Fin da subito in Draconis Cor emergono tanti elementi della fantasy classica: draghi, ombre malvagie comandate da un oscuro tiranno, saggi stregoni  al servizio del bene, battaglie, ragazzi e ragazze assetati d’avventure. Il regno di King’s Heaven è minacciato dall’esercito delle Ombre e i giovani protagonisti combattono per salvare amici e famigliari, per vendetta, per difendere chi è più debole. Superando scontri e tribolazioni i personaggi matureranno e comprenderanno come nasce la lotta tra il bene e il male nel loro mondo.

Rik, Ham e Zhara sono tre ragazzi di sedici anni “come tanti”, che durante una caccia notturna s’imbattono in Efram, un bambino solo con nessun apparente passato e uno strano tatuaggio sul braccio. Le Ombre, i soldati del tiranno Thriong, sono alla ricerca del bambino, distruggendo ciò che trovano sulla strada. Così il villaggio di Chernack brucia e gli abitanti sono catturati dalle schiere del Male. Galdaral, stregone saggio (il nome vi ricorda qualcuno?) combatte Thriong, e affida ai giovani il compito di difendere Efram e di raggiungere il Tempio di Mede, uno dei pochi luoghi sicuri. Efram è la chiave della sconfitta di Thriong e la profezia si è avverata. Il viaggio porterà il gruppo a condividere avventure con amici, ladri, nani, folletti. Incalzati da molti nemici saranno costretti a separarsi e a scontarsi con strane forze magiche.

Le vicende scorrono semplici, forse a volte troppo. In più di un’occasione si ha la sensazione di trovare situazioni e immagini stile gioco di ruolo, slegate le une dalle altre, ripetitive. Quindi la lettura non ispira l’aspettativa e il coinvolgimento che dovrebbe. Alcune scene ricordano un po’ troppo da vicino alcune immagini celebri del Signore degli Anelli (il mago Galdaral per esempio, simile a Gandalf a partire dal nome).

I personaggi rimangono intrappolati in queste difficoltà e in dialoghi e sviluppi personali molto prevedibili e poco approfonditi. Sembra già di sapere cosa diranno e cosa faranno e questo non aiuta il lettore a godersi la storia. Di personaggi inoltre ne compaiono molti, ed in un libro di circa duecento pagine sarebbe una bella sfida riuscire a dipingerli tutti degnamente.

Il mondo di King’s Heaven (perché in inglese?) propone dei canoni fantasy un po’ aridi: oltre ciò che il lettore già si aspetta non si trovano approfondimenti allettanti o vicende originali. Un lampo con una piccola ambientazione piratesca, non molto curata, aggiunge confusione più che meravigliare.

La conclusione delle vicende (il sottotitolo del libro è “Libro Primo”) lascia un po’ a bocca asciutta: il meccanismo narrativo non trasporta il lettore verso un climax, ma rallenta.

Lo stile della narrazione è asciutto e chiaro, traccia scene sempre comprensibili e semplici e perciò godibili. È la parte migliore del libro, insieme alla mappa del mondo fantastico del romanzo.

Per stupire e meravigliare il lettore non è necessario inventarsi chissà chi o cosa. Non dovrebbe nemmeno essere determinante il target di età per cui il romanzo è scritto. Ricordo un racconto breve letto mesi fa, fatto di vicende semplici che si potevano leggere a un bambino e personaggi che più scontati non si può: il giovane principe innamorato della principessa, il mago oscuro, la maledizione, il giullare narratore alla corte del re. Quel racconto è meraviglioso, carico di emozioni e passione, curiosi colpi di scena e scambio di ruoli, scritto con uno stile semplice e fiabesco.

Certo non è sempre possibile creare romanzi di buon livello, ma con pazienza e lavoro ci si può sempre provare (e riprovare).