Uno dei leit-motiv del fantastico, in ogni sua declinazione, è la creazione di mondi. E gli educational di Villa Gioiosa del Lucca Comics and Games 2018 rappresentano un’opportunità da non perdere per osservare i diversi modi in cui il world-building può essere portato avanti o interpretato. Per avventurarci nell’impresa di creare un nostro mondo, o per curiosità, o per profonda smania di conoscenza, possiamo servirci di mondi esistenti, creati dai grandi Maestri del fantastico: così, per esempio, Paolo Gulisano ci guida nel mondo di Star Wars, mentre Stefano Mangusta e Barbara Sanguineti ci introducono alla Terra di Mezzo di Tolkien e ai Sette Regni di Martin. La creazione di un mondo, come appare dalle parole di tutti i relatori, prevede che l’autore vi inserisca non solo dati fisici, linguistici, culturali, ma anche la sua personale visione del mondo: elementi che conosce, che per lui sono rilevanti, che meritano di essere raccontati. Come osserva Carlo Meneghetti, relatore del workshop La fragilità dei supereroi, i nuovi mondi che creiamo sono parti del nostro quotidiano, della nostra  vita.

Mondi lontani

La creazione di un mondo deve, quindi, partire da un’idea, da un fulcro, che sia il punto di partenza di quello che vogliamo esplorare (come autori, o far esplorare ai lettori). Questo è lo spunto da cui prende le mosse il workshop Lontani, Nuovi Mondi, condotto da Fabio Bottoni ed Emilio Fabbri. Il tema specifico, in questo caso, è la creazione di un’ambientazione per giochi: ma, man mano che i due relatori parlano, diventa evidente che lo stesso principio può essere applicato a ogni universo fantastico per ogni tipo di narrazione. Se poi riusciamo a essere originali, e quindi vogliamo trasmettere un fulcro diverso da quanto già stato detto, potremmo avere anche un valore aggiunto.

Fabio Bottoni ed Emilio Fabbri
Fabio Bottoni ed Emilio Fabbri

Ma, come sempre accade, a noi esseri umani che viviamo da questo lato della Terra di Mezzo, piace una certa coerenza di base: per quanto il fulcro sia distante dalla nostra esperienza, esso dovrà essere presente sempre, in ogni punto di una narrazione. E quanto più questo fulcro si differenzia da quello a cui siamo abituati, tanto più è necessario circondarlo di un reticolo di appigli a qualcosa di noto e comprensibile. Parliamo di fisica, di scansione temporale, di unità di misura, di clima: non importa quanto la nostra ambientazione sia distante dal mondo in cui viviamo, quello che interessa è che sia coerente con se stessa. Lo stesso vale per gli aspetti sociologici di una cultura: medicina, conflitti, agricoltura, commercio, artigianato e religione. Non importa quali e quanti siano. È la loro coerenza con il mondo, con la sua storia, con la sua geografia, con la sua politica che rende possibile interessare il lettore a capire quale sia il fulcro della storia. Certo, il compito sembra improbo: e quindi, il consiglio è guardarsi intorno e iniziare a vedere come altri hanno risolto il problema per capire in che modo possiamo affrontarlo noi. Iniziamo dal noto per calarci, man mano che costruiamo una nostra esperienza, nell’ignoto che creeremo.

Le vie della Forza

Così, quando Paolo Gulisano ci accompagna nell’universo di George Lucas, possiamo osservare il modo in cui le fonti, le sollecitazioni cui l’autore è sottoposto, confluiscono nell’opera: un Lucas che vuole mettere sullo schermo Flash Gordon, ma si trova costretto a produrre una sceneggiatura personale, in cui inserisce la fascinazione per il Giappone (dagli elmi samurai dell’Impero ai Jedi, che possiamo interpretare come Templari-Zen), la passione per il vecchio West (nella scelta dell’ambientazione, in un certo gusto estetico) per i film di guerra, per la velocità, che viene riversata nelle corse nello spazio, fino al più noto e ovvio interesse per lo schema narrativo di Campbell, il viaggio simbolico dell’eroe. Lo stesso Tolkien si rivela come fonte di Lucas: c’è, nell’eroe, più di quanto l’eroe stesso sappia. Come Frodo, come Luke. Come Rei, nell’ultima trilogia. Certo, l’opera di Lucas non è finita, mentre quella di Tolkien lo è: ma un’opera in fieri non merita forse di essere analizzata e studiata? Come ha detto Robin Hobb, autrice della saga dei Lungavista, negli stessi giorni a Lucca, ogni storia ha il suo momento preciso, che può essere legato all’età, all’esperienza dell’autore, al mondo che lo circonda e al pubblico cui si vuole riferire. Questo non ci dà il diritto di analizzare un’opera per la parte che è già stata composta?

Paolo Gulisano
Paolo Gulisano

Certo, aspettiamo l’uscita del nono capitolo, per osservare l’esito di quella che potremmo chiamare, secondo le parole di Gulisano, l’Anekineide, la saga della famiglia Skywalker. Intanto, osserviamo che il setting degli spin-off ci sta dando un’interessante indicazione culturale: non ci sono Jedi, in questi film. La Forza, sì: è un elemento fondante dell’Universo di Star Wars; ma i Jedi, come religione organizzata, sembrano finiti. Nella trilogia in corso, ci sono degli eroi, che cercano dei maestri, e non li trovano. C’è la consapevolezza di un male, la seduzione del Lato Oscuro, che non può essere sconfitto. In che modo il nostro tempo parla a Lucas? In che modo la contemporaneità ha cambiato la sua visione del mondo?

Mondi a confronto

E d’altra parte, lo stesso Martin, nel confrontarsi con l’eredità Tolkieniana, ammette la differenza tra due punti di vista molto diversi, in cui il passaggio dei decenni segna un cambiamento di prospettiva molto forte. Martin vuole, come ricordano Mangusta e Sanguineti, modificare quel poco di Tolkien che non gli piace: e gli elementi su cui Martin punta sono distintivi del suo percorso. Il realismo politico, lontano dall’idealità eroica della Terra di Mezzo, che è reso evidente dalla storia di Westeros, e che porta Martin ad analizzare le pecche “storiche” del mondo tolkieniano: in quale mondo i veri sovrintendenti non prenderebbero il posto dei legittimi re di Gondor? Perché mai si dovrebbero fare da parte? E perché Gandalf dovrebbe tornare dalla morte? La prospettiva cristiana di Tolkien lascia spazio all’immaginario di Martin, in cui i non-morti esistono, ma non sembrano particolarmente amichevoli con gli umani, che seguono invece il corso naturale (e generalmente catastrofico) degli avvenimenti. Ambiti culturali diversi. Esperienze di vita diverse. E quindi, mondi diversi.

Tolkien e Martin
Tolkien e Martin

Forse, è anche la necessità di adattarsi a un nuovo pubblico che impone il cambiamento. Lo possiamo, forse, intravedere negli eroi che si avvicendano nelle storie che leggiamo.

L'eroe fragile

Abbiamo storie con impostazione epica, in cui l’eroe può avere delle fragilità (deve, probabilmente, averle), ma è chiaramente un eroe: Aragorn, Frodo, o anche Obi-Wan Kenobi, prendono parte di quella tensione eroica che ci spinge alla mimesi. Ma, come osserva Carlo Meneghetti, nel workshop La fragilità dei super-eroi, i nuovi eroi hanno la particolare caratteristica di essere invincibilmente fragili e imperfetti: così Spider-Man, che nella grafica di apertura del workshop, ha paura di un ragno.

La fragilità dei supereroi
La fragilità dei supereroi

Certo, anche Frodo è fragile, anche Aragorn è imperfetto. Ma, se consideriamo che l’epica ha sempre avuto un valore educativo per la società, in che modo il richiamo a una figura eroica imperfetta può essere utile per il mondo contemporaneo? La chiave, suggerisce Meneghetti, potrebbe stare nel concetto di resilienza: le storie, in qualunque modo vengano raccontate, ci insegnano a sopravvivere a un evento traumatico, che ci ha cambiati, che ci ha portato via l’equilibrio che avevamo trovato, per portarci a un nuovo punto, in cui saremo stabili, seppur diversi. Le difficoltà quotidiane possono essere affrontate con il ricorso all’universo delle esperienze che affollano il nostro immaginario, creato attraverso tutte le storie con cui siamo venuti in contatto.

Noi lettori e le storie

La creazione del nostro universo personale, quindi, nasce proprio da questa incredibile unicità che è ciascuno di noi. E la difficoltà, come in ogni comunicazione umana, sta proprio nel far capire a qualcuno che è esterno a noi quello che abbiamo dentro: la chiave di volta, forse, si trova in ciò che condividiamo con gli altri, storie note, schemi noti (il viaggio dell’eroe, ma anche le scienze cui siamo abituati fin da bambini). Un legame, insomma, che permetta al lettore di entrare in sintonia con noi o con la nostra storia.