Solo, mi auguro che la seduzione tecnica del mezzo non finisca con il sostituire la creatività. Credo che ci sia questa possibilità, in effetti, ovvero che la tecnica si sostituisca in parte alla ricerca personale: non è un grido di allarme, ci mancherebbe, più che altro una riflessione personale che mi capita di fare ogni tanto.

I nuovi strumenti di lavoro sono indubbiamente mezzi affascinanti ma forse c'è il rischio che ci si perda un po' nel gusto di cambiare, rivedere, allungare un disegno (occupazioni che, manualmente, sono molto meno attraenti) perdendo di vista il lavoro che si suppone ci sia dietro. Personalmente mi auguro che, di fondo, la pietra di volta rimanga sempre la creatività del singolo autore. Si vedrà.

Noi, e parlo dei disegnatori della mia generazione, la nostra parte l'abbiamo fatta. Adesso auguro buon lavoro ai giovani e soprattutto auguro loro tutte le possibilità per esprimersi al meglio.

E facendo un paragone con la situazione del passato?

Penso che il periodo dagli anni '70 alla metà degli anni '80 sia stato particolarmente felice perché lasciava il campo a molte esperienze diverse e offriva palcoscenici su cui lavorare. Questa è un'analisi dovuta forse al trascorrere naturale del tempo, rende più facile vedere le cose in prospettiva.

Il fumetto è un ambito interessante, oggi come allora. È una forma espressiva particolare. Quando, grazie ad autori come Hugo Pratt, Crepax o Dino Battaglia, è riuscito a associarsi alla letteratura è stata un'enorme rivoluzione per autori e lettori. Tenga anche conto che sul fumetto è sempre gravata un'impressione – diciamolo sinceramente – un po' deteriore, cosa che in certi ambienti sembra ancora vera oggi. O meglio, l'atteggiamento della critica è cambiato, negli ultimi vent'anni, ma ci sono ancora sacche di resistenza.

In ogni caso, nel tempo il fumetto è diventato una forma espressiva di tutto rispetto: articolata, ricca di sfumature, non più vincolata solo a certi ambiti prestabiliti e "facili".

La cosa si ricollega alla vecchia demarcazione tra fumetto e illustrazione.

Ma sì, anche quella è una vecchia questione che io personalmente non ho mai ritenuto così divaricante. In fondo un fumetto è prestare un'illustrazione a un testo: è chiaro che sono due forme differenti e autonome, ma non si annullano a vicenda. Di me hanno detto spesso che sono più un illustratore che un fumettista; in un certo senso è vero, ma non vedo incompatibilità tra le due forme di espressione. Uno può applicare al fumetto una predilezione personale per certe forme grafiche.

In ultima analisi, se faccio certe cose è perché sento di doverle fare e che mi soddisfano.

Quali sono le tecniche che preferisce usare?

Sono sempre stato interessato al disegno e alla grafica. Anche le mie illustrazioni sono disegni colorati con inchiostri. Di contro sono sempre stato meno interessato alla pittura di cui non a caso non mi sono mai occupato.

In anni abbastanza recenti ho iniziato a dedicarmi anche all'incisione ma più per passione che per lavoro, anche se ho prodotto qualcosa che mi piace. Mi è sempre piaciuta molto, e credo che si veda anche dal mio modo di disegnare, ma mi ci sono dedicato abbastanza tardi.

C'è un autore o una storia a cui vorrebbe lavorare ma di cui non ha ancora potuto occuparsi?

In questo momento non saprei dirle, devo ammettere. Pensando al passato, tra i lavori che ho fatto abbastanza recentemente sono particolarmente legato a Ticonderoga, di Robert Louis Stevenson edito da Nuages.

Mi è stato indicato da un amico e mi sono trovato immediatamente attratto. A volte capita che si crei un rapporto bellissimo tra un testo e il "rivestimento" di immagini che si pensa di dare. Per me Ticonderoga è stato proprio una folgorazione.

Come nascono I Tarocchi delle Origini, uno dei suoi lavori più ammirati?

Dall'affettuosa insistenza dell'editore, che era un amico. Mi ha chiesto per molto tempo di farli ma io nicchiavo perché non amo le carte e tendevo a posticipare la cosa. Poi, quando mi ci sono messo, li ho fatti molto volentieri. Credo anche che siano uno dei lavori che riconosco più volentieri.

Lei ha iniziato come disegnatore ma in un secondo tempo ha cominciato anche a scrivere diventando autore a tutto tondo: com'è illustrare le proprie storie?

Sì, iniziai quando Del Buono era alla direzione di Linus, poi continuai con Corto Maltese e altre riviste. Più che altro ho tentato, cercando di dare forma a certe storie che mi ballonzolavano per la testa, e ho scoperto che mi piaceva. È una fatica enorme, va detto. Dare forma compiuta a un fumetto è impegnativo e molto complesso, un lavoro fatto di pezzi che vanno messi a punto perché alla fine combacino tutti e ne venga una cosa leggibile e valida.

Si è rivelato un processo più impegnativo di quanto non sembri osservando da fuori.

Oggi in Italia ci sono gallerie e editori di qualità che portano avanti iniziative molto valide ma sembra difficile coinvolgere il grande pubblico. Che pensa di queste proposte?

Forse sarà un po' cinico, però molte volte le cose fatte bene sono quelle che hanno meno successo. Sono iniziative fatte con passione e amore e anche se hanno meno risonanza o impatto su un grande pubblico vale comunque la pena di farle. A Milano penso a spazi come Nuages e Crapapelada, ad esempio.

A cosa sta lavorando adesso?

Sto lavorando ad una versione a fumetti di Sandokan per le Edizioni Paoline.

Se volesse consigliarci qualcuno dei suoi lavori, quali sono le sue preferenze?

Funghi e altre storie cattive, una raccolta di racconti brevi apparsi su varie riviste. È edito dall'editore Le Mani. Qui ci sono storie che mi piacciono abbastanza, in particolare quella dei funghi e soprattutto il primo racconto, La Bambola, quella della bambola cattiva. È un lavoro in cui mi riconosco.