Prendete una persona qualunque sulla faccia della terra; una a caso. A nord o a sud, in pianura o in montagna, nella più moderna delle metropoli o nel più sperduto dei villaggi di chissà quale foresta. Be’, quella persona ha avuto a che fare una volta o l’altra con i draghi.

È una cosa strana e pazzesca, è come se facessero parte di noi stessi. Come se l’immaginazione degli esseri umani, portata per volere o per forza a doversi figurare una creatura di immane potenza, finisca davanti a qualcosa di simile a un drago.

Non esiste una cultura o un popolo che non includa nel proprio immaginario collettivo la figura del drago. Certo, il nome cambia, e non potrebbe essere altrimenti, ma un grosso rettile, in grado di volare e dai poteri sovrannaturali è sempre presente.

L’elemento comune a tutte le interpretazioni è il riferimento ai rettili o agli uccelli. Niente di strano, come insegna la paleontologia moderna: rettili e uccelli sono parenti stretti, dato che i pennuti discendono direttamente dai celurosauri, dinosauri che, pur essendo a sangue caldo, mantenevano parentele coi loro antenati scagliosi.

The Great Red Dragon and the Woman Clothed in Sun, William Blake 1806-1809
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The Great Red Dragon and the Woman Clothed in Sun, William Blake 1806-1809 <br>

Becco o fauci, sempre prive delle labbra, strette in una perenne espressione predatoria. I piccoli che escono dalle uova, simili agli adulti, ugualmente feroci, privi di quelle proporzioni anatomiche (testa grossa, arti tozzi, occhi grandi) che i cuccioli dei mammiferi hanno per far scattare l’istinto protettivo dei genitori. La pelle dura, magari coperta di scaglie o placche.

E la cosa vale anche per gli uccelli: pensate alle zampe delle galline o alla cresta calva dei condor, così simili quelle dei loro antenati giurassici. Tutte caratteristiche che ci fanno paura o ribrezzo, perché lontane e aliene; eppure esercitano su di noi un innegabile fascino. E infine occhi magnetici, così lontani dai nostri, tanto innaturali da sembrare quasi artificiali.

Non per niente il nome che noi occidentali usiamo per definire questa meravigliosa creatura, drago, ha origine dal greco drakôn, che deriva dal verbo derkomai, ovvero qualcosa come guardare con intensità.

Spettatori e protagonisti dell’alba della civiltà

Il drago finisce per assumere un valore simbolico in tutte le culture, a volte come acerrimo nemico dell’umanità, a volte come misterioso alleato. I serpenti cambiano la pelle, e così i draghi diventano icona del rinnovamento continuo della natura, dell’immortalità. O magari della forze distruttrici degli elementi, col loro controllo sul vento e sul fuoco, sull’acqua e sulla terra; i quattro elementi, poteri che l’uomo solo a volte riesce a controllare, più spesso ne viene sopraffatto.

Markus contro Tiamat
Markus contro Tiamat

A Babilonia, nel moderno Iraq, città di Howardiana memoria, ma anche culla storica della civiltà, tutto il Creato ebbe origine da un drago. Stiamo parlando della mitica Tiamat, figlia e madre del Caos, generata da e generatrice dell’inizio dei tempi. Marduk, uno dei suoi discendenti, aveva ambizioni ingegneristiche e voleva separare luce da oscurità, costruire e progettare. E così affrontò e sconfisse Tiamat.

A quanto pare, l’amore per la creazione supera quello per la famiglia: Tiamat fu smembrata in due e una parte servì a costruire la Terra, l’altra il Cielo. Stelle e Luna furono messe lì, per badare che tutto seguisse il corso del tempo e non venisse sopraffatto dal Caos. Nemmeno i figli di Tiamat furono risparmiati dal massacro; dal loro sangue ebbe origine l’umanità. Secondo un mito uno di loro soppravvisse: il drago Tannin, era buono e adorato dai Babilonesi. Il profeta Daniele lo avvelenò.

Tiamat era anche la signora delle acque salate, mentre Abzu, un bacino d’acqua sotterraneo, era il cuore delle acque dolci. Parte di questa storia la troviamo nel più antico poema epico scritto dall'uomo, l’epopea di Gilgamesh. Alcune tavole in cuneiforme che raccontano il mito sono a Palazzo Te, a Mantova.

Seth combatte Aphopis
Seth combatte Aphopis

L’Egitto, terra dove l’ecosistema non fa mancare di certo abbondanza di rettili, anche di grosse dimensioni, i draghi hanno sempre avuto un ruolo di primo piano nella mitologia e nelle leggende. Da popolo fortemente spirituale qual erano, gli antichi Egizi vedevano nel drago il simbolo del cambiamento. Il fatto stesso che al giorno segue la notte, veniva attribuito a questo fascinoso animale. Alla fine del suo giornaliero viaggio attraverso il firmamento, il dio del Sole Ra doveva combattere e sconfiggere il drago, aiutato dalle anime dei defunti e da una pletora di altri dèi minori, di solito comandati da Horus dalla testa di falco. La nostra splendente divinità, una volta arrivato all’orizzonte a ovest, finiva nel regno dei morti, dove gli toccava combattere Apophis, il dio drago o serpente. Il tutto fino all’alba, quando Apophis finiva sempre per essere sconfitto, fatto a pezzi da Seth, giunto per aiutare Ra. Nel frattempo il corpo del drago veniva ricostruito, in un ciclo perpetuo da far invidia al più stacanovista dei pendolari.

I Testi delle Piramidi, sono più o meno tutto quello che c’è scritto piramidi dell’Antico Regno e del Primo Periodo Intermedio, 2375-2055 a.C.; tutto in geroglifico, naturalmente. Chi ne è capace, lì può leggere frasi come: «Apophis combatté contro Ra e tentò di rovesciarne la barca durante un'eclissi solare». In questa versione della leggenda, Seth fa parte dell'armata di Ra, anche se poi, in testi posteriori, finì per essere identificato con lo stesso Apophis, e divenne anche lui il male dall’aspetto di drago.