Non sono stati gli extraterrestri. Quanto ai druidi, se erano presenti, più che impegnati con canti e magie dobbiamo immaginarli in vesti d’ingegneri ante litteram.

È di questi giorni la notizia che gli archeologi hanno ritrovato, a circa tre chilometri dal complesso megalitico di Stonehenge, i resti di un villaggio neolitico. 

Si tratta di una decina di abitazioni, alcune delle quali complete di pavimento in argilla, e di numerosi focolari. Sono venuti alla luce anche i perimetri di alcuni letti, credenze di legno e armadi. Su parte dei pavimenti è riapparsa spazzatura vecchia di oltre 5000 anni, costituita da pietre bruciate e ossa di animali. 

Crolla quindi, insieme alle ipotesi fantascientifiche o fantastiche, anche la tesi che immaginava il più famoso complesso megalitico del mondo  realizzato in una zona completamente disabitata.

Le minuscole case – le loro dimensioni si aggirano intorno ai cinque metri quadrati – erano situate lungo la via sacra che raggiungeva il fiume Avon. È stata avanzata l’ipotesi che alla corrente del fiume venissero affidate le ceneri degli antenati.

Questa strada, in linea con il tramonto del solstizio d’inverno, era complementare a quella del cerchio di pietre, allineata con l’alba del solstizio d’estate. 

Lo scopo per cui il complesso megalitico è stato realizzato continua ad essere ignoto, anche se l’indubbio legame col ciclo delle stagioni ha fatto supporre che avesse una funzione rituale, o forse di calendario.

Quel che è certo è che gli scavi archeologici, se da un lato forniscono interessanti informazioni sul nostro passato, dall’altro tolgono la poesia e quel sentore di leggenda che continua ad ammantare questi luoghi. Almeno fino al momento in cui non tornerà alla luce l’ultima dimora di Uther Pendragon.