Il ragazzo l’osserva; sembra ringiovanita. Ha gli occhi nocciola lucenti, le guance colorite d’un rosa pastello, come le labbra. I capelli bianchi sono raccolti in uno chignon.

– Lo sai, qui da noi si dice: chi tace acconsente? – prosegue la donna.

Senza rispondere, il ragazzo continua a osservarla. Il suo sguardo si posa sulla banda bianca macchiata di rosso che fascia il polso sinistro della donna.

– Bene – continua Marianita – lo prendo come un . T’aspetto nel salotto verde – e detto ciò, gli dà le spalle e se ne va.

“Strana bestia”, pensa Vlady guardando sparire l’anziana signora che, nella vestaglia insanguinata ha l’aria d’un fenicottero ferito. Il ragazzo vede il suo coltello a terra. S’alza, lo raccoglie e, cauto, segue la donna. Un corridoio lo porta in un vasto ambiente dalle pareti tappezzate di velluto verde muschio. Mobili antichi, tappeti, ninnoli, quadri, incisioni, vecchie foto. Il tutto sembra all’abbandono. Marianita l’attende in piedi accanto a un caminetto di marmo bianco. Alle sue spalle, un dipinto la ritrae giovane, bellissima, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, indosso una leggera tunica bianca.

– Sì, sono... ero io. Norma, il mio più grande successo.

Vedendo lo sguardo interrogativo del ragazzo, Marianita sorride appena. Si dirige verso un grammofono. L’accende, apre le braccia e, in modo teatrale, le alza. Solleva un poco il capo e, socchiudendo le palpebre, sussurra: – Ascolta.

In religioso silenzio, attende le prime note della famosa aria: “Casta diva, che inargenti / queste sacre antiche piante / a noi volgi il bel sembiante / senza nube e senza vel... / Spargi in terra quella pace / che regnar tu fai nel ciel...”.

Vlady, nudo, il coltello in mano, resta all’ascolto. Marianita muove le labbra, quella voce sembra uscire dal suo corpo. Ancora una volta, il ragazzo lascia cadere il coltello. Lo sdleng! metallico sul marmo del pavimento è assorbito dalle ultime note di quell’aria. Marianita abbassa le braccia e, come richiamando a sé il suo spirito errabondo, fissa il ragazzo e dice: – Allora, t’è piaciuta?

Il ragazzo non risponde.

– Sono stata una Regina indiscussa negli anni ’20 – dice quasi a se stessa.

– Di quale secolo? – trattiene una risata il ragazzo a guardare quella vecchia pazza.

La donna gli rivolge uno sguardo severo e dice: – Del Novecento.

– Bella, ti ricordo che siamo nell’aprile 2006.

– Lo so.

– Ah sì? E allora, come avresti potuto cantare quasi un secolo fa?

Per la prima volta, Marianita gli rivolge un sorriso di vera tenerezza. S’accomoda un po’ i capelli e dice: – Per noi, il tempo non ha più importanza.

– Per noi chi? – replica con una smorfia di disgusto il ragazzo.

– Noi, i morti.

Vlady resta un attimo sgomento, poi esce dal salone dicendo: – Mi vesto e me ne vado. Tienili pure i tuoi soldi, ti serviranno per uno psichiatra, uno buono.

– Dove vai? – dice Marianita.

– Fuori! Aria! Qui soffoco!

Lentamente, la donna si dirige nell’altro salone. Vlady si sta vestendo.

– Non puoi più andare da nessuna parte – dice la donna.

Senza ascoltarla, il ragazzo finisce di vestirsi e va verso la porta d’entrata. Mette la mano sulla maniglia e, con un tuffo al cuore, sente la mano attraversare il metallo. La maniglia sembra un puro gioco di luce. Vlady rivolge lo sguardo attonito alla donna che, sorridendo lieve, s’avvicina a lui, lo prende per la mano e lo conduce alla finestra aperta.

– Guarda – sussurra.

Il ragazzo si sporge e giù a terra, ai piedi del robusto glicine in fiore, in mezzo a una pozza di sangue, vede un corpo fracassato, il suo.