Argentina, 1976. Tom è un insegnante inglese disilluso che accetta un incarico presso un prestigioso college in Argentina, un paese lacerato dalla dittatura militare. Durante una gita in Uruguay trova un pinguino intrappolato nel petrolio e, più per impressionare una ragazza che per autentico altruismo, decide di salvarlo. Una volta guarito, l’uccello marino sembra non volerlo più lasciare e Tom è costretto a portarlo con sé oltre confine, nascondendolo nella scuola dove ogni animale è severamente vietato. Quella che nasce come una seccatura si trasforma in un’improbabile avventura: Juan Salvador – così viene ribattezzato – diventa la mascotte degli studenti, una creatura capace di creare un’oasi di leggerezza mentre tutto intorno il Paese affonda nella repressione. Per Tom sarà l’inizio di un viaggio interiore, un confronto inevitabile con la propria coscienza e con la responsabilità di non chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie.

Diretto da Peter Cattaneo, lo stesso che aveva trasformato un gruppo di disoccupati in improbabili spogliarellisti nel cult Full Monty, Il professore e il pinguino si muove su un crinale rischioso: favola civile e dramma politico. Eppure il regista riesce a tenere insieme i due registri con sorprendente leggerezza, evitando prediche e didascalismi, preferendo un’ironia venata di malinconia.
Il cuore del film è l’evoluzione di Tom. Steve Coogan lo interpreta con misura, tratteggiando un personaggio cinico e svagato che, quasi suo malgrado, ritrova l’empatia grazie a un pinguino. Juan Salvador, con la sua muta impassibilità e i movimenti comici, diventa non solo un catalizzatore narrativo, ma un vero “terapeuta piumato” che insegna al protagonista – e al pubblico – che la cura verso gli altri è un atto politico, oltre che umano. Jonathan Pryce, nei panni del preside inflessibile, offre una controparte perfetta: rigido ma non impermeabile, lascia filtrare incrinature che rivelano un’umanità più complessa. Intorno a loro, gli studenti incarnano una gioventù che vive in una bolla di apparente normalità, lontana dalle sparizioni e dalle torture che infestano l’Argentina del tempo.

La sceneggiatura, tratta dal memoir di Tom Michell, funziona al meglio quando intreccia i momenti domestici – un pinguino che passeggia nei corridoi, un insegnante che ritrova il sorriso – con l’ombra cupa del regime. Cattaneo non mostra la violenza, la lascia intuire: un camion militare sullo sfondo, un silenzio improvviso, un volto che scompare. Una scelta che regala eleganza e sobrietà, ma che rischia talvolta di smorzare la potenza politica del racconto. Sul piano visivo, la fotografia contrappone la calda intimità della scuola ai toni spenti delle strade esterne, creando un contrasto che riflette il senso di “bolla protetta” destinata a scoppiare. La regia predilige inquadrature sobrie, spesso abbassate all’altezza del pinguino, restituendo il punto di vista dell’animale e trasformandolo quasi in un narratore silenzioso.
Il professore e il pinguino ha i suoi difetti: qualche lentezza nel ritmo, personaggi secondari poco sviluppati e un finale che non osa fino in fondo. Ma rimane un’opera di confine, capace di oscillare tra commedia e dramma senza mai cadere, una parabola tenera e ironica che riesce a far sorridere e pensare. In fondo, ci ricorda che anche un pinguino può insegnarci a non restare indifferenti.
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