L’ipotesi di una possibile divisione circolava già da qualche tempo. Ora è arrivata la conferma ufficiale da parte della casa editrice: lo scorso 30 marzo Tor Books ha annunciato che A Memory of Light sarà pubblicato in tre distinti volumi.

The Gathering Storm – questo il titolo dell’opera che il prossimo 3 novembre dovrebbe invadere le librerie americane – non sarà quindi il capitolo conclusivo della saga ideata da Robert Jordan.

Perché La Ruota del Tempo trovi finalmente la sua conclusione bisognerà attendere la tredicesima e la quattordicesima parte, provvisoriamente denominate Shifting Winds e Tarmon Gai’don.

 

Un mese fa sul sito della casa editrice era comparsa un’icona che abbinava il nome dello scrittore scomparso, il nuovo titolo del libro e un conto alla rovescia destinato a concludersi proprio in novembre. Ma Brandon Sanderson, lo scrittore scelto da Harriet McDougal – vedova e editor di Jordan – per completare il romanzo, ancora recentemente aveva affermato di aver scritto, in un anno e mezzo di lavoro, circa metà di A Memory of Light.

Troppo poco per una data di pubblicazione così vicina, anche perché quel testo doveva ancora essere revisionato. Inoltre la realizzazione fisica del volume, specialmente nel caso di un’opera di queste dimensioni, necessita di tempi tecnici pari – anche riducendoli al minimo – a diverse settimane.

Un altro indizio di una possibile divisione era stato fornito addirittura dallo stesso Jordan, quando ancora sperava di poter completare la sua opera. Sul suo blog infatti, a chi chiedeva se il dodicesimo romanzo sarebbe davvero stato l’ultimo, rispondeva di sì, aggiungendo che aveva ancora tante cose da raccontare, ma che piuttosto di frammentare un’unica storia troppo vasta in più volumi avrebbe costretto l’editore a trovare un nuovo modo per rilegare il libro.

Dal canto suo, Sanderson ha ripetutamente affermato di essere impegnato a scrivere un unico romanzo nel quale la saga troverà una sua degna conclusione, ma che non poteva escludere una suddivisione dell’opera per motivi editoriali.

 

Ora il comunicato di Tor, nel quale si precisa che il romanzo sarà pubblicato integralmente nell’arco di un paio d’anni.

Secondo Tom Doherty, presidente della casa editrice, A Memory of Light è un’opera straordinaria, una degna chiusura per una saga epica il cui cammino è iniziato quasi vent’anni fa, ma non c’era alcun modo per cui lo stesso Jordan sarebbe riuscito a contenere la storia che intendeva narrare in un unico volume. E in qualche modo gli sembra appropriato che quella che era nata come una trilogia si concluda a sua volta con una trilogia.

Lo stesso concetto, che la portata e le dimensioni della storia sono tali da non poter assolutamente essere racchiusi in un singolo volume, è stato espresso anche da Harriet. La quale ha aggiunto che la decisione di Sanderson di completare l’opera è stata un’enorme fortuna, che lui è uno scrittore meraviglioso e che lavorare insieme si è rivelato un grande piacere.

 

Il secondo da sinistra è Brandon Sanderson, la donna in piedi sulla destra è Harriet McDougal (o Popham Rigney, a seconda che si usi il cognome del primo marito, o il suo da ragazza unito a quello del secondo marito, cioè Robert Jordan)
Il secondo da sinistra è Brandon Sanderson, la donna in piedi sulla destra è Harriet McDougal (o Popham Rigney, a seconda che si usi il cognome del primo marito, o il suo da ragazza unito a quello del secondo marito, cioè Robert Jordan)
Jason Denzel, curatore del sito dragonmount.com, ha chiesto ad Harriet alcune spiegazioni. La sua risposta è stata legata a motivi prettamente tecnici.

Il materiale lasciato da Jordan era talmente vasto che dopo avervi lavorato sopra per un po’ Sanderson ha affermato di non poter impiegare per il romanzo meno di 750.000 parole. Il che significava avere un volume impossibile da rilegare, a meno di volerlo vendere corredato da una lente d’ingrandimento. Una divisione in tre, d’altra parte, significava pubblicare comunque tutta la storia ideata da Robert in grossi tomi da 250.000 parole ciascuno.

Per dare un’idea delle dimensioni del testo, ricordiamo che la lunghezza de Il drago rinato è stimata in 251.392 parole.

 

Per quanto riguarda la divisione dei ruoli nel lavoro che stanno svolgendo, Alan, uno degli assistenti di Jordan e coinvolto nella saga da otto anni, è un esperto di mappe, pianificazioni e linee temporali, Maria, l’altra assistente, membro dello staff da ben dodici anni, è esperta su moltissimi argomenti, come quali siano i membri dell’Ajah Nera, chi invece potrebbe esserlo e chi certamente non lo è, e controlla che tutti i fatti inerenti i vari personaggi siano esatti. Infine lei stessa verifica che i personaggi appaiano realmente le persone che sono e rivede il testo riga per riga. In questo modo Sanderson ha tre riscontri, non uno solo.

Quando si è arrivati alla stesura finale Harriet decide i titoli dei capitoli e gli assegna un’immagine, lavoro che ha fatto anche per la maggior parte degli altri romanzi.

A suo giudizio il marito, che voleva fortemente terminare la saga, sarebbe stato soddisfatto del loro lavoro.

 

Entrando più sullo specifico del romanzo, ha detto che l’atmosfera diventa più cupa, cosa normale visto che ci si sta avvicinando a Tarmon Gai’don, e che, come già in Knife of Dreams, undicesimo volume della saga, ci sarà un momento che farà trattenere il fiato ai lettori, ma per saperne di più l’unica cosa da fare è leggere il libro.

Altri progetti su cui sta lavorando o ha in programma di lavorare sono una graphic novel tratta da L’Occhio del Mondo, il cui numero zero è previsto per maggio, e un’enciclopedia dedicata alla Ruota del Tempo, che dovrebbe essere consegnata alla casa editrice un anno dopo la pubblicazione dell’ultimo romanzo.

Tutte queste iniziative in cantiere, come le aveva pronosticato un amico, sono state per lei un aiuto straordinario nel distogliere la mente dal dolore per la perdita subita.

 

Ulteriori informazioni relative a questa tripartizione possono essere trovate in un lunghissimo testo pubblicato da Sanderson sul suo blog.

Dopo aver scherzato sul fatto che è uno scrittore di fantasy, e per questo motivo il concetto di brevità gli è ignoto, ha raccontato il suo coinvolgimento nell’opera a partire dalla proposta ricevuta, sottolineando comunque che tutte le decisioni spettano a Harriet e Tom, anche se ovviamente tengono in gran conto le sue opinioni.

 

Nel mese di novembre 2007 ha scoperto di essere stato scelto per completare A Memory of Light. La risposta al suo agente quando questi gli ha riferito l’offerta di Harriet è stata qualcosa tipo “Digli di sì”. Non aveva la minima intenzione, ricorda, di farsi sfuggire quest’opportunità.

Il contratto prevedeva la scrittura di un romanzo completo, comprese le sezioni già scritte da Jordan, lungo non meno di 200.000 parole.

Gli accordi con l’editore sulla lunghezza ipotetica di un testo sono pratica comune, in modo che né l’autore né l’editore abbiano grosse sorprese a romanzo ultimato. In questo caso, la firma di Sanderson è stata “alla cieca”, perché lui non aveva ancora avuto modo di visionare il materiale che avrebbe avuto a disposizione. E probabilmente la stessa Harriet, il cui dolore era ancora troppo vicino e la cui principale preoccupazione del periodo era stata riuscire a trovare qualcuno in grado di ultimare il romanzo e disposto a farlo, non si era ancora interessata molto alla lunghezza.

Qualche tempo dopo Sanderson ha indicato sul blog la lunghezza minima, dalla quale non credeva di discostarsi troppo perché voleva terminare il romanzo e farlo avere ai lettori nel più breve tempo possibile.

 

Una volta iniziata la rilettura dell’intero ciclo, però, durante la quale prendeva nota di quali sottotrame necessitassero di una conclusione, si era reso conto che il lavoro da fare era enorme. Già ad aprile quindi ipotizzava una lunghezza di 400.000 parole, con la consapevolezza che anche questa potesse rivelarsi insufficiente.

Fatto che comportava un scelta. Avrebbe dovuto cercare di contenere il testo in questa dimensione, o lasciarlo espandersi ulteriormente?

La decisione è stata presa pensando a come avrebbe influito sul romanzo. Se avesse optato per la prima possibilità avrebbe dovuto trascurare parecchi personaggi minori, e anche alcuni aspetti di quelli principali. In pratica doveva decidere cosa conservare e cosa ignorare, e questo a suo giudizio non avrebbe reso giustizia alla storia.

Sapeva che alcuni lettori si sarebbero arrabbiati perché questo implicava una divisione. Inoltre avrebbe dovuto dedicare all’opera molto più tempo, e una parte maggiore della sua vita rispetto a quanto aveva immaginato all’inizio. Di fatto stava decidendo di realizzare un romanzo lungo tre o quattro volte in più rispetto all’ipotesi iniziale per la stessa identica paga. Ma quel che contava non erano i soldi, era ciò che avrebbe voluto realizzare Jordan.

Sentiva, e sente, un debito nei suoi confronti per ciò che è riuscito a realizzare con questa serie. Robert aveva promesso ai lettori un libro lungo, non per amore della lunghezza ma perché c’erano tantissime cose che dovevano essere raccontate, e lui ha deciso di fare ciò che era necessario per la storia, senza preoccuparsi di quante parole sarebbero servite. Senza allungare artificialmente il romanzo, ma trattando ogni personaggio, anche quelli minori, con attenzione e considerazione.

 

Già la pubblicazione di un volume di 400.000 parole, però, era stata ritenuta impossibile da parte di Tom Doherty. Rispetto agli anni ’90, gli ha spiegato, le catene di librerie hanno iniziato a manifestare un certo fastidio nei confronti del genere fantasy, colpevole di prendere molto spazio sugli scaffali con pochi ed enormi volumi. Le conseguenze erano state l’abbassamento delle quantità ordinate, e una maggiore difficoltà da parte dei lettori nel trovare i libri che cercavano.

Durante la successiva Worldcon estiva, Brandon aveva avuto uno scambio di battute molto significativo con Doherty. Alla sua affermazione di aver scritto circa 250.000 parole, cioè un terzo del romanzo, questi era scoppiato a ridere dicendo che gli era già successo con Jordan di comprare un libro che si era trasformato in tre, e che a quanto pareva la cosa si stava ripetendo.

Questo, dice, è stato il primo indizio del fatto che A Memory of Light potesse essere diviso in tre parti.

 

Una nuova svolta si è avuta in gennaio. Knife of Dreams è stato pubblicato nell’ottobre del 2005. Doherty sentiva di non poter far passare più di quattro anni fra un romanzo e l’altro, e di dover perciò assolutamente pubblicare un libro entro la fine del 2009. Non era possibile aspettare che lui, arrivato circa a metà della prima stesura del romanzo, finisse di scriverlo integralmente per pubblicare qualcosa. Era giunto il momento di cominciare la revisione. La decisione di spezzare il romanzo in più parti era stata presa.

La divisione in tre, al di là delle considerazioni sulle dimensioni preferite dalle librerie e della necessità di pubblicare un volume in tempi ragionevoli e non in un imprecisato futuro ipotizzabile verso l’estate del 2011, è legata alla trama.

Rivedere e pubblicare tutto ciò che Sanderson ha scritto in questo momento avrebbe significato far arrivare nelle mani dei lettori due libri frammentari. La scelta di Harriet è stata quella di chiedergli se c’era un punto in cui la storia trovava un suo climax naturale dove potersi fermare.

Lui ha individuato un punto – che non specifica ulteriormente – intorno alle 275.000 parole, nel quale si chiudono diverse trame importanti. A suo giudizio quindi ne risulta un eccellente volume.

La seconda divisione dovrebbe trovarsi intorno alle 600.000 parole, in corrispondenza di un altro climax. Secondo Doherty i volumi 13 e 14 dovrebbero uscire rispettivamente nel 2010 e nel 2011, ma ancora è troppo presto per dirlo con certezza.

 

Commentando la scelta dei titoli, Sanderson scrive che la sua proposta è stata quella di continuare a chiamare i tre tomi A Memory of Light, e di distinguerli tramite dei sottotitoli. In questo modo si sarebbe evidenziato il fatto che si trattava di un unico romanzo diviso in tre parti, e si sarebbe conservato il nome scelto da Jordan.

A Maria si devono le proposte di Gathering Clouds, Shifting Winds e Tarmon Gai’don. Doherty però ha rilevato che tre volumi con lo stesso titolo avrebbero potuto creare confusione sia nei sistemi informatici delle catene librarie sia fra gli stessi lettori, e ha deciso di eliminare il titolo unico. Promossi i sottotitoli a rango di titolo, Gathering Cluods è stato modificato in un più convincente The Gathering Storm.

 

Le ultime parole riguardano la presunta immagine di copertina già pubblicata da diversi siti internet. Pur essendo difficile da analizzare in dettaglio a causa delle sue ridotte dimensioni, suvudu.com aveva subito notato alcune scritte errate, come l’indicazione che il volume fosse il seguito di Crossroads of Twilight, mentre in realtà lo è di è Knife of Dreams, o quella altamente improbabile che segnalava la pubblicazione nella sola edizione paperback.

Inoltre la qualità era apparsa subito inferiore rispetto agli standard di Darrell K. Sweet, illustratore delle altre copertine.

Anche Jason Denzel ha commentato l’illustrazione dicendo che non era stata approvata da Brandon, Harriet o Tor Books, e che probabilmente si trattava di un’ipotesi di lavoro che non sarebbe mai dovuta uscire dagli uffici della casa editrice.

I commenti più precisi, come sempre, sono arrivati da Sanderson. Se in un primo momento aveva riportato una frase di Harriet secondo la quale lei non aveva ancora visionato nessuna immagine e quindi certamente non l’aveva approvata, in seguito ha aggiunto di aver finalmente visto come sarà davvero la copertina. Al di là del fatto che a suo giudizio sarà molto migliore rispetto a quel che è involontariamente uscito dai cassetti, l’unica affermazione che fa è che Rand sarà visto frontalmente e non di schiena, e in una posizione differente.

 

Il romanzo è pronto, più o meno. Ora inizia il lungo lavoro di revisione, correzione delle bozze e stampa, in attesa della tempesta che scoppierà a novembre.