Lo scrittore Uri Orlev vive e lavora in Israele ed è uno scrittore di romanzi rivolti ai ragazzi, molto famoso in patria e anche nel resto del mondo con suoi romanzi tradotti in trentotto lingue e vincitori di vari importanti premi.

In questi giorni la Salani ha pubblicato il suo romanzo La corona del drago. Abbiamo approfittato della sua presenza al Festivaletteratura di Mantova per intervistarlo.

La lettura del romanzo “La corona del drago” semplice a una prima lettura, nasconde però, a nostro avviso, profonde problematiche. Quali sono stati i riferimenti culturali su cui si è sviluppato?

La lettura cosiddetta immediata e semplice è in realtà il primo contatto a volte distratto che consente l’accesso al romanzo,  sta poi alla responsabilità, alla coscienza e alle conoscenze del lettore  muoversi verso gli altri spazi penetrando nelle situazioni più profonde e in comprensioni più articolate.

In ogni caso per me è benvenuto anche il lettore che si sofferma a una lettura semplice di divertimento e di suspense.

Faccio un esempio pescando da uno degli episodi del libro: -  alla fine del viaggio quando i due abitanti del Regno del Bene (Il primo ministro e il maestro) si trovano davanti a una situazione da loro mai affrontata: hanno fame, la scelta, per loro vegetariani è cacciare o non cacciare la lepre che sta davanti a loro, e dopo averla catturata la si deve uccidere, cuocere e mangiare? Fare cioè quello che per loro è il “male” e oltre tutto disgustoso?

Approfondendo l’argomento viene la domanda di come ci si pone davanti a una guerra; si deve combattere oppure no? Cosa si deve fare di fronte al male?

 Come è nata l’idea di questo romanzo? Quale messaggio vuole lanciare?

Per rispondere a questa domanda devo tornare un poco indietro nel tempo. Ricordo che quando mio figlio era piccolo, dopo aver visto tanti film e tanta tv si era reso conto che il mondo era pieno di gente cattiva e allora mi chiese:- ma dove stanno, dove abita questa gente cattiva? Questa semplice domanda mi diede lo spunto per il presente romanzo.

In primo luogo ero dell’idea di scrivere un libro per bambini pieno di illustrazioni invece poi è venuto fuori questo romanzo che non è solo per bambini ma per lettori di tutte le età (e questo lo vorrei sottolineare) dove magari le situazioni vengono meno ma il potere della trasmissione culturale del bene e del male è molto forte.

Aggiungo ancora, che pensandoci oggi, anche la consapevolezza dello scrittore può mutare sul contenuto del libro, assumere nuovi aspetti.

Comunque nel volere in questo libro,  separare in modo cosi nitido nello spazio, il regno  dei buoni da  quello dei cattivi si è arrivati  a una forma quasi estrema in effetti fiabesca.

Applico così in un contesto odierno una situazione che ho vissuto nel passato, e cioè affermo  che il male non è mai assoluto e nemmeno il bene e questo forse è il leit motiv che accompagna tutta  la mia scrittura.

Verso quale fascia di età è rivolto il suo romanzo?

Come ho già detto il romanzo pur essendo scritto per lettori entro una fascia giovanile, è rivolto verso lettori di qualsiasi età.

Da quanto scrive ci sembra di capire che anche dalla persona più malvagia può venire qualcosa di buono. Non ritiene di essere molto ottimista?

E’ veramente facile, in questi tempi moderni, vedere il male assoluto e dipingere le persone come dei carnefici senza anima.

Faccio ancora un esempio: il  famoso scrittore ebreo israeliano di nome KA-tzenik (Yahiel De-Nur) scrisse a suo tempo il bellissimo  romanzo: La casa delle bambole (edito da Mondadori) un opera molto importante nella letteratura della Shoah. Un romanzo dove la sofferenza e il male è descritto magistralmente e con cognizione di causa. L’autore però dopo molti anni  ha poi affermato che si queste persone erano mostri, degli aguzzi, dei diavoli ma comunque in loro c’era qualcosa di umano.

Io, quanto afferma Ka-tzenik, lo avevo capito sin da bambino e continuo  a scrivere attraverso questa conoscenza  e questa consapevolezza. Le strade di ognuno di noi sono molto diverse: c’è chi ci arriva  prima e chi arriva dopo.

Il mio romanzo nasconde molti fatti che sono profondamente segnati nella mia memoria, come quando percorrendo il ghetto, quando ancora mia madre era in vita, vidi con i miei occhi un soldato tedesco distribuire del pane ai bambini affamati che si trovavano per la strada magari seduti sui marciapiedi perchè non avevano la forza di alzarsi. Arrivato a casa raccontai questo fatto a mio fratello ma lui non volle credermi

Questo episodio prova che all’interno di un sistema malefico c’era chi si comportava in maniera umana.

Come si pone nei confronti della narrativa di “genere”?

Leggo molto volentieri, forse leggevo molto di più nel passato e da ragazzo ero un lettore vorace di romanzi di avventura e circa dieci anni fa leggevo molta fantascienza.

Infatti sono il traduttore ufficiale dei romanzi del grande autore polacco Stanislaw Lem. Ne ho tradotti circa una decina.  Mi piacciono i libri buoni e apprezzo ovviamente la qualità. A casa ho un ottimo critico letterario che è mia moglie. Non mi piacciono i libri che trattano il male perchè di questo ne ho visto abbastanza nella vita.

Ricordo ancora che da ragazzo lessi un libro tradotto dall’italiano, e mi piacque molto, il  titolo era “Ciondolino” la storia di un bambino che si era trasformato in formica.

Come e quando ha sentito la necessità di scrivere, che aveva qualcosa da raccontare? e quale è stato il suo primo racconto?

In pratica sono nato con la necessità, la spinta di scrivere e raccontare. Già prima della guerra a otto anni ero un lettore precoce e già scrivevo. Ricordando particolari della mia infanzia, mi vedo ancora al parco giochi, dove tutti gli altri ragazzini giocavano  ma io ero li a inventare e raccontare storie.

Purtroppo i tanti impegni dello scrittore ci fanno chiudere l’intervista e non possiamo porre altre domande.