Quali sono i suoi hobby, il passatempo preferito, cosa le piace leggere? E quali sono i suoi autori preferiti?

Il mio hobby è la scrittura. Quando non faccio il medico, non scrivo, non faccio la spesa e non metto su il minestrone (cucino malissimo, ma continuo a provarci e non ho perso la speranza), porto fuori il cane in mezzo alle vigne e ai boschi. Ascolto ininterrottamente musica e amo fanaticamente il cinema: posso vedere lo stesso film fino a cinquanta volte.

Nei primi due terzi della mia vita adulta ho letto di tutto: tutto quello su cui riuscivo a mettere le mani. Sono stata un lettore disorganizzato e onnivoro. Il ricordo più netto è l’uscita degli Oscar Mondadori, a metà degli anni Sessanta. Uscivano uno la settimana e costavano 350 lire l’uno. Unendo tutte le nostre forze e sgraffignando ancora qualcosa facendo lavoretti in casa o prendendo voti alti io e mia sorella ci arrivavamo. Era uno spasimo ogni volta, fino a quando non eravamo certe di avercela fatta. Li abbiamo comprati e letti tutti, settimana dopo settimana, quello che capitava capitava.

Ora leggo solo saggistica.

Da una quindicina d’anni a questa parte, da quando ho cominciato a occuparmi della morte, non riesco più a leggere narrativa: arrivo valorosamente a pagina 15, qualche volta fino a pagina 20, poi mi perdo, lascio perdere, non me ne importa più niente. Fanno eccezione Primo Levi e Tolkien che rileggo periodicamente e di cui conosco molti passaggi a memoria.

La mia scrittura nasce dai saggi. E’ qui che ci sono le grandi eroine, le regine guerriere, le combattenti che armate di niente altro che della forza della ragione e del coraggio si battono contro i mostri e contro Nazgul (1). Parlo di Ayaan Hirsi Ali, Charhdortt Djavann, Azar Nafisi, Taslima Nasreen (2) e tutte le altre che hanno osato parlare in nome dell’umanità contro la barbarie, la ferocia, la crudeltà, il sadismo e l’idiozia e stanno pagando con il costante pericolo della loro vita il bene inestimabile del pensiero libero.

Come e quando ha deciso di diventare scrittrice? E per dare seguito a questa decisione si è iscritta a corsi di scrittura oppure il saper scrivere, il saper raccontare è un suo dono di natura.

Ho cominciato a scrivere a sedici anni dopo aver visto il film Brancaleone alle Crociate. Ho scritto le prime righe di un racconto lungo, La strega il Cavaliere, la Morte e il Diavolo, su una versione stracciona e disperata di Bradamante, che ho poi finito trent’anni dopo.

Non ho fatto, né consiglierei a nessuno, una scuola di scrittura creativa, che considero una contraddizione nei termini.

Per lo scrivere non sono necessarie scuole di scrittura creativa, insisto, è un ossimoro: sono sufficienti istruzioni riassumibili in un paio d’ore di conversazione. Io ho seguito quelle che Primo Levi dà nel saggio intitolato “Dedicato a un lettore”, uno degli ultimi saggi di “L’altrui mestiere.”

Fondamentale è l’ultima raccomandazione di Primo Levi: per scrivere è necessario ritenere di avere qualcosa da dire. Noi possiamo scrivere solo di qualcosa che risuona dentro di noi. La scrittura è solitudine e passione e anche arroganza. Uno si può considerare uno scrittore quando rileggendo quello che ha scritto, gli piace e molto. Io scrivo perché non potrei non farlo e anche se a nessuno interessasse quello che scrivo, sarà comunque stato un onore averlo scritto. Nei tredici anni in cui nulla di quello che scrivevo è diventato un libro, non mi ritenevo meno scrittore di ora e se raggiungessi il milione di copie non mi sentirei più scrittore di quando non pubblicavo nulla.

Lei ha delle abitudini di scrittura regolari, delle modalità, dei luoghi particolari, ha un rituale nello scrivere? Usa il pc?

Scrivo quando posso e come posso, nei tempi morti, su un quaderno che ho sempre con me. Tutte le sere dalle 9 alle 11, quando la giornata è finita e il tempo è solo mio, lavoro al computer. Per me è importante la “colonna sonora”. Durante tutto il periodo della scrittura di un libro, sento sempre la stessa musica, ininterrottamente.

Quale e’ stato il percorso che ha affrontato prima di veder pubblicato un suo romanzo. Ha ricevuto molti rifiuti?

Sì, per una dozzina d’anni, più o meno. Una delle doti necessarie è l’ostinazione.

In merito a quanto detto che consiglio può dare a chi scrive e vuole trovare una via per pubblicare un suo lavoro.

Di seguire il suo istinto, tenersi stretto un altro lavoro oltre la scrittura, fidarsi solo di Case Editrici con distribuzione nazionale e tanti auguri.

Ha detto che lavora come medico, pensa che in Italia si possa vivere solo scrivendo?

Insisto: consiglio a tutti di tenersi stretto un altro lavoro. Questo ci dà un’assoluta indipendenza. L’editoria è un campo di guadagni imprevedibili e che diventano importanti solo al di sopra di tirature non da poco. Quando le bollette imperversano e ci sono le rate della macchina da pagare, il rischio è alto che la domanda si trasformi da “ che cosa devo assolutamente scrivere?” a ” che cosa posso scrivere che sia facile da vendere?”.

É importante essere indipendenti nella vita come nella scrittura.

Il lavoro non ci dà solo denaro e la conseguente tranquillità ma unitamente alla cultura che uno si è fatto ci permette di far parte della società, ci dà gli argomenti e la direzione: entra nella nostra scrittura caratterizzandola ulteriormente.

Come le è nata l’idea (letture, film o altro) di un mondo ove convivono elfi, uomini, draghi e orchi?

Dalla conoscenza della Storia. Dall’orrore dei genocidi. Dallo studio delle dinamiche psicologiche che sono alla base del razzismo. Da una prolungata carriera come straniero.

C’è un personaggio dei romanzi L’ultimo Elfo e L’ultimo Orco che come carattere assomiglia a Silvana De Mari? Se non ci sono somiglianze, quale e’ il suo carattere nella vita reale.

Il personaggio che più mi rispecchia è Rosalba. Ho i suoi scatti di collera, ahimè non sempre giustificati. Non ho la sua fisicità: non sarei neanche in grado di salire su un cavallo. Ho sicuramente tutte le sue insicurezze. Spero di avere il suo coraggio.

Tra i due romanzi sopracitati, c’è una differenza di atmosfere: allegra, leggera, piena di speranza nel primo, cupa nel secondo. Perché?

L’ultimo Orco è il secondo libro della Trilogia del passaggio: quello illustrato è il passaggio dal mondo fantastico, dove i destini sono già prestabiliti a quello delle scelte, dal mondo degli eroi a quello degli uomini. Sono quattro libri, divisi in dieci sottolibri, ognuno completamente diverso dagli altri, come contenuto, come protagonista e, soprattutto, come stile.

Ogni parte è assolutamente disomogenea rispetto alle altre, perché disomogenee sono la vita e la Storia, e ogni omologazione è arbitraria e artificiale. Mentre qualcuno stava in coda davanti alle camere a gas qualcun altro stava festeggiando il suo compleanno con una torta con le candeline: ambedue le storie sono vere e ambedue esprimono la realtà.

Con la sua descrizione della vita degli orchi, sin dalla tenera età, lei in pratica afferma che la loro cattiveria, la loro ferocia è dovuta all’ambiente dove nascono. E’ così?

La storia si ripete perché la psicologia è immutabile. L’unica maniera che può modificare il futuro è conoscere la storia e conoscere la psicologia.

Non c’è solo la politica e l’economia a determinare il destino di un popolo: c’è la psiche dei suoi componenti. Conditio sine qua non ai grandi totalitarismi europei del XX secolo, c’è un particolare tipo di pedagogia che disprezza la tenerezza e la “debolezza” come crimini. Dietro la ferocia che sta insanguinando il secolo ventunesimo c’è l’asservimento delle madri.

I figli di madri libere e forti non diventano né carnefici né schiavi di nessuno. La pace del mondo passa dal benessere fisico ed economico delle madri, passa dalla loro alfabetizzazione, dalla loro scolarizzazione, loro diritto inalienabile di scegliere chi sarà il padre dei loro figli, dal loro diritto inalienabile di non essere battute, vendute, comprate, sfruttate, ripudiate, lapidate, bruciate, torturate con pratiche atroci che rendono ogni istante della loro vita dolore. Nessun mondo di pace può nascere sulla negazione di questi diritti.

Abbiamo letto che la storia dell’Ultimo elfo è una trilogia. É così? C'è gia un titolo, anche provvisorio?

Dopo L’ultimo Orco ci sono ancora due libri e un epilogo. I titoli sono già stabiliti, ma preferisco non rivelarli. Fino a quando non sono su un libro fanno parte di una giardino che non è condivisibile e deve restare segreto.

Ringraziamo Silvana De Mari e ricordiamo gli appuntamenti con l'autrice, per chi volesse approfondire il discorso. Ecco il programma degli incontri:

06/05/2006, ore 20.30

Torino, Fiera del Libro, Arena Spazio Ragazzi

Incontro con Silvana De Mari e Gianni De Conno, dal titolo: "Avventure di

sera, L'ultimo eroe, leggere, scrivere e illustrare l'avventura fantastica."

Letture da L'ultimo elfo e L'Ultimo Orco.

18/05/2006, ore 10.00

Chivasso (TO), Palazzo Einaudi,

Silvana De Mari parla dei suoi libri L'ultimo elfo e L'ultimo Orco.

19/05/2006, ore 14.30

Chivasso (TO), Teatrino Civico, piazza C.A. Dalla Chiesa 5.

Silvana De Mari parla dei suoi libri L'ultimo elfo e L'ultimo Orco.

Note

(1)vedi La Terra di Mezzo di Tolkien

(2)donne nate in paesi mussulmani, divenute scrittrici, parlamentari ecc.