La testata ufficiale dello Stato Vaticano si è occupata, nell'edizione di ieri, del famoso maghetto che tanto scompiglio ha portato negli ambienti cristiani.

Come si ricorderà, persino coloro che hanno rivestito ieri e rivestono oggi della carica papale si sono schierati su due fronti opposti: da un lato un benevolo Giovanni Paolo II, che vedeva nella saga un incoraggiamento dei valori e delle virtù del Bene; dall'altra Benedetto XVI, fortemente critico e sospettoso nei confronti del messaggio propugnato da J.K. Rowling.

Sull'Osservatore Romano si affrontano allora, specularmente, due saggisti di opposto avviso. Uno già noto al pubblico fantasy per le sue pubblicazioni sugli scritti di J.R.R. Tolkien, Paolo Gulisano; l'altro Edoardo Rialti, educatore ed esperto in letteratura britannica.

FantasyMagazine si è sempre schierata a favore della validità del maghetto, e dunque in questa 'singolar tenzone' saggistica contesta ovviamente l'articolo di Rialti. Vediamo assieme perché.

La posizione di Rialti si risolve sostanzialmente nel ravvisare in Harry Potter un sovvertimento delle leggi morali che dovrebbero improntare la bellezza del Fantastico. Rifacendosi al celeberrimo saggio Sulle Fiabe di Tolkien, egli scrive: "possiamo immaginare un universo illuminato da un sole verde, ma non dobbiamo cedere alla tentazione di presentare come positiva una realtà dove la struttura morale e spirituale siano invertite o confuse:  un mondo dove il male sia bene. Ed è esattamente questo che accade in Harry Potter".

L'affermazione non può che scioccare profondamente chi ha letto senza pregiudizio anche solo un libro di questa saga, perché la Rowling giammai propugna una simile tesi. Ma proseguendo nella lettura, l'affermazione di Rialti diviene più chiara: per lo studioso questo sovvertimento etico risiede nel fatto di propugnare la stregoneria. Ritorna dunque il trito leit motiv di certa intransigenza religiosa, che si concentra sulla forma con cui il messaggio è veicolato piuttosto che sul messaggio in se stesso. La stregoneria è condannata dalla Bibbia e tanto basta a obbligarci a fare un bel falò di qualsiasi creatura partorita dalla fantasia che si muova in questo solco. Come tali posizioni possano dimenticare clamorosamente che tutte le fiabe sono popolate da streghe e maghi, buoni o cattivi a seconda della vicenda, rimane un mistero. Eppure, altre cariche ecclesiastiche poste a salvaguardia della fede, come don Peter Fleetwood,  lo hanno invece ben presente: in una nota d'agenzia del Servizio Informazione Religiosa della Conferenza Episcopale Italiana, egli ha dichiarato infatti che "nessuno di noi è cresciuto senza fate, maghi o streghe". Nel caso della creatrice di Harry Potter, "cristiana per convinzione, anche se non praticante in senso tradizionale", questi personaggi non sono dunque "bandiere ideologiche anticristiane, ma aiuti per i ragazzi a saper riconoscere qual è il conflitto fra bene e male".

Ma vi è di più: l'argomentazione di Rialti prosegue affermando che  in Harry Potter si assiste alla "manipolazione violenta delle cose e delle persone grazie a delle conoscenze occulte, appannaggio di pochi eletti:  il fine, in fondo, giustifica i mezzi perché i sapienti, gli eletti, gli intellettuali sanno come controllare anche le potenze oscure, e volgerle al bene, no?"

Un'affermazione del genere è indicativa di una conoscenza davvero en passant della saga, specialmente alla luce dei fatti evidenziati nei Doni della Morte. Anzitutto perché, proprio in Harry Potter, a differenza di ciò che accade normalmente nelle fiabe o in altre saghe fantasy, la magia non è appannaggio di eletti ma è alla portata di tutti, babbani compresi. A volte questi ultimi si rivelano, anzi, ben più capaci dei maghi purosangue: si veda il caso di Hermione contrapposto a quello di Ron.

Non solo: in Harry Potter gli 'intellettuali' non sanno affatto come controllare le potenze oscure, specialmente quelle che risiedono all'interno della loro personalità. Infatti Albus Silente, uno dei più grandi maghi mai esistiti, emerge nel settimo e ultimo libro come l'epitome dell'umana fallacia, perchè soggetto a marchiani errori di valutazione che, proprio a causa di un 'originale peccato di presunzione', l'hanno condotto a una vita tormentata dal rimpianto e dal rimorso. Albus, sacrificando gli affetti al potere della magia e sopportandone poi le pesantissime conseguenze, è dunque esattamente l'antitesi di ciò che Rialti intende propugnare.

Ma, qualche riga più sotto, la vera ragione delle critiche viene finalmente allo scoperto, laddove si legge che "Harry Potter è pur ricco di valori cristiani, ma quegli stessi sono staccati dalla sorgente vera che li fa essere, il vero ordine delle cose". Ecco dunque dove risiede la profonda antipatia di alcuni cristiani nei confronti della saga: il fatto che essa non faccia mai espresso riferimento a un essere divino super partes.

A questo si può replicare anzitutto che si tratta di una scelta legittima dell'autore, come altrettato legittima è quella opposta, adottata per esempio da C.S Lewis nelle Cronache di Narnia, di fare esplicito riferimento alla figura di Gesù Cristo. Ma scegliere la prima via non significa necessariamente propugnare un modello aberrante. E' solo un modello diverso, che caldeggia i valori del Bene esprimendosi attraverso un'altra modalità, la quale, nella coralità del 'villaggio globale', ha e deve avere analogo diritto di cittadinanza. Del resto il valori del Bene, piuttosto intuitivi per chiunque (a parte forse il concetto di coesistenza delle differenze, che fatica ancora a farsi strada in molti sistemi sociali e religiosi), restano tali anche se non si fa espresso riferimento alla loro origine e dunque il loro messaggio positivo resta completamente intatto.

Ma volendo andare maggiormente in profondità, in Harry Potter vi è molto di più: anzitutto l'allusione cristologica così cara a Rialti, benché assente nei primi sei libri, appare chiara come il sole nel settimo, con un Harry che si sacrifica per il bene comune e, a suo modo, 'risorge' fortificato da questa esperienza. Considerati i preconcetti nutriti verso questa saga, è però  un bene che Rialti non se ne sia accorto, altrimenti avrebbe probabilmente gridato al sacrilegio.

Oppure, anche volendo trascurare quest'ultimo elemento, si può benissimo vedere come la sorgente divina di cui Rialti sente così tanto la mancanza è ben presente, e da subito, in tutta la vicenda potteriana, basta saperla vedere al di là della forma tradizionale che il cristianesimo le conferisce: è la forza dell'Amore, l'origine di qualsiasi atto di bellezza creativa, una qualità che, secondo qualsiasi sistema filosofico o religioso, permea l'essenza divina, a prescindere dal suo nome, e ne fa la sua dote precipua.

Ancora, Rialti, facendosi forte delle citazioni tolkieniane, prosegue nell'evidenziare che "la magia produce, o pretende di produrre, un'alterazione nel mondo primario (...) non è un'arte, ma una tecnica; ciò che desidera è il potere in questo mondo, il dominio di cose e volontà". Questo, ai suoi occhi, è un fatto condannabile che però, ai nostri, ha il sapore retrò di una posizione luddista. Seguendo la 'logica' di questa  concezione immobilistica, l'uomo sbaglierebbe allora a perseguire quasiasi forma di progresso, sia esso scientifico, tecnologico, o anche solo sociale. Esso infatti sarebbe uno stravolgimento di ciò che, in dotazione, ci ha dato il mondo originario, e cioè nulla (non un vestito, non una ruota, non un libro di fisica, nemmeno un sistema di organizzazione tribale) a parte un ambiente meraviglioso in cui interagire, un corpo che rappresenta una macchina stupefacente e una mente creativa fatta - sono parole della Bibbia - "a  immagine e somiglianza di Dio". Tutto ciò che ci circonda oggi non è altro che il prodotto di sfruttamento di questi fantastici utensili primari donati all'uomo dal Creatore (qualsiasi concetto spirituale si voglia intendere con questa parola). E senza questo sfruttamento, la civiltà non esisterebbe.

Ma proprio qui sta il paradosso: nonostante sia la Bibbia a porre l'uomo in questa luce divina, la religione si ostina a ricacciarlo in fondo, e Rialti con essa, comparando la positività di Frodo o dei fratelli Pevensie con la negatività di Harry Potter, laddove viene sottolineato che nei primi si ravvisa "la scoperta straordinaria del cristianesimo autentico, per cui protagonista della storia non è l'uomo eccezionale, come nel paganesimo antico e nelle sue recrudescenze nelle ideologie odierne, ma l'uomo che dice di sì, così come è, alla iniziativa del mistero di Dio".

Evidentemente al commentatore è sfuggito il senso del sacrificio ultimo di Harry nei Doni della Morte, dove in nome dell'Amore il ragazzo non esita ad abbracciare l'esperienza ultima, dimostrando così di saper tradurre nella pratica il più altro precetto del cristianesimo: ama il prossimo tuo come te stesso.

Ma anche se Rialti l'avesse colto avrebbe probabilmente commentato, come del resto fa  più sotto, affermando che "il Demonio nella Sacra Scrittura non dice mai 'Non c'è Dio', ma la ben più subdola seduzione di 'Voi sarete come Dio'". Eppure era proprio Gesù Cristo che affermava come, nel nome del Padre, chiunque potesse fare le cose che lui stesso faceva e che il più grande sacrificio che un uomo può fare è donare la propria vita per quella di un altro, esattamente come fece lui. Dunque anche Gesù Cristo era un new ager?

Rialti prosegue la sua critica notando che "libri come Harry Potter mostrano un palese disprezzo per i 'babbani', gli uomini comuni che non hanno la magia". Di nuovo, non si può fare a meno di notare la superficialità con cui, evidentemente, il commentatore ha letto i libri della Rowling. Il disprezzo per i babbani, infatti, è caratteristico dei cattivi della saga, mentre i buoni non solo vi si oppongono, ma, esattamente come Harry (il quale, non dimentichiamolo, ha nonni materni babbani), sono disposti a lottare a costo della vita (che in molti infatti perderanno) affinché il dominio di Voldemort e, assieme ad esso una tale concezione discriminatoria, non possa trionfare.

Rialti rincara di nuovo la dose affermando che "da insegnante ho avuto modo di verificare bene la carica diseducativa di una simile proposta per i ragazzi". Un'affermazione che rimane buttata lì, senza che venga sostanziata da alcun esempio pratico, alla quale si chiede di credere sulla parola. Mentre, guardandosi attorno, l'impatto educativo alla lettura rappresentato da Harry Potter non solo è sotto gli occhi di tutti, ma è ben documentato da studi statistici o, se ciò non bastasse, dai meri dati di vendita.

Nè, d'altro canto, ci sembra che il mondo sia stato invaso da schiere di piccoli satanisti impazienti di soggiogare noi babbani mediante l'esercizio di un non precisato kit di poteri occulti (evidentemente comprati a Diagon Alley). La verità è, piuttosto, che se qualcosa di diseducativo minaccia le menti dei giovani, ci si deve rivolgere (e ci si rivolgano, gli educatori!), al piattume encefalico e alla superficialità propugnata da mezzi ben più potenti e subdoli di un libro, come ciò che si vede nella gran parte dei palinsesti televisivi nostrani.

In definitiva Rialti dimostra quindi una lettura pressapochistica dei libri e un'incapacità di valutarli con occhi scevri da preconcetto.

Un'operazione che, invece, Paolo Gulisano svolge perfettamente riassumendola magistralmente nella chiusa del proprio articolo:

"L'uomo ha desideri grandi (vedi lo specchio delle brame), ma non può trasformarli in bisogni da soddisfare subito:  se cerca di farlo perde la sua stessa identità di uomo; egli è invece chiamato ad aderire ad un progetto che lo supera. Da chi viene questo progetto? La Rowling non lo esplicita chiaramente, ma lascia in sospeso una domanda, quella che nasce ogni qualvolta l'uomo cerca di capire il senso della sua esistenza".

E proprio il fatto che la Rowling non espliciti, risiede uno dei punti di maggior attrito fra chi pretende che la propria concezione trascendente debba essere l'unica e chi invece reclama il diritto di decidere in autonomia - in rispondenza al proprio vissuto personale, che è unico e irripetibile per ognuno di noi - concedendo agli altri, con umana e divina tolleranza assieme, analogo diritto.

A chiusura di questa lunga confutazione, va riconosciuto all'Osservatore Romano il merito di aver dato uguale spazio ai due opposti fronti, e questa è sempre una cosa estremamente apprezzabile.