A quanto sembra dai primi commenti, sarà impossibile non divertirsi vedendo Charlie e la fabbrica del cioccolato, un vero film per ragazzi diretto da Tim Burton.

Fin dall’inizio ci si trova immersi nel suo mondo, oltre che in quello di Roald Dahl, guardando le innumerevoli barre di cioccolato prodotte da macchinari che ricordano quelli creati dall’inventore Vincent Price in Edward Mani di Forbice e il film prosegue senza rallentamenti né cedimenti.

Charlie Bucket, un ragazzo povero, buono e generoso, viene a sapere da suo nonno, tramite un flashback, la storia della sinistra fabbrica e del suo misantropo proprietario Willy Wonka.

Poco dopo viene annunciato che cinque biglietti d’oro sono stati inseriti in cinque involucri di dolci e i fortunati bambini che li troveranno potranno vincere una fornitura vitalizia di cioccolato e una visita alla fabbrica misteriosa, il che introduce a una serie di esilaranti vignette, una a testa, per presentare i primi quattro vincitori, golosi, avidi e aggressivi come ci si aspetta da loro; non è difficile arguire che Charlie sarà il quinto.

Appare ovvio, anche se non si conoscono né il libro né il film del 1971, che i quattro malvagi incontreranno il loro triste destino e che Charlie vincerà il premio finale, ma il divertimento sta tutto nel vedere come questo avverrà e ammirare la raffinata interpretazione di Johnny Depp, che sovverte ogni cliché e impedisce qualsiasi paragone con quella di Gene Wilder; malgrado le chiacchiere dei mesi passati a proposito di una sua somiglianza del suo personaggio con Michael Jackson. In realtà il suo Willie Wonka emerge come un sapiente incrocio, leggermente effeminato, tra Ed Wood e il dottor Evil.

I cinque bambini sono perfetti, Freddie Highmore (Charlie) mostra ancora l’invidiabile affiatamento con Johnny Depp già ammirato in Finding Neverland e anche il resto del cast offre eccellenti prestazioni: David Kelly, Noah Taylor e Helena Bonham Carter interpretano rispettivamente il nonno e i genitori di Charlie, mentre il grande Christopher Lee, il padre (un dentista!) di Wonka, riesce a dare credibilità alla graduale trasformazione, da minaccioso ad affettuoso, del suo personaggio.

La fabbrica è realizzata in modo stupefacente e con set reali, la computer grafica è finalizzata alle scene (finalmente, verrebbe da dire, rispetto al suo uso eccessivo nei film estivi di richiamo) e tutto è superiore alla vecchia versione; anche chi si aspettava una performance sopra le righe di Jonnhy Depp si è dovuto ricredere di fronte alla sua inattesa sobrietà di deus ex machina.

I “mitici” Umpa Lumpa sono interpretati dal minuscolo Deep Roy (che era già apparso negli ultimi tre film di Tim Burton) moltiplicato digitalmente e l’attore sembra divertirsi moltissimo, riuscendo così a comunicare lo stesso sentimento anche nel pubblico, soprattutto nelle scene di danza.

Secondo i critici più maldisposti il film somiglia, per la maggior parte del tempo, ai dolci che escono dalla fabbrica, saporiti ma senza sostanza, e si riscatta nel finale quando Wonka e suo padre (i cui rapporti sono ricostruiti da un flashback che è la parte più “burtoniana” della pellicola) si riconciliano e imparano dal piccolo Charlie il valore dei legami familiari, finale che forse apparirà ai più una forzatura in quanto largamente prevedibile, ma che è troppo ben condotto e spettacolare per risultare spiacevole o fuori luogo.

La colonna sonora di Danny Elfman è stata considerata una delle migliori ascoltate in questi ultimi anni anche se le canzoni, ovvero le poesie dello stesso Dahl, opportunamente musicate con diversi stili, sono state a quanto pare penalizzate nella comprensione; non manca neanche un divertito omaggio a Stanley Kubrick, in una scena in cui il suo leggendario monolito viene rimpiazzato da una gigantesca barra di cioccolato.

Forse Charlie e la fabbrica del cioccolato non rappresenterà l’apice della collaborazione tra Burton e Depp, ma è comunque superbamente confezionato e costituirà un grande divertimento per tutta la famiglia.