Nei casi di Dick e Asimov il primo titolo, risalente a parecchi anni fa, è chiaramente ben lontano dal titolo originale, quindi le nuove traduzioni possono essere legate a un desiderio di maggiore fedeltà alle intenzioni dell’autore. In altri casi può prevalere il desiderio di evidenziare il legame con un’altra opera molto nota che può fare da traino nelle vendite, come per la scelta di Blade Runner. Con The Farthest Shore però ci troviamo di fronte al caso di un titolo tradotto prima in modo fedele e poi in modo infedele, quindi questo discorso crolla e l’ipotesi che sembra più probabile è che a qualcuno in casa editrice il vecchio titolo non piacesse e sia stato cambiato, senza preoccuparsi della corretta traduzione o del fatto che quell'opera era già nota in un altro modo.

Sembra incredibile, ma è possibile sbagliare anche quando si traduce correttamente un titolo, come stava per fare Fanucci quando aveva annunciato che avrebbe tradotto l'undicesimo volume della Spada della verità, Confessor, come Il confessore. Peccato che per Terry Goodkind Confessor sia la protagonista femminile, Kahlan, e che in italiano la donna fosse stata definita molti romanzi prima Madre Depositaria, perciò in italiano non c'è mai stato nessun Confessore.

L'errore non si è verificato solo perché qualcuno in casa editrice se n'è accorto in tempo, anche se probabilmente all'ultimo minuto, visto che il romanzo è stato pubblicato con un paio di settimane di ritardo rispetto a quanto annunciato in precedenza con il nuovo titolo Scontro finale.

Il problema, come faceva notare tanti anni fa Umberto Eco, è che un titolo è “una chiave interpretativa” del romanzo e “non ci si può sottrarre alle (sue) suggestioni” (1). Il lettore quando acquista un’opera lo fa basandosi – oltre che su un’eventuale conoscenza dell’autore, sulla base di una recensione o su consigli di amici – sulla copertina, che è costituita dai due elementi indivisibili dell’immagine e del titolo. Il titolo perciò è fondamentale, deve catturare l’attenzione del lettore, e se l’editore ritiene che un titolo differente da quello originale possa conquistare più lettori è libero di cambiarlo. Per questo Fruttero & Lucentini nella loro traduzione di Asimov di tanti anni fa avevano optato per titoli infedeli ma suggestivi, e per questo probabilmente in Mondadori hanno deciso di cambiare il titolo del volume della Le Guin inserendovi un riferimento al più noto degli animali fantastici, un drago.

Scelta sbagliata? Per i puristi certamente sì, anche se i meccanismi che regolano il funzionamento di una casa editrice sono legati più a dinamiche commerciali volte a conquistare il maggior numero di lettori possibili che ad accontentare gli appassionati più pignoli. L'unica cosa certa è che l'esistenza di più titoli per indicare una stessa opera è il modo più sicuro per mandare in confusione il lettore.

Un’altra opzione potrebbe essere quella di mantenere il titolo originale, come sembra orientata a fare Gargoyle con la prossima traduzione di The Eroes di Joe Abercrombie, anche se avere un titolo in lingua per un’opera tradotta appare una soluzione un po’ goffa.

Nella scelta di un titolo rientrano altri fattori come la sua lunghezza e la leggibilità. Non solo un titolo troppo lungo finirebbe inevitabilmente per lasciare poco spazio all’illustrazione di copertina, ma sarebbe anche difficile da memorizzare per il lettore. L’editore Alfred Knopf era solito rimproverare uno dei suoi autori, Dashiell Hammett, facendogli notare che “quando una persona non riesce a pronunciare il titolo o il nome dell’autore, si intimidisce e non osa più entrare in libreria per chiedere quel libro” (2). E se Knopf parlava di titoli originali, il problema si può applicare anche alla loro traduzione. Quanti ricordano correttamente il nome completo della tetralogia di Greg Keyes? The Kingdom of Thorn and Bone è diventato, con l’aggiunta di un sostantivo, La saga dei regni delle spine e delle ossa, non proprio il nome più semplice per aiutare il lettore alla sua memorizzazione.

La scelta è sempre difficile, e le difficoltà in agguato sono parecchie, come il rischio di possibili assonanze. In un primo tempo Patrick Rothfuss aveva pensato di intitolare la sua saga, ora nota come The Kingkiller Chronicle, The Song of Flame & Thunder, almeno finché non ha scoperto che qualche tempo prima George R.R. Martin aveva iniziato a pubblicare A Song of Ice and Fire (3). Per lui la scelta di cambiare nome è stata naturale, vista la forte somiglianza, ma casi di omonimie o quasi omonimie ne abbiamo visti parecchi. Per tornare in Italia abbiamo avuto quello di Antonia Romagnoli che nel 2008 ha pubblicato un romanzo intitolato Il segreto dell’alchimista, probabilmente senza sapere che quello stesso titolo era già stato usato da Mariangela Cerrino nel 2000. E, a ben guardare, la cosa può capitare anche con autori di diverse nazionalità che scrivono opere appartenenti a generi molto diversi fra loro.