— Sono qui per voi, Signore. 

Le parole infransero il silenzio della vasta sala. Echeggiarono metalliche tra le pareti ornate di mosaici e percorse dai riflessi tremolanti delle molte vasche colme d’acqua. Vibrarono nell’aria azzurra e caddero nel nulla, perché nessuna risposta sarebbe giunta da colui al quale erano state rivolte.

Non esisteva una parola nella lingua dei Silenti per manifestare gratitudine o soddisfazione e se fosse esistita difficilmente sarebbe stata rivolta a uno schiavo. Di rado i Silenti sprecavano la voce per comunicare tra loro. Mai lo facevano a beneficio di una razza inferiore. 

La creatura nella vasca si limitò a fissare il ragazzo attraverso la pellicola glauca che gli velava le iridi. Dal fondo della sua gola emerse un gorgoglio di assenso, mentre allungava le lunghe membra pallide facendo increspare la superficie. Il suo aspetto tradiva l’attesa. Il tempo del Canto era passato e aveva dovuto aspettare più del dovuto perché il ragazzo giungesse fino a lui. I suoi soldati avevano tardato a trovarlo tra i prati di Sirinian, dove le Canzoni nascevano e crescevano come fiori di serra all'ombra del dominio dei Silenti, in attesa di essere colte e ascoltate.

Il corpo del Silente si muoveva con una lentezza che non apparteneva alla sua razza. Grazia e vigore lo avevano abbandonato. La sua pelle aveva assunto una consistenza traslucida, madreperlacea come il ventre di un pesce. Restava impigliata alle ossa sporgenti come il sartiame lacero di una nave fantasma. Pendeva dagli zigomi e cadeva sul collo in pieghe pesanti, come se il volto non fosse che una maschera di cera esposta a un eccessivo calore.

Nessuno sapeva cosa sarebbe stato di un Silente che non avesse potuto ascoltare una Canzone con il processo di degenerazione giunto a quel punto. Nessuno lo ricordava, perché da millenni quella specie usava i prati di Sirinian come allevamento e terreno di caccia per procurarsi le Canzoni e nutrirsene.

Tutti avevano dimenticato che cosa significasse vedere un Silente debole. I Silenti per primi.

Quando la creatura si alzò in piedi l’acqua precipitò in cascatelle scroscianti dalle sue membra longilinee. I capelli aderivano al capo come alghe pallide, scendevano sulle spalle e lungo la schiena in rivoli turgidi. Sollevò il braccio e rivolse la mano al servo, col palmo verso l’alto. Le sue dita si allungarono in filamenti diafani.

Il ragazzo fu percorso da un brivido. Aveva veduto i Silenti nel pieno della loro potenza e quel Silente in particolare risplendere fulgido e invitto davanti ai suoi nemici tremanti, ai suoi schiavi prostrati. Aveva assistito al suo trionfo e alla sua furia, nelle rare occasioni in cui aveva avuto accesso al palazzo dai pavimenti lucenti come specchi di ossidiana. Non aveva potuto ammirarne la bellezza, agli schiavi non era concesso. Ad essi era dato provare solo soggezione, reverenza, terrore. 

La devastazione era ancora più terribile confrontata al ricordo dell’antico aspetto, affascinante e spaventoso. Ma il ragazzo non arretrò, né vacillò, neppure quando le punte di quelle appendici fluttuanti gli lambirono il volto in una carezza oscena.

Socchiuse gli occhi reprimendo il disgusto e scagliò la propria mente lontano, in un qualsiasi altrove, in un qualsiasi passato o futuro. Era la prima cosa che veniva insegnata a tutti loro nati e cresciuti nei prati di Sirinian, schiavi prima di aver emesso un solo vagito, destinati a servire i volti diversi di uno stesso padrone fino all'ultimo rantolo, all'ultima nota.

Serrò le palpebre e la sua mente inseguì la corsa dei nembi nell'orizzonte turchino, il tramonto che dispiegava i suoi veli di porpora e oro sopra l’erba ondeggiante dei campi. Non poteva sognare di diventare diverso da ciò che era, poiché non aveva conosciuto altra vita che quella, ma se si concentrava e riusciva a strapparsi da sé, giungeva a essere niente, nessuno, senza confini e senza catene.

Il tocco del Silente fu breve. Non era per trarre piacere dal suo corpo che lo aveva convocato. La brama era di natura più urgente e andava soddisfatta senza indugio.

Il ragazzo conosceva ogni modo per servire i suoi padroni, anche quello estremo che lo aveva condotto nella sala quel giorno. Sebbene avesse appena sedici inverni, il suo corpo mostrava le ferite inferte dal Tempo del Canto. Si poteva indovinare in quante occasioni uno schiavo di Sirinian aveva intonato la propria Canzone: ogni volta, un brandello della sua essenza veniva immolato e le tracce di quella perdita trasparivano nel sembiante. Se la pelle era pallida come neve sotto la luna, se i capelli e gli occhi avevano perduto ogni pigmentazione e il volto appariva come un dipinto sbiadito dalla pioggia, era probabile che lo schiavo fosse giunto alla sua ultima Canzone. Quando la intonava, per ridare bellezza e vigore al proprio padrone ancora una volta, la sua essenza svaniva sull'ultima nota, lasciandolo svuotato e inerte, una larva destinata a languire e spegnersi nel silenzio. Questo era il destino di tutti gli schiavi di Sirinian, giacché non erano che canzoni racchiuse in un guscio di carne e sangue e miseria, nati per servire e morire da quando la prima Canzone era stata intonata. 

Il ragazzo riaprì gli occhi. Le sue iridi incolori catturavano i riflessi azzurrini dell’acqua, riflettendo lo splendore dell’alabastro e dei lapislazzuli. I capelli canuti ricadevano in ciocche scomposte sul volto cereo, i lineamenti apparivano spenti, confusi, come se un velo impalpabile li rivestisse.

Quella vista procurò un fremito di eccitazione nel Silente. Nessuna Canzone era intensa e potente quanto l’ultima intonata dalle labbra di uno schiavo di Sirinian. Il giovane era giunto alla fine della vita, e lui era in procinto di coglierne l’estremo sacrificio.  

Di nuovo mosse la mano, questa volta senza grazia, solo per indurlo a iniziare. 

Il ragazzo sollevò il volto e distese il collo eburneo come per offrirlo a una lama sacrificale. Dischiuse le labbra tagliate da solchi profondi e lasciò che il respiro scorresse nella sua gola facendosi musica. La prima nota emerse con sofferenza palpabile. I suoi occhi piansero senza versare una lacrima. La voce si librò verso gli archi incrociati che sormontavano la sala, rimbalzando tra le volte, un suono purissimo che s’infranse come cristallo in infinite eco. Il Silente chiuse gli occhi, lasciandosi pervadere dalle vibrazioni riversate sul suo capo proteso. Aprì le braccia, attendendo che il vigore tornasse a fluire nelle membra, che la Canzone si facesse energia per il corpo infranto. 

Ma non accadde.

Svanita la risonanza di quella prima, singola nota, il silenzio ricadde pesante come il coperchio di un sarcofago.

Il Silente sgranò gli occhi, i lineamenti un tempo magnifici distorti in una maschera incredula e rabbiosa. Cercò di mettere a fuoco la figura del ragazzo. Ma il volto dello schiavo era un riflesso confuso in cui baluginava l’ombra di un sorriso. Il Silente aprì le labbra per parlare, per intimare, per ordinare, pronto a sprecare la propria voce contro quel servo indegno. 

Il respiro gli mancò.

Il dolore esplose nelle sue viscere con la violenza di un lampo, uno spasmo di pura sofferenza che lo dilaniò nel profondo, irradiandosi attraverso i centri nervosi in innumerevoli deflagrazioni. Cadde in ginocchio. L’acqua debordò dalla vasca e inondò il pavimento.

Vide lo schiavo incombere su di lui, un essere così piccolo, così insignificante, solo un altro fiore pallido dei prati di Sirinian, una Canzone di carne nata e cresciuta all'ombra dei Silenti,tornata dalla morte con l’unico obiettivo di distruggere il proprio padrone.

Il giovane non sentiva gioia né dolore. Il suo cuore aveva cessato di battere molte lune prima, quando si era offerto d’immolarsi spinto da una flebile speranza: scoprire se un Silente poteva morire. 

Ora osservava la creatura contorcersi nell'acqua, consumata da una silenziosa agonia, senza provare nulla se non quel vuoto che premeva dentro e fuori di lui da quando aveva modulato l’ultima nota. 

Ora sapeva.

I Silenti soffrivano. Privati del canto, annientati dal ricordo di una melodia imprigionata in un corpo morto sostenuto dalla magia e da un pallido riflesso di vita, i Silenti morivano. 

Quando il ragazzo uscì, il tramonto distendeva i suoi drappi cangianti all'orizzonte e i nembi si rincorrevano lontano, sui prati di Sirinian già velati dal crepuscolo. S'incamminò verso il cielo che mutava, e, quando l'erba ondeggiante inghiottì i suoi passi, la sua figura parve dissolversi nella foschia come l'eco di una canzone.