Pensavamo che il secondo episodio di Shrek si concludesse nella migliore tradizione favolistica con un bel ‘e vissero felici e contenti’. Macché.

La prospettiva di passare la vita a corte stretto in un bustino che impedisce qualsiasi movimento, una parrucca settecentesca calcata in testa e un neo finto applicato su uno strato di cipria, insieme alla notizia dell’imminente paternità, popola di incubi la notte di Shrek.

Per ritrovare la tranquillità della cara e fetide palude occorre che qualcuno prenda il posto sul trono del defunto re di Molto Molto Lontano, che altrimenti sarebbe destinato all’orco.

Il più vicino alla linea di successione è il giovane Arthur Pendragon, adolescente petulante e lagnoso,  bersaglio dei goliardici scherzi di Lancillotto e della cricca (altro che principi cavallereschi) che frequenta un liceo medievale. Shrek vi si reca con il fido Ciuchino e l’ormai inseparabile Gatto con gli stivali, per convincere Arthur a calcarsi una corona in testa.

Ma guadagnare il trono può rivelarsi affare più lungo e complicato che estrarre una spada dalla roccia, e questo nonostante l’aiuto del mago Merlino.

Nel frattempo infatti il principe Azzurro ha reclutato in una bettola un esercito composto dai peggiori figuri apparsi nelle favole, compresi capitan Uncino, la Strega cattiva, un ciclope e alcuni alberi malvagi che farebbero inorridire Barbalbero e tutti gli Ent.

Ma un’inaspettata task force si scatena in difesa del regno…

Nel primo film, un vero manifesto contro l’intolleranza e il pregiudizio, Shrek incontra e s’innamora della donna/orco della sua vita,  Fiona; nel secondo incontra i genitori di lei, un’enorme prova di  coraggio; nel terzo esce della fiaba ed entra nella mitologia per seguire le orme degli eroi classici, impegnati fin dai tempi dell’Odissea in una perigliosa ricerca, e affronta le responsabilità di una imminente paternità e i problemi del ‘lavoro’.

Nel mondo incantato delle favole è il disincanto la dote che ha sempre contraddistinto Shrek, unita a una non tanto sottile animosità nei confronti delle produzioni disneiane, fonte di feroci e divertenti parodie.

I sottotesti hanno reso il film adatto più a un pubblico di adulti che di ragazzi. Saranno proprio loro a perdersi la maggior parte del divertimento, considerato che gli sceneggiatori sembra si siano impegnati più a trovare la battuta a effetto, che purtroppo a volte cade nella comicità grossolana, che a dare una struttura solida al racconto.

Ci sono momenti brillanti, come la teatrale morte del padre di Fiona, o il flashback dell’omino di zenzero, che da soli valgono il prezzo del biglietto. Strepitoso anche l’interrogatorio di azzurro che ‘mette alle corde Pinocchio:

- Tu, non puoi mentire, perciò dimmi, burattino, dov’è Shrek?

- Bhe, non so dove non è.

- Mi stai dicendo che non sai dov’è Shrek?

- Non sarebbe impreciso presumere che non potrei esattamente non dire che sia o non sia quasi parzialmente inesatto.

- Sai allora dov’è?

- Al contrario. E’ possibile, più o meno, che io non respinga del tutto l’idea che in nessun modo con qualunque dose d’incertezza, innegabilmente so o non so dove non dovrebbe  probabilmente essere, sempre che lui non sia dove non è, anche se lui non fosse dove…

Dal punto di vista dell’animazione e dei disegni, Shrek è una meraviglia di minuziosità e colori. I personaggi sono più espressivi di molti attori hollywoodiani e i movimenti più aggraziati (rimane una fastidiosa legnosità quando li si guarda ‘in corsa’), ma nel complesso c’è meno energia, e l'intelligenza e il fascino dei protagonisti del primo Shrek sono sostituiti dalla mediocrità dei nuovi personaggi.

Anche i vecchi amici subiscono un’involuzione: Shrek finisce per diventare gentile e amabile (gentile e amabile?!) e pare che gli sceneggiatori non abbiano saputo che fare di Chiuchino e del Gatto con gli Stivali, ridotti a comprimari. Insomma, un film che sembra girato dal ‘pilota automatico’

Si sa, dai sequel abbiamo imparato a non aspettarci molto, ma Shrek riesce a deludere le pur modeste attese. Alcuni spunti sono potenzialmente interessanti e meriterebbero un approfondimento (è il caso del riluttante mago Merlino, a cui la magia non piace) al posto di una chiusura frettolosa. Il geniale scambio d’identità fra Ciuchino e il Gatto con gli stivali, situazione potenzialmente esilarante, si limita allo scambio di voce nei due corpi. Anche la colonna sonora, strepitosa nel primo, pare meno incisiva ed efficace nel sottolineare i momenti topici.

Due stelline e mezzo (il mezzo c’è, ma non si vede) per un episodio che resta imperdibile per i fan dell’orco verde, e godibile per gli altri.