Neyra osservò sua madre: il viso cinereo, la bocca spalancata, gli occhi spenti e immobili, troppo simili a quelli di una vecchia statua dimenticata su di un altare. Il sudore freddo le appiccicava il corpo alla coperta di lana e il respiro, sempre più flebile, da diverse ore si era fatto breve e superficiale.

- Coraggio mamma, qui starai meglio - le sussurrò a un orecchio Neyra, rimboccandole le coperte. Violenti brividi la scuotevano, malgrado la legna del focolare cedesse calore alla stanzetta adiacente le stalle.

Neyra aveva portato lì sua madre dai piani superiori del grande Santuario di Lenoris, proprio perché stesse più calda.

La camera di dimensioni minori, il fiato degli animali al di là della parete, e il grosso focolare, contribuivano a isolare l’ambiente dal freddo esterno. Un freddo che oramai perdurava da così tanto tempo che non ricordava più il colore del sole o i profumi di un prato fiorito. Neyra ripensò all’ultima volta che aveva percepito il tepore dell’estate sulla pelle, gettando un altro ciocco di legna fra le fiamme.

Doveva essere stato l’anno prima che sua madre si ammalasse. - Già tre anni… - mormorò abbattuta.

Posò una mano sul giaciglio di Elgar, quasi a volerle trasmettere un po’ della sua forza. Un gesto sciocco, ne era conscia.

La vita ha le sue stagioni e Neyra, sebbene non volesse ammetterlo, sapeva che era così anche per Elgar.

- Mamma… - iniziò col dire, ma un groppo in gola le impedì di andare oltre. Cosa c’era da dire? Era tutto così assurdo, così spaventoso. Non era pronta, ecco la verità. Neyra non si sentiva preparata per ciò che l’attendeva. La vita, la morte. Scosse il capo. Aveva chiesto lei di far parte di quel gioco assurdo?

Elgar proprio allora emise un lungo rantolo, inarcò la schiena sul pagliericcio, spalancò gli occhi e non li richiuse più.

Neyra rimase paralizzata, il respiro fermo in gola. Le sembrava che il tempo si fosse arrestato, ma non era possibile, perché grosse lacrime le rigavano le guance.

Guardò per un momento gli occhi spenti di sua madre, incapace di muoversi, di gridare. Si passò una mano fra i capelli e rimase immobile a fissarla.

Poi, gentilmente, quasi si muovesse in un sogno, le abbassò le palpebre coperte da piccole squame rosse come rubini. La mano di Neyra tremava, non poteva farne a meno: l’aveva amata così tanto.

Con una carezza percorse il corpo che era stato di sua madre. Il viso affilato coperto da scaglie colorate, il collo lungo e flessuoso come un giunco, le ali membranose che un tempo avevano solcato i cieli, il torace gigantesco, ruvido e potente, la coda appuntita.

- Elgar, la Signora dell’Estate, è morta - sussurrò Neyra fra le lacrime, - …viva la nuova Signora dell’Estate.

L’abbracciò in silenzio, cercando di tenerla stretta a sé più che poteva, ma la cosa era già diventata impossibile.

Le mani si stavano coprendo di scaglie dorate, le vesti non la contenevano più come avevano fatto fino a qualche istante prima, e sulla schiena piccole ali membranose erano spuntate dalle scapole.

- Stagioni… - si disse.

Neyra ascoltò per l’ultima volta il suono della propria voce, che subito dopo divenne un tremendo ruggito.   

Fu a quel modo che gli abitanti del Santuario seppero che Elgar era morta, e che una nuova Signora dell’Estate era tornata fra loro. All’esterno del Santuario di Lenoris, la Madrina dei Draghi, il ghiaccio e la neve che da anni ricoprivano la vallata si stavano sciogliendo, mentre i bucaneve fiorivano già ovunque.

Stagioni, nient’altro che questo.

"Possiamo mutare con le stagioni,

ma le stagioni non potranno cambiarci..."

(di Kahlil Gibran).

"...o forse no?"

(di Luca Azzolini).