"Gott ist tot"

Friedrich Nietzsche

Prologo L’Angelo della Morte

«Gott ist tot!»

«Gott ist tot!»

Urla cupe rimbalzarono tra le mura delle case, echeggiando nei vicoli tortuosi del paese.

«È giunto il giorno della Bestia!»

Le ante delle finestre sbatterono, le porte si chiusero di botto seguite dal rumore di chiavistelli.

«Il Demonio è arrivato!»

Gemiti, lamenti e sospiri di disperazione. Litanie sommesse, preghiere.

«È lui, l’Angelo della Morte!»

Poi, fu solo silenzio.

Una nebbia bassa e densa scivolò nelle vie, s’insinuò in ogni fessura, lambì gli alberi e serpeggiò sui lastricati dei portici. Arrancava lenta sull’asfalto quasi fosse qualcosa di vivo e palpabile. Ogni tanto qualche lembo si staccava da terra, oscillando in aria come un tentacolo. Al suo passaggio, le luci dei lampioni perdevano subito d’intensità, spegnendosi con un fastidioso ronzio. Come la risacca del mare, la foschia si ritirava lentamente fondendosi con le tenebre che, poco a poco, ingoiavano ogni angolo del paese.

Avvolte nell’oscurità, due figure camminavano a passo spedito. Svoltarono quindi in una traversa, schiacciandosi contro il muro.

«Bastian, dobbiamo dividerci» mormorò un uomo, ansimante.

L’altro era un ragazzo giovane, non raggiungeva neppure i vent’anni. Inspirò a lungo, poggiandosi con le mani sulle ginocchia.

«Dividerci? Adesso?» disse tirando il fiato.

«Adesso.»

«Frate Ernst, cosa dici?»

«Non discutere.»

«Ma non puoi chiedermi di lasciarti qui, da solo! Resteremo insieme, come sempre» gli rispose il ragazzo, quando uno stridore acuto, come di una lama che graffiava una lastra di metallo, lo fece sobbalzare. Sgranò gli occhi e, tremando, si fece il segno della croce.

Frate Ernst lo afferrò per le spalle, scuotendolo con vigore.

«Bastian, è tempo di agire!» disse con voce roca ma decisa.

«Deve esserci una soluzione! Posso esserti ancora d’aiuto, possiamo...»

«Possiamo cosa? Non fare lo sciocco!»

Bastian si guardò attorno, smarrito. «Conosco delle scorciatoie. Possiamo farcela.»

«Farcela contro di lui?»

«Saremo più veloci.»

«Più veloci di uno spettro?»

Bastian deglutì, mentre una goccia di sudore gli rigava la fronte, scomparendo tra le folte sopracciglia.

Frate Ernst si avvicinò fissandolo dritto negli occhi. «In nome del cielo, ascoltami! Devi andare, non c’è più tempo da perdere. Ora!»

Bastian rimase a bocca aperta, immobilizzato dal terrore.

«Andare? Andare dove?»

«Nella città. A Gothica. Dalla Curia. Loro devono sapere. Loro sapranno cosa fare.» Ernst aguzzò la vista, tentando di fendere il buio davanti a sé, che si era fatto ancora più fitto e impenetrabile.

«La Curia non può fare nulla contro il demonio!»

Il frate s’infuocò in volto, i lineamenti si contrassero in un’espressione severa. «Mai più! Non osare mai più bestemmiare contro Dio!» urlò puntandogli un dito contro.

L’altro incassò la testa nelle spalle, soffocando i singhiozzi.

«È la fine. È l’Apocalisse.»

«La fede! Dov’è la tua fede, Bastian!»

Un rumore di vetri infranti giunse da una casa poco lontana.

«Lui... lui è qui» mormorò il ragazzo terrorizzato.

Ernst lo spinse via. «Vai! Non perdere altro tempo!»

L’urlo di una donna tagliò il silenzio.

«Che Dio sia con te» disse infine il frate, baciandolo sulla fronte.

Bastian annuì, quindi sgusciò via scomparendo nel buio del vicolo.

Frate Ernst iniziò a correre.

Il fiato corto, i polmoni che bruciavano dallo sforzo, le gambe che cedevano lungo la strada dissestata che proseguiva verso l’alto, diventando sempre più impervia.

Non oserà così tanto. Non oserà entrare nella casa del Signore.

I pensieri si accavallavano gli uni sugli altri, interrotti da preghiere che imploravano la Vergine di concedere pietà a ogni suo concittadino. Un vento freddo e impetuoso aveva iniziato a sferzare la collina, disperdendo le poche parole che riusciva a pronunciare.

La gola era arsa, le labbra secche, la fronte madida di sudore, il saio appiccicato addosso come un sudario.

Ma Ernst non si fermò.

Non poteva lasciare che la paura s’impadronisse della sua mente, che il male indebolisse la sua forza interiore sopraffacendo la volontà. Strinse il rosario al petto e si morse le labbra fino a sentire il sapore del sangue.

No, la notte non avrebbe vinto. La fede l’avrebbe guidato fino alla luce, l’abnegazione e una vita dedita alla rinuncia sarebbero state sufficienti a infondergli la forza necessaria per

compiere la sua missione. A ogni costo. Le campane erano vicine. La voce del Signore avrebbe spazzato via la nebbia del demonio, sconfitto le tenebre, annientato il seme del male.

Più volte Ernst inciampò e cadde a terra, ma non si fermò neppure per un istante. Si fece coraggio e si rialzò, sebbene le fitte fossero così insopportabili da annebbiargli la vista. Con i sandali lacerati e i piedi graffiati ogni passo era diventato un calvario.

Crollò infine su una roccia, sotto una croce di frassino alta più di cinque metri, che si stagliava contro un cielo così scuro come un oceano di piombo liquido. Ragnatele di lampi lo attraversavano in ogni direzione, pulsando come vene, squarciandolo con ferite di luce.

Ernst inspirò profondamente. Immerse le mani nella fanghiglia e si trascinò avanti di qualche metro, fino a scorgere la cattedrale.

Colonne massicce svettavano verso l’alto, congiungendosi ad archi acuti e schiacciandosi contro rosoni e vetrate, fino ad assottigliarsi in guglie appuntite che parevano trafiggere le nuvole.

Il frate sorrise. Era quasi arrivato. Ce l’aveva fatta. L’ingresso alla casa del Signore era a pochi passi da lui. La salvezza era vicina.

Un rumore alle sue spalle lo fece rabbrividire. Sperò che fosse il rombo di un tuono, ma il suono gli era parso troppo cupo, quasi innaturale. Maligno, gli suggerì il suo inconscio. Come una voce che ribolliva dalle viscere della terra. Ernst si voltò inorridito, facendosi il segno della croce.

E la creatura era lì.

Ombra tra le ombre, silente nell’ululato del vento, emerse dall’oscurità e avanzò lentamente sulla ghiaia che si anneriva sotto ogni suo passo.

«Chi sei?!» urlò Ernst con tutto il fiato che gli era rimasto.

La creatura torreggiava sopra di lui con lo sguardo fisso alla cattedrale.

Un volto dall’incarnato scuro e le labbra livide, lineamenti cesellati, capelli neri simili a filamenti di tenebra. Gli occhi erano due fessure strette, purpuree e lucenti come gemme dell’inferno.

Indossava un paio di pantaloni neri, le braccia e il petto scoperti mostravano cicatrici profonde e vermiglie, simili a solchi in un cratere. Le mani erano un groviglio di ferite e le unghie si allungavano in artigli.

«Sei un demone» mormorò il frate indietreggiando fino alla base della croce. «Un abominio. Una bestemmia contro Dio!»

L’Angelo della Morte si chinò, avvicinandosi al suo volto. Il terrore attanagliò Ernst, cancellando dalla sua mente qualsiasi parola di preghiera. Trovò la forza per afferrare il rosario e issarlo di fronte al suo viso. L’essere emise un ruggito. Afferrò la catena, sbriciolandola nel pugno. Poi lasciò cadere i frantumi sulla sua fronte.

Fu allora che Ernst vide qualcosa di strano. Un simbolo impresso nel palmo della sua mano. Un segno indelebile che non lasciava ombra di dubbio.

«Padre...» mormorò incredulo.

La creatura dischiuse la bocca. Un fumo denso e scuro colò ai lati delle labbra.

«Non ci posso credere» continuò il frate, «non puoi essere tu! Cosa è successo? Dimmi che non è vero, dimmi che è solo un incubo!»

L’Angelo della Morte strinse le dita attorno al suo collo.

«Che Dio ti perdoni...»

L’Angelo strinse la presa. La sua voce giunse lontana e flebile come un lamento.

«Dio è morto» disse prima di spalancare le fauci.

Un grido echeggiò tra le colonne della cattedrale.

Poi, ci fu solo tenebra.