Come previsto, e come parecchi critici sembravano desiderare con voluttà, John Carter non è andato molto bene al botteghino. La Disney ha dichiarato di prevedere una perdita di circa 200 milioni di dollari. Gli incassi (184 milioni al momento della dichiarazione) non potevano coprire il costo del film (250 milioni più la campagna di marketing, che ha generato più critiche che interesse).

In borsa il titolo Disney ha perso immediatamente un punto percentuale. I problemi della casa produttrice con le uscite cinematografiche nono sono una novità: nonostante certi successi di dimensioni colossali (come la serie I Pirati dei Caraibi, che vanta incassi impressionanti) vi sono stati dei flop pesantissimi, che hanno portato nel 2009 a un cambiamento al vertice, con le dimissioni di Dick Cook e l’arrivo di Rich Ross. Questo avvicendamento è stato piuttosto traumatico, dal momento che Cook, al vertice dei Walt Disney Studios da decenni è stato “fatto fuori” all’americana, con un colloquio di dieci minuti. La Disney voleva qualcuno che capisse meglio i mutevoli gusti di un pubblico in continua trasformazione, e che riuscisse a fare delle economie: il vecchio manager non sembrava adatto a gestire questo cambiamento.

La Disney ha dovuto affrontare altri momenti imbarazzanti, con la cancellazione di alcuni progetti troppo ambiziosi o che semplicemente non incontravano il favore del nuovo manager, e il fallimento di altre produzioni che erano ormai troppo avanti per poter essere modificate. In un certo senso, alcuni dei recenti insuccessi, come il flop drammatico di Milo su Marte, possono essere addebitati alla passata gestione.

Per tornare a John Carter, va detto comunque che già Dick Cook non voleva che il film costasse così tanto: è un progetto di cui la Disney aveva i diritti da molti anni in attesa che la tecnologia per realizzarlo fosse matura. Cook si era sforzato di mantenere i costi al di sotto dei 200 milioni di dollari, ma dopo la sua dipartita le spese sono lievitate nonostante il risparmio sia anche lo slogan di Rich Ross. Insomma la gestione è cambiata ma i risultati non arrivano ancora, o almeno non sempre.

Alcuni famosi artisti nel frattempo hanno abbandonato la Disney: uno dei maghi dell’animazione, Glen Keane (La Sirenetta, La Bella e La Bestia, Aladdin) ha lasciato di recente, in cerca di “nuovi territori da esplorare.” Nessun’altra dichiarazione, ma potrebbe essere un segno delle difficoltà della Disney. Dopo Rapunzel – L’Intreccio della Torre era previsto uno stop ai film di favole e principesse, a meno che non si trovi una maniera più fresca per parlarne: chissà se è questo che ha convinto Keane ad andarsene. E chissà che il nuovo manager Rich Ross non stia già per fare la fine del capro espiatorio di un momento difficile.

Nonostante sia un periodo travagliato per la compagnia, è interessante notare che gli analisti finanziari consiglino comunque di comprare il titolo Disney, eventualmente approfittando di qualsiasi debolezza per guadagnare di più in futuro. Nelle parole dell’analista Drew Crum: “Gli Studios finanziariamente non sono così importanti: servono come motore creativo per le proprietà intellettuali della Disney, ma contribuiscono solo per il 6 per cento al previsto utile operativo.” Tradotto in linguaggio corrente, fatti i conti di tutte le entrate e uscite della compagnia (al lordo delle tasse), le produzioni cinematografiche della Disney sono un elemento piuttosto marginale. I profitti infatti arrivano in massima parte dai parchi a tema e dalle reti televisive.

Una compagnia così immensa quindi ha bisogno di creare personaggi e storie, per continuare a riciclarli e sfruttarli in una miriade di spettacoli e prodotti. Per fare questo, dà la parola ad animatori, attori, registi e sceneggiatori: e in attesa di trovare la formula giusta, può permettersi qualche fiasco e anche qualche piccola catastrofe.