Come scritto nel capitolo precedente sul ritmo, nella stragrande maggioranza dei casi il vostro romanzo sarà suddiviso in scene.

La cosa vi dà la possibilità di renderlo più vario e godibile. È grazie alle scene che potete cambiare il punto di vista e vedere lo stesso evento con occhi diversi, ad esempio. È grazie alle scene che potete spostarvi da una parte all’altra della vostra ambientazione, teletrasportando il lettore in più luoghi, focalizzando la sua attenzione su più fronti d’azione in modo parallelo e quasi concomitante. Questa è la prima, più elementare conseguenza del suddividere il vostro romanzo in scene. È una conseguenza positiva; le problematiche che potreste incontrare sono minime, tutto sta nel gestire il susseguirsi dei brani in modo logico.

Ciò che è meno evidente, è che una singola scena, per essere efficace, deve vivere di vita propria. È un’unità fondamentale, che richiede tanta attenzione quanta ne richiederebbe un racconto. Se si vuole, la differenza sta nel fatto che potete permettervi delle libertà che con il racconto sarebbero deleterie: cominciare la scena in modo brusco, senza spiegare ciò che è già stato detto ed è fondamentale per capirne il senso, e terminare in modo sospensivo (non commettete l’errore di pensare che scrivere una scena sia più facile o più difficile che scrivere un racconto: narrare bene è sempre difficile. Punto e basta). Questo, ovviamente, dipende dal fatto che una scena non è un racconto ed è legata alle altre scene del romanzo, che fanno da premessa e continuazione (escludiamo prologo ed epilogo e tutto ciò che potete considerare come tale).

Nonostante questo, però, e mi ripeto, una scena deve vivere di vita propria, essere un battito in tutto e per tutto. Altrimenti rischiate il vostro romanzo soffra di aritmia.

Si ripresenta il discorso del microcosmo e del macrocosmo, anche se in altra forma; il macrocosmo è il romanzo, il microcosmo le singole scene. Sia macrocosmo che microcosmo devono essere compiuti.

Proprio così: per scoprire se avete donato a una delle vostre scene una vita propria, è necessario vi chiediate se essa vi comunica un senso di compiutezza. Non importa crei aspettativa, non importa attacchi in modo brusco: fa parte di qualcosa di più grande. Quello che conta è che abbia un senso, deve aggiungere qualcosa al romanzo e questo qualcosa non deve macchiare l’essenza del libro.

Riprendo come esempio la scena d’azione di una battaglia. Sapete che il punto di vista sarà del guerriero di nome Attila, quindi una terza persona limitata, e che il ritmo dovrà essere incalzante.

Ora scrivete – finalmente! -, con passione, magari supportati da una colonna sonora epica (o da un epico silenzio… :-). Quando avete terminato, stremati quanto il guerriero, difficilmente sarete in grado di vedere la scena nel suo complesso con occhio critico. Il giorno successivo, però, sarà già un buon momento per rendersi conto se essa vive di vita propria.

Attila si è gettato a capofitto nella battaglia, è stato ferito, ha ucciso ed era ancora in piedi quando la battaglia si è conclusa, con la ritirata del nemico. La scena è compiuta. Al lettore per ora non serve altro, può chiudere il libro e riprendere la lettura più tardi.

Molte cose potrebbero rendere questa scena incompleta, alcune delle quali sono troppo legate al vostro modo di scrivere e, quindi, impossibili da esaminare in questa sede.

Ma se, per esempio, la scena finisse con Attila ancora vivo e fermo nel bel mezzo di una battaglia ancora in corso, forse il lettore storcerebbe il naso. O lo si lascia combattente in pieno combattimento, creando suspense, o lo si uccide o la battaglia si conclude (o qualcos’altro, purché sia cosa compiuta). Se Attila è vivo e non combatte nel mezzo di una battaglia, la scena non vive di vita propria… manca qualcosa, ha un che di strano, di inconcluso.

Chiaro, l’esempio è stupido, nessuno di voi commetterebbe un errore simile. Ciò che conta è il concetto: quando la scena si conclude, il lettore non deve considerarla lacunosa e quindi percepire un'increspatura innaturale nel fluire degli eventi. Può crearsi un’aspettativa, provare ansia perché cambiate fronte e nella scena successiva non gli dite cosa ne è stato di Attila, che sta ancora combattendo nel bel mezzo della battaglia. Ma non deve pensare: «Ma che diavolo fa? Se ne sta fermo in mezzo alla battaglia?!». Lo lasciate fermo nel bel mezzo della battaglia? Sarebbe un espediente per stupire. Bene: d’un tratto, Attila decide di voler morire, di suicidarsi non combattendo più nel bel mezzo della battaglia (e per dei motivi validi). Ma lo si deve capire… anche se troncate la scena prima che venga ucciso, si deve capire perché abbassa la spada. Vuole suicidarsi. Non può abbassare la spada e basta.

Considerate la singola scena come una piccola vita a sé stante. Scrivetela con passione, mettendocela tutta, sempre, come se da quell’unica scena dipendesse la riuscita del romanzo intero. E fate in modo che il lettore ne sia appagato, alla fine, o che la scena gli faccia provare sensazioni positive: attesa, voglia di continuare la lettura, ansia per la sorte del protagonista, dolore per la sua morte… una qualsiasi cosa, non forzatamente positiva, ma che sia la diretta conseguenza di un testo godibile e compiuto.

Se voi, che siete l'autore, percepite una scena come di passaggio, allora allarmatevi: state per annoiarvi e annoierete anche il lettore.

Vi siete posti come obiettivo scrivere un romanzo, che è una cosa tanto ambiziosa quanto voler scalare una montagna. Ottimo! Per arrivare sulla cima della montagna, dovete muovere un passo dopo l’altro, non potete pensare di arrivarci con un unico balzo. E quando muovete i passi, state attenti a non inciampare, mettendo i piedi in punti precisi del sentiero, evitando di slogarvi le caviglie o di scivolare sul muschio, eccetera eccetera. Questo è il modo in cui camminate e questo è il modo in cui dovete scrivere: a piccoli passi. Se vedete il vostro romanzo come l’insieme di tanti piccoli grandi sforzi narrativi, allora arriverete in cima, perché siete sulla strada giusta.

E pensate sempre al lettore, quando rileggete una scena: è lui che fruisce del testo, anche se dopo di voi. Il lettore è il vostro obiettivo. Qualsiasi cosa vogliate trasmettere, siate autocritici e tentate di capire se siete riusciti a trasmettergliela davvero.

E per essere autocritici, è più facile essere autocritici a piccoli passi.

Nel prossimo capitolo affronterò i legami tra le scene: un potere enorme nelle vostre mani, se utilizzato a dovere.