperiale all’inizio della trilogia originale. Alla notizia dello scioglimento del Senato imperiale, il generale Tagge chiede allibito Come fa l’Imperatore a mantenere il controllo senza la burocrazia?. Gli risponde il Grand Moff Tarkin: La paura terrà in buon ordine i sistemi locali. La paura di questa super arma offensiva, riferendosi alla Morte Nera finalmente ultimata.

Star Wars
Star Wars

Certamente la repressione militare-poliziesca (come noto, la differenza tra i due apparati è pressoché inesistente nei regimi totalitari) del dissenso è un elemento indispensabile, e infatti proprio nella “trilogia” di Tony Gilroy vediamo in concreto in che cosa consista. 

Ma da sola, la repressione del dissenso non è sufficiente. La seconda stagione di Andor, nel descrivere la rovina di Ghorman, affronta anche l’altro pilastro fondamentale del regime: la creazione del consenso. È quella che Nemik definisce, nel cruciale quinto episodio della prima stagione, la “macchina del pensiero imperiale” e che secondo l’autore del “Manifesto” rappresenta il vero segreto della repressione. 

Di fatto, l’intero piano elaborato dai servizi segreti imperiali per ordine del direttore Krennick consiste precisamente nel rendere la distruzione del pianeta accettabile per l’opinione pubblica (soprattutto quella del mondo-capitale Coruscant con le sue migliaia di miliardi di abitanti). 

Di qui l’esigenza di motivare pubblicamente la depredazione delle risorse naturali del pianeta con l’esigenza di approntare un “grande piano energetico” di cui dovrebbe beneficiare l’intera galassia, mentre in realtà il vero scopo, tenuto opportunamente segreto, è alimentare a Morte Nera.

Andor
Andor

Di qui, soprattutto, la necessità di suscitare con una serie di provocazioni gratuite un movimento insurrezionale tra gli abitanti di Ghorman, alimentarlo e dipingerlo come un movimento terroristico che attenta alla sicurezza della popolazione, fino al bagno di sangue scatenato dall’ennesimo incidente fasullo. 

L’obiettivo del regime è fin da principio quello di creare una narrazione che i mass media compiacenti dovranno diffondere e trasformare in verità ufficiale e unica: chi osa metterla in discussione, come il senatore ghormiano Dasi Oran, e la stessa Mon Mothma, verrà messo a tacere senza tanti complimenti. 

Ad amplificare la pretestuosità e la crudeltà dell’operazione è anche il modo in cui il pianeta viene descritto nel primissimo episodio della stagione: non certo un covo di rivoluzionari, ma un mondo pacifico dedito alla produzione di tessuti di finissima qualità, al commercio e al turismo. La distanza tra la realtà e le fake news di regime appare ancora più grottesca: siamo in pieno territorio orwelliano – ancora una volta, in piena distopia. 

Anche sotto questo punto di vista il racconto di Tony Gilroy è di straordinaria attualità, forse perfino oltre le intenzioni dell’autore. In una recente intervista per The Hollywood Reporter, lo showrunner si è detto “molto triste” per il modo in cui la realtà in cui viviamo è sempre più simile a quella della serie. Si riferiva all’arresto del senatore californiano Alex Padilla, a cui lo scorso giugno è stato impedito con la forza (con la “f” minuscola) di intervenire a una conferenza stampa del Segretario della sicurezza interna Kristi Noem nell’ambito delle proteste contro le misure repressive del governo Trump sull’immigrazione. La scena in effetti somiglia in modo inquietante a quella in cui il senatore di Ghorman viene arrestato per impedirgli di denunciare i crimini del regime sul suo pianeta (Welcome to the Rebellion, nono episodio della seconda stagione).

Tra remissività e desiderio di libertà: “La frontiera della Ribellione è ovunque

A rendere possibile il dominio del regime totalitario c’è anche un ulteriore elemento: la remissività degli uomini di fronte alla potenza apparentemente invincibile dello stato. 

Se in Rogue One questo tratto era appena accennato e incarnato soprattutto da quei leader della Ribellione pronti a capitolare all’Impero di fronte alla capacità distruttiva della Morte Nera, è nella prima stagione di Andor che il tema è stato maggiormente approfondito. A personificarlo era in particolare la figura di Kino Loy: il detenuto nella prigione-lager di Narkina-5 che faceva da “kapò” per i suoi carcerieri, occupandosi di garantire che il tasso di sfruttamento dei suoi compagni di cella fosse sempre elevato.

Andor
Andor

Ritroviamo questo stesso elemento con una sfumatura ulteriore – quella della delazione – all’inizio della seconda stagione, quando sul pianeta Mina-Rau l’agricoltore Kellen tradisce e consegna agli ispettori imperiali il ribelle Brasso. 

Sono tre esempi concreti di uno stesso fenomeno, che Nemik aveva sintetizzato efficacemente in una conversazione con il protagonista nel corso della prima stagione: Ci sono tante cose che conoscevamo che ci hanno costretto a dimenticare: cose come la libertà.

Nel suo capolavoro Vita e destino, Vasilij Grossman riflette su questo stesso argomento a proposito dei regimi totalitari nazista e stalinista, osservando precisamente che Uno dei tratti più stupefacenti della natura umana che affiorò in quegli anni fu la remissività. Tuttavia, spiega, Il desiderio congenito di libertà non può essere amputato; lo si può soffocare, ma non distruggere. Il totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se vi rinunciasse, cesserebbe di esistere. […] L’uomo non rinuncia mai volontariamente alla libertà. E questa conclusione è il faro della nostra epoca, un faro acceso sul nostro futuro. 

Gli stralci del “Manifesto” di Nemik che punteggiano le due stagioni di Andor sembrano ricalcati su queste parole.

Andor
Andor

Una sintesi efficace dello stesso concetto è quella che la principessa Leia (che quasi certamente conosceva il “Manifesto”!) rivolge al Grand Moff Tarkin all’inizio di Episodio IV: Quanto più stringete la presa, Tarkin, tanti più sistemi vi sgusceranno via tra le dita.

Una digressione: le fondamenta fragili della Nuova Repubblica

Per la verità l’esito della trilogia originale non è davvero coerente con la coraggiosa affermazione della principessa Leia: come sappiamo, l’Impero non verrà sconfitto da un’insurrezione generale (e a ben guardare neppure per merito dell’attacco dei Ribelli alla seconda Morte Nera), ma esclusivamente grazie al gesto individuale di Darth Vader/Anakin. 

Consapevoli che si tratta di un’operazione del tutto arbitraria e certamente estranea alle intenzioni degli autori (si tratta di opere programmaticamente diverse e non realmente paragonabili), possiamo provare però a leggere gli eventi delle due trilogie canoniche ambientate dopo Rogue One alla luce delle riflessioni sociali e politiche che animano la “trilogia” di Gilroy.

Andor
Andor

In questa prospettiva, si può sostenere che alla base della fragilità della Nuova Repubblica, che vediamo raccontata nella trilogia dei sequel, sia proprio il fatto che l’Impero sia stato sconfitto non da un’insurrezione di massa guidata dal desiderio di libertà, ma da un atto accidentale e isolato tutto interno al regime, la (presunta) uccisione dell’Imperatore da parte del suo braccio destro. È una Repubblica nata da un colpo di stato, anziché dalla Resistenza. 

La fragilità del nuovo governo “democratico” quindi non sarebbe tanto militare, quanto politica, sociale e morale. Un’idea in effetti accennata ne Gli ultimi Jedi (che tra i film “canonici”, non a caso, è quello più contaminato dal realismo di Rogue One e in cui sono anticipate alcune delle riflessioni che saranno sviluppate in Andor), in particolare nelle sequenze ambientate sul pianeta-casinò di Cantonica e attraverso il personaggio di DJ. 

Del resto lo stesso Imperatore sarà veramente sconfitto, nella battaglia finale che conclude L’ascesa di Skywalker e la trilogia dei sequel, solo quando a combatterlo sarà la flotta sterminata della “gente comune” di tutta la galassia (“Non è una Marina, Signore: sono solo… persone” – “people” in originale – spiega il primo ufficiale all’attonito generale del Primo Ordine): è la scena di gran lunga più emozionante dell’intero film – peccato sia del tutto estemporanea.

Al contrario, nel ciclo narrativo creato da Tony Gilroy la natura collettiva e inestinguibile della resistenza all’oppressione è il cuore della vicenda.

Rogue One
Rogue One

Se in Rogue One Jyn Erso proclamava che Le ribellioni si fondano sulla speranza, le due stagioni di Andor permettono di comprendere che quella speranza a cui fa riferimento non è un cavaliere jedi, bensì il desiderio congenito e universale di libertà. È questo il motivo per cui, in Rogue One e in Andor, la Forza non gioca alcun ruolo e quasi nemmeno compare, se non per un formale omaggio alla tradizione. 

L’Impero è destinato fin dal principio a essere sconfitto – ci dice l’autore – non perché un “Prescelto” abbatterà l’Imperatore, ma perché il suo bisogno di controllo “è così disperato perché è innaturale, la tirannia richiede sforzi costanti”, ed è per questo che la frontiera della Ribellione è ovunque, come recita il Manifesto di Nemik. 

È la frase che, a chiudere idealmente il ciclo, riecheggia ancora una volta nel finale della serie. Continua a diffondersi, vero?, commenta il Direttore dei Servizi Lio Partagaz, che la sta ascoltando. È difficile da contenere, conferma il suo subordinato. Il colpo di pistola con cui subito dopo Partagaz si toglie la vita suona come la campana a morto del regime di Palpatine.

Un faro acceso sul nostro futuro” (e sul nostro presente)

Al termine di questo viaggio, quello che emerge chiarissimo è un messaggio di grande ottimismo e di grande speranza: un faro acceso sul nostro futuro, per usare le parole di Grossman. 

Ma è soprattutto un riflettore acceso sul nostro presente, sulle tante forme di ingiustizia e di oppressione che affliggono il nostro mondo. 

Come il “Manifesto” di Nemik costituisce the trail of the political consciousness per Cassian Andor, così il ciclo narrativo di Tony Gilroy, oltre che un eccellente prodotto di intrattenimento, vuole essere un “percorso di consapevolezza politica” per gli spettatori che vorranno intraprenderlo. 

La storia narrata in Rogue One e Andor ci rassicura sul fatto che l’oppressione può essere sconfitta – anzi, contiene in sé i semi della propria caduta; allo stesso tempo, però, ci ricorda che combatterla non è il compito esclusivo di qualche supereroe, ma la responsabilità individuale di ciascuno di noi, e per questo ci esorta a coltivare il nostro senso critico e il nostro desiderio di resistere all’ingiustizia. 

Mentre scrivo, una flotta composta da “persone”, proprio come quella che sconfiggerà definitivamente l’Impero in Star Wars, è in procinto di partire per il singolo luogo della nostra galassia in cui l’oppressione e l’ingiustizia sono più atroci e disumani. 

Prima di prendere il mare, Greta Thunberg ha presentato la loro missione con queste parole: This story is also about a global uprising, about how people are standing up when our governments failed to do so. For every politician that is fueling the genocide […] there will be people escalating the Resistance against that.

Non potrei scrivere una conclusione più efficace.