Gemma di bambù lo è di nome e di fatto: è così che Okina il tagliabambù la trova una notte, dentro a un fusto di bambù luminoso, mentre è intento a lavorare nel bosco. Da quel momento, per volere della Luna, Principessa diventa figlia sua e di sua moglie Ōna. La piccola, da neonata, cresce a una velocità innaturale per una bimba normale e rapidamente si fa bambina e poi fanciulla. Okina, ripagato di oro dalla Luna, sempre devoto agli dei decide che la cosa migliore per Principessa sia vivere in una grande città, in una casa degna della propria regalità: deve avere un’istruzione, deve essere all’altezza di principi e potenti che potranno darle la felicità, e una vita degna di una principessa.

La fanciulla vorrebbe, invece, rimanere nel villaggio con i bambini che l’hanno accolta fin da piccola, chiamandola proprio Gemma di bambù, e soprattutto con Fratellone Sutemaru, che le è tanto affezionato dai tempi in cui portandola sulle proprie spalle la proteggeva dalle insidie dei boschi. Ma Principessa rispetta il volere di Okina e Ōna e li segue in città, pur non volendo rinunciare al proprio essere, alla propria libertà. Studia e impara a suonare, ma con estrema leggerezza, mantenendo l’amore per la natura, per la coltivazione dell’orto, per gli animali.

Nel frattempo sta diventando una ragazza di rara bellezza e questo la rende molto ambita, al che Okina organizza un grande ricevimento per accogliere l’alta società nella propria casa e dichiarare la disponibilità al matrimonio di Principessa Splendente…

Non serve raccontarvi di più ma il solo consiglio, anche a prescindere da ogni recensione che troverete online o da ogni giudizio soggettivo, è quello di dedicare due ore della vostra vita a La storia della principessa splendente. È verosimile che possiate trovare almeno un buon motivo per non perdervi questo prodotto della fantasia umana, che ha saputo racchiudere in sé una serie di elementi imprescindibili, quando si tratta di buon cinema.

Risaliva all’ormai lontano 1999 l’ultimo film che porta la firma di Isao Takahata, uno dei padri fondatori del nipponico Studio Ghibli, e finalmente, dopo quasi 10 anni, arriva questa nuova storia, ispirata al racconto Kaguya-hime no monogatari, Il racconto della principessa Kaguya.

Le storie di Takahata sono più cupe e più malinconiche di quelle del collega e amico Hayao Miyazaki, ma non per questo meno commoventi o meno ricche di magia, di certo altrettanto piene di spunti di riflessione e di indubbio valore artistico.

Primo elemento interessante è l’aspetto grafico. La storia della principessa splendente è accattivante, ricca di espressività, ma in modo "altro". Essenzialità è il concetto principale. Non troverete una computer grafica di ultima generazione. Lo stile ricorda i vecchi rotoli di illustrazione giapponesi, che fanno molto anni ’80. Il colore, sempre delicato ma intenso, ricorda la pittura ad acquarello su carta, i contorni delle figure umane, dei paesaggi, delle architetture, sono poco definiti, il tratto è nero e grossolano, ma non pesante.

Tipico dell’“universo Ghibli”, l’aspetto dei personaggi riflette anche il carattere, l’indole, talvolta anche più delle parole che ciascuno pronuncerà (per il doppiaggio faremo un discorso a parte). Mamma Ōna è di bassa statura ma ha un viso grande, una corporatura solida ma accogliente e un rassicurante sorriso. Okina è un ometto dimesso, con mani e occhi grandi, sguardo buono e voce profonda ma sicura (non a caso si è scelto il grande Carlo Valli per l’edizione italiana), Sutemaru ha un fisico massiccio ma agile, braccia forti e sguardo sincero. I pretendenti di Principessa hanno tratti tipici dei giovani nobili giapponesi, espressioni controllate, modo di fare distaccato.  Le ancelle e le istitutrici, come anche l’Imperatore, sono rappresentati nei costumi e nello stile tipico dell’epoca. L’effetto finale è di una sequenza morbida, fluttuante, luminosa, ma non per questo meno espressiva, meno incisiva. Forse è proprio l’effetto che si avrebbe guardando il mondo dalla Luna.

Insieme alle immagini procede in netta simbiosi la colonna sonora, firmata dal Maestro Joe Hisaishi in un nuovo sodalizio anche con Takahata. Ma come con le storie di Miyazaki, la musica è più di un sottofondo, non è una decorazione, un extra, ma una imponente voce fuori campo che aiuta e sostiene la narrazione, accompagnando Gemma di Bambù nel suo percorso di vita. Una nota a parte meritano la sigla iniziale e finale, una per accompagnare in modo invitante lo spettatore a seguire la rappresentazione grafica che armonizza le raffigurazioni con gli ideogrammi giapponesi e le traduzioni italiane a margine, l'altra per la poesia del canto in chiusura (di cui si può seguire la traduzione), firmato dalla cantautrice Kazumi Nikaido. Vi resterà probabilmente impressa, infine, la Filastrocca che i bambini e poi Principessa con Ōna cantano durante il film, forse vi porterà qualche dejavu, chissà.

Una nota a parte meritano, come al solito trattandosi dello Studio Ghibli, la traduzione e l’adattamento ai dialoghi, sempre a cura di Gualtiero Cannarsi. Indubbiamente va riconosciuto a Cannarsi il merito di tenere molto alla fedeltà con l’originale, il non inventare traduzioni “facili” o approssimative, considerando la complessità della lingua giapponese con tutte le sue infinite sfumature di significati che non è sempre immediato rendere con la traduzione. Tuttavia, anche stavolta, la sua instancabile volontà ha dei risvolti non troppo positivi sulla resa finale, arrivando in certi momenti a ridicolizzare una storia che tutto è fuorché comica, con l’alto rischio di non rendere giustizia ad alcune scene invece piuttosto importanti. In realtà non è stato solo un rischio. Considerando poi l’alta qualità del team di doppiaggio (Carlo Valli,  Francesco Bulckaen, Chiara Fabiano, Rita Savagnone, Flavio Aquilone, Lucrezia Marricchi, Chiara Salerno, Domitilla D’Amico per una volta irriconoscibile, David Chevalier, giusto per citarne alcuni), ci si chiede se tutta questa fedeltà di traduzione paghi e se un dizionario dei sinonimi non possa fare al caso di Cannarsi. Non per piacere di più al pubblico e alla critica, ma per rendere merito a dei maestri del cinema d’animazione come Takahata stavolta e Miyazaki negli ultimi anni, con tutto il team dello Studio Ghibli al seguito.

Un doppiaggio così criticabile tuttavia non riesce a distogliere lo spettatore dal messaggio che La storia della principessa splendente possa trasmettere; è un film forse meno adatto ai troppo piccoli, perché molti sono gli spunti di riflessione proposti che toccano temi importanti, considerando anche che il ritmo della storia non è immediato, spedito, seppur costante, fino alla risoluzione della storia, che forse potrà sembrare un po' rapida.

La storia della principessa splendente è una riflessione sulla vita e su come essa vada intrapresa, affrontata, vissuta. È uno sguardo su come le scelte di ognuno possano influire sull’avvenire.  Non solo, apre uno spunto sul rapporto genitori – figli,  siano questi ultimi naturali o adottati, sulle scelte che i grandi facciano per il bene dei propri piccoli, su cosa ritengano sia più giusto. È un inno al rispetto dei valori primordiali, della ricchezza interiore, dell’amore per la natura e per la terra. Uno sguardo sull’importanza del lavorare, del rendersi utili, del compiere il proprio dovere e farlo con rispetto per gli altri e con spirito critico.

È un inno all’amore, da quello incondizionato per una creatura indifesa a quello che si costruisce giorno dopo giorno nel focolare di casa o nella comunità, attraverso la solidarietà, l’amicizia, il rispetto, l’aiuto reciproco. È una riflessione sulla ricerca dell’amore puro, dettato da una rispondenza non solo di sentimenti spontanei ma di ideali, di complicità, di affinità, una critica pacata ma netta alla vanità, all’idolatria, alla ricerca del benessere a tutti i costi, al mostrarsi per ciò che non si è. La storia di Gemma di bambù propone allo spettatore di fare un piccolo punto della situazione sulla propria vita, considerando che nel mondo siamo di passaggio, e di cosa doniamo agli altri, cosa gli lasciamo, cosa condividiamo. Ci propone di riflettere sul ricordo che gli uomini avranno gli uni degli altri, e dell’importanza di fare le giuste scelte, o le giuste rinunce.