Il libro degli esseri immaginari  non mancherà di deliziare chiunque ami il fantastico. Sia chiaro: intendo per fantastico la ricerca del meraviglioso attraverso lo stupefacente.

Ovvio che, messa in questi termini, parliamo qui, più che di un genere letterario, dell’espressione potenziale di una ben definita inclinazione dell’animo umano: quella che tende verso le verità ultime ed essenziali che si troverebbero, liberi dalle pastoie e dalle superstizioni della cosiddetta realtà, al di là del mondo dei fenomeni. A questa tendenza si contrapporrebbe quella in virtù della quale possiamo nutrire, invece, una piena fede nei valori del reale, del mondo e del quotidiano.

La contrapposizione è utile; ed è antica, come anche recentemente ci testimonia il bel “Letteratura e poesia dell’antico Egitto” di Edda Bresciani, dove si può osservare, compulsando il testo, come già in una delle più antiche letterature questa distinzione è meno culturale che religiosa, politica e antropologica.

Se volessimo sfruttare le occasioni che offre la brevità di un articolo ed essere, dunque, lapidari, potremmo sommariamente decidere che è sempre ascrivibile al fantastico qualsiasi espressione letteraria che abbia come soggetto ciò che si ritrova eccentrico rispetto ai nostri normali orizzonti: mondi alternativi, il mondo al di là del nostro, questo mondo deformato sotto lenti che lo ingrandiscono, rimpiccoliscono o sfigurano;  il nostro mondo, ma caricato di un valore simbolico che nel corso dei commerci di tutti i giorni ci sfugge tragicamente.

In linea di massima si può notare che il linguaggio per mezzo del quale si cerca questa eccentricità è eccezionale, ricco, impressionante, barocco, complesso e sacramentale: è una lingua popolare; una lingua, fa notare lo stesso Borges (ma dalle nostre parti Elsa Morante aveva impiegato quale decennio di meno a capirlo) che eccita, al pari della musica, la passionalità dirompente e immediata delle classi meno abbienti.

Espressione opposta a questa sarebbe, invece, quella realistica, dove la realtà, eccezionale o meno che sia, è cantata, vuoi per encomiarla vuoi per criticarla, come un valore assoluto cui tributare la più alta fede. Il linguaggio per mezzo della quale si esprime questa fede tende a un minino di complessità, e ricerca una comunicazione diretta ed esatta.

Fidare nella possibilità che una parola possa comunicare un oggetto come realmente dato trova conforto in una dogmatica mitologia dell’oggettività assoluta, ma tradisce senza meno la sua origine nell’ambiente dei commercianti. Un commerciante ha bisogno di valori esatti per scambiare merci; ogni parola deve corrispondere precisamente a  qualcosa: pochi aggettivi, rari avverbi e niente scherzi.

Se, concludendo, possiamo per esempio prendere a paradigma dei realisti un documentarista come Defoe che ha onestamente giurato fino all’ultimo (e forse ne era patologicamente convinto) che la storia di Robinson Crusoe era vera, verissima, è certo che possiamo dare un bel posto di onore fra i fantastici a questo imbroglione, a questo imbonitore coltissimo e canzonatorio di nome Jorge Luis Borges che al fantastico si è dedicato come saggista, come recensore, come pensatore, scrivendo racconti gotici e polizieschi e, perfino scrivendo novelle di un realismo del tutto improbabile.

Il libro degli esseri immaginari, nel quadro della sua produzione, è un lavoro certamente  non marginale.

Ampliamento (di appena 34 capitoletti) del precedente “manuale di zoologia fantastica”, questo catalogo ragionato sulle creature della fantasia è stato compilato insieme a Margarita Guerrero. È un fatto che questo supplemento aggiunge poco e in maniera stanca al primo libro, e conclude in sordina un progetto che ha subito tutto le fasi alterne del legame, non solo intellettuale, fra i due autori. Tale Norman Thomas di Giovanni  riuscì, è vero, a convincere Borges, alcuni anni più avanti, a fare coppia con lui e riprendere in mano il testo. Ma questa convinzione dovette venire meno davanti all’esuberante intraprendenza del di Giovanni.

Lasciamo l’intraprendenza ai realisti, e ai fantastici permettiamo di compilare bestiari.

Sì, perché in un bestiario non si trovano animali che potrete facilmente acquistare al mercato e, se anche ce ne trovate uno, magari un bel pollo, bene, sappiate che è qui in veste di rappresentante regale del dio sole, dio egli stesso, e non so se, allora, ve la sentireste di spennarlo e mangiarvelo. Addio intraprendenza!

Questi animali ci vengono dal mito, dove, ha insegnato qualche decennio fa uno degli ultimi indiani d’America a qualche antropologo, si parla di tempi in cui uomini e animali sono la stessa cosa; sono passati attraverso le favole morali e, nella tarda antichità, per mediazione gnostica e neoplatonica, sono approdati sui papiri orientali del “Fisiologo”, il primo testo in cui gli animali vengono spiritualizzati in termini cristiani al fine della salvazione delle nostre anime; finché, trasformati con pazienza alchemica in maniera diversa per tutto il medioevo e rimossi nell’epoca dei Lumi, eccoli ritornati grazie alla premura di Borges, che prende i miti, prende le favole, prende le spiritualizzazioni, le demonizzazioni, i fatti maggiori e minori della letteratura e vi aggiunge una dosa incredibile di umorismo (Cerbero ha tre teste, afferma l’argentino, “ per maggiore comodità delle arti plastiche”), per scrivere di nuovo il sempre identico libro dei sogni che ogni libro fantastico, liberandoci dal mito della realtà, vuole essere.

Non può mancare di deliziare chi ama il fantastico questo libro, che è un sogno.