Incontrarsi di persona per condividere i propri interessi, scoprire novità e fare nuove conoscenze è un’esperienza che non ha prezzo. Questo è il valore di Meet & Play, un evento dedicato alla diffusione della cultura del gioco, giunto alla terza edizione, curato dallo studio indipendente We Are Muesli in collaborazione con SAE Institute.
Sabato 31 maggio, nella piccola ma accogliente cornice del WOW Spazio Fumetto di Milano, tre incontri hanno fotografato una significativa porzione dello stato attuale dei videogiochi, attraverso punti di vista differenti tra età e competenze dei partecipanti.
Diverse “orbite”, tutte intorno al centro di gravità che è il videogioco, hanno sviscerato il tema non solo come intrattenimento, ma anche come occasione culturale per parlare di temi attuali e importanti.
Nel mezzo, le postazioni di piccoli studi indipendenti hanno permesso a tutti i visitatori di provare prototipi di giochi semplici ma divertentissimi, carichi di idee innovative e realizzati con grandissima cura.
In contatto con gli sviluppatori e relatori
Nelle risorse in rete in fondo all’articolo troverete molti link ai giochi provati durante la giornata e approfondimenti sui libri e i progetti dei relatori.
Gli incontri
What we owe the dead
Valentina Romanzi, ricercatrice all’università di Torino ed esperta di letteratura ha moderato la presentazione del romanzo distopico e filosofico What we owe the dead di Stefano Gualeni, scrittore, game designer e insegnante presso l’Università di Malta. Attraverso i loro interventi e usando solo come base il contenuto del libro, sono emersi molteplici approcci al mondo del videogioco e alle varie “orbite”, termine molto ricorrente in questa giornata, attraverso le quali è possibile vivere il medium videoludico.

Non c’è solo l’aspetto dell’intrattenimento, fondamentale, beninteso. Il videogioco può essere un oggetto di studio e ricerca, anche sociale e didattico, oppure una forma di espressione con giochi sperimentali e retorici capaci di raccontare molto di più. Ultimo ma non per ordine di importanza, può essere anche la base strutturale per raccontare una storia: le regole del videogioco sono usate come strategia narrativa nel libro di Gualeni, ma non dimentichiamo altri importanti esempi come Hunger Games e Squid Game (e Ready Player One, ndr) dove i giochi sono il motore che porta avanti la storia e i protagonisti fanno proprie le meccaniche e le sovvertono per vincere, per cambiare l’opinione pubblica o sopravvivere.
Fair Game: Sporcarsi le mani, giocando
Come muovere i primi passi nel mondo del game design? Cinque studentesse della NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, Martina Lorusso, Sonia Maggi, Victoria Marcantognini, Ludovica Napoleoni e Kalina Stoycheva hanno raccontato le proprie esperienze nello sviluppo di un progetto videoludico. Partendo dal documentario Fair Game, che hanno mostrato a spezzoni e disponibile interamente su YouTube, hanno snocciolato aneddoti sulle opportunità offerte dal medium videoludico, le difficoltà affrontate e, soprattutto, l’amicizia che le ha subito unite, creando un clima di collaborazione anziché di rivalità.

La loro insegnante, nonché giornalista, autrice e responsabile editoriale Giulia Trincardi le ha guidate nell’esposizione, una brillante bussola, che ha permesso alle ragazze di prendere presto confidenza con il palco e con sicurezza si sono passate il microfono per condividere gli interventi personali.
Particolarmente interessanti sono state le loro influenze e contaminazioni con altre forme artistiche per ottenere i risultati nei loro progetti come la musica, l’architettura, e l’arte in generale.
Le ragazze provengono tutte da discipline differenti: animazione, tecnologie creative, graphic design e art direction.
La loro meraviglia nello scoprire come le tecnologie e l’approccio progettuale per realizzare videogiochi si possano inserire nel workflow per migliorare anche la loro disciplina di partenza le ha motivate a sperimentare, scoprendo così anche le possibilità e i limiti degli strumenti e del tempo a disposizione. Questo le ha aiutate a ottimizzare le risorse, limitare e rifinire i progetti per inseguire la miglior qualità possibile rispettando le scadenze. Un’esperienza della quale certamente faranno tesoro in futuro.
Attivismo ludico e culturale
Purtroppo chi vi scrive non è riuscito a seguire anche l’ultimo incontro, però la relatrice Ivana Murianni si è resa disponibile per alcune domande relative all’associazione IGDA, International Game Developers Association, per la quale è co-fondatrice della sezione di Milano. Una realtà no-profit ideata per sostenere i piccoli sviluppatori, accompagnarli nel percorso formativo attraverso incontri di settore e le sfide della Game Jam, in cui alcuni gruppi di sviluppatori si ritrovano a creare un videogioco da zero in soli due giorni senza sosta.
Il potere del passaparola e della rete che si crea incontrandosi di persona è l’anima del progetto di IGDA, sempre all’insegna dei valori citati in precedenza, valorizzando l’impatto culturale del videogioco.
La giornata è stata sobria, tranquilla, in un clima disteso e stimolante, che offre contenuti diretti a un pubblico trasversale. Sì, il fil rouge è sempre il videogioco, ma vi “orbitano” intorno tantissime possibilità, rivolgendosi agli appassionati di giochi, tanto quanto a chi desidera un approfondimento culturale. Aspettiamo con gran curiosità la quarta edizione.
Nei prossimi giorni questo speciale si arricchirà di altri contenuti più approfonditi, espandendo i contenuti degli incontri, una panoramica dei giochi disponibili e le interviste estese. Perciò continuate a seguirlo.
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