Guillermo Del Toro, ovvero il regista dei progetti perduti 

Ora, un attimo di raccoglimento è d’obbligo. Ci stringiamo a coorte intorno ai progetti abortiti di uno dei registi più talentuosi che il fantasy abbia conosciuto negli ultimi anni. Piangiamo la cancellazione del progetto lovercraftiano The mountain of madness che sarebbe stato, probabilmente, una delle prime “vere” trasposizioni cinematografiche del capolavoro nato dalla mente dello scrittore gotico-galattico-pessimistico di Providence, H.P. Lovecraft. Ci rammarichiamo del suo abbandono della poltrona di regia del film The Hobbit, considerato da Del Toro “troppo a lunga scadenza”. Una serie di sfortunati eventi che ci portano alla mente un altro geniaccio sfortunato: Terry Gilliam, ormai considerato nel patinato mondo di Hollywood come una vera e propria calamità naturale sia per i botteghini che per i processi produttivi.

Ora però, basta con il rammarico perché Del Toro non è certo uno che si perde d’animo dato che, da un progetto abortito, riesce a tirare fuori nuove idee e nuovi percorsi narrativi. Ed è così che si avvia la partenogenesi di Pacific Rim che, più che un film, sembra un residuato dei manga fine anni ’70 dove un robottone in stile Gundam difende il pianeta dalle minacce esterne che estinguerebbero la vita sul pianeta.

Come si può leggere dalla scheda del film, questo sembra essere il classico chiodo-scaccia-chiodo che avviene dopo la fine di una travagliata relazione. Lo si capisce dalla mancanza alla sceneggiatura dello stesso regista, cosa davvero inusuale per lui, e dalla velocità di messa in produzione che mal si accorda alle precedenti esperienze che il nostro ha affrontato.

Come ogni nuova relazione scaturita dalla fine di un’altra questa è per sua natura ferale, ferita e ipercinetica, e quindi non stupiscono le foto dei set che ricordano molto quelli si un altro capolavoro del cinema come Blade Runner. Non stupisce la semplicità del progetto che rievoca i fasti del “tanto tempo fa” di Star Wars e, infine, non stupisce la riservatezza di Del Toro sul progetto quando ci aveva abituati a ben altri feedback, in stile fan sfegatato, sui suoi avanzamenti produttivi.

La trama è tanto infantile quanto efficace e sul sito ufficiale è stata riassunta così: “Quando legioni di creature mostruose, note come Kaiju, iniziarono a sorgere dal mare iniziò una guerra che avrebbe ucciso milioni di vite e consumato per anni le risorse dell'umanità. Per combattere il gigante Kaiju fu concepito un particolare tipo di arma. La sua definizione è Robot di Massa Jaegers: un robot controllato simultaneamente da due piloti le cui menti sono interfacciate in un ponte neurale. Ma anche i Jaegers si dimostrarono indifesi di fronte agli implacabili Kaiju. Sull'orlo della sconfitta, le forze che difesero l'umanità non ebbero altra scelta che rivolgersi a due eroi loro malgrado: un ex pilota in rovina e un tirocinante senza esperienza. A loro fu destinata la guida di un leggendario quanto obsoleto Jaeger. Insieme, furono lultima speranza dell'umanità contro l'incombente apocalisse.”

È o non è la trama di uno dei robottoni fine anni ’70? Ma forse è proprio in questo che risiede il suo fascino: era da tanto tempo che si aspettava il ritorno degli splendori megalitici che coniugavano al metallo i sentimenti umani. Quindi, in attesa di un vero rinascimento di genere, questo potrebbe essere un ottimo chiodo-scaccia-chiodo.