A. D. 637, Cape Wrath, costa settentrionale delle Highlands.
L’alba.
Il vento affilato come una lama faceva lacrimare gli occhi. Sembrava di respirare cristalli di ghiaccio, l’aria tiepida usciva dai polmoni con un rantolo. Le gambe erano diventate insensibili, ma le braccia e le mani erano calde, vibranti di energia.
Era estate inoltrata quando erano partiti dai querceti di Crianlarich: avevano lasciato il villaggio in una notte senza luna, non avevano detto a nessuno delle loro intenzioni. Settimane di marce forzate, appostamenti notturni e lunghe, lunghissime attese. E ora avevano raggiunto le loro prede nel luogo più inospitale e inaccessibile che si potesse immaginare. Il punto dove il mondo finiva e iniziava il nulla.
La pioggia era cessata da qualche ora, ma il mare era ancora gonfio e minaccioso, l’acqua mordeva la carne con il suo gelo e non sembrava mai sazia. Il vento sferzante faceva sanguinare la pelle, strappava i capelli, toglieva il respiro. Le rocce aguzze della scogliera tagliavano i sandali e piagavano i piedi.
“Questo posto sarà la vostra tomba”. Il suo pensiero era una bolla di lava incandescente, Craignethan traeva la sua forza dall’odio. “Nessuno di voi vedrà il tramonto di questa giornata” meditò spostando la torcia ad illuminare il cadavere che giaceva ai suoi piedi. “Da questo posto orribile e dimenticato dagli dei, nessuno di voi farà ritorno”. L’aria pesante di umidità salmastra gli penetrò in gola ed gli uscì in un ruggito basso e minaccioso.
Qualcuno di quei pavidi druidi che si era lasciato alle spalle avrebbe intonato una preghiera o cercato dei segni per sapere cosa fare. Non lui. Non era più tempo di canzoni e preghiere, di riti e meditazioni; tanta saggezza era inutile se non poteva sconfiggere la morte. Anni di studi, di pazienti apprendistati… per cosa? Per diventare un vecchio dal passo malfermo e dagli occhi velati? Il potere, il vero potere, serviva a qualcosa quando si era tanto vicini alla fossa?
Ci aveva riflettuto per tutta la vita: mentre raccoglieva le erbe e preparava le pozioni, mentre scrutava il cielo e studiava le costellazioni, mentre suonava qualche strumento o curava qualche infermo.
Io morirò e sarà stato tutto inutile.
I maestri avevano inutilmente tentato di appassionarlo ai misteri della filosofia, dell’etica, della religione. Aveva finto di interessarsi ai riti della comunione con la natura, ai cicli di rinascita e ai saperi iniziatici. Ma gli affascinanti segreti del misticismo e della spiritualità cosmica della vita, non avevano fatto breccia nel suo cuore. Il suo cuore cantava una sola canzone: quella della vita eterna nel corpo incorruttibile.
– Ha parlato? – ringhiò a denti stretti, ma già conosceva la risposta.
Appena un cenno di diniego. Le barbe erano nere, senza neppure un filo d’argento, e formavano una chiazza scura sul petto dove si confondevano con gli schizzi di sangue che lordavano le tuniche. – Ha vaneggiato per tutto il tempo. Come gli altri.
Craignethan digrignò i denti. Lanciò la torcia in mare e gli parve di sentire il grido del fuoco che annegava. Si voltò per affrontare gli altri, non c’era molto da dire o da fare. Sapeva fin dall’inizio qual era il prezzo del fallimento.
– Ormai siamo dei rinnegati. Non torneremo mai più alle nostre case.
Annuirono mestamente. Si chinarono a raccogliere i due cadaveri e li gettarono dalla scogliera. Quei corpi non erano umani, nessun rimorso per il trattamento che gli avevano riservato. Con un calcio si liberarono anche dei pesanti amuleti di pietra dalla forma vagamente equina.
Per molto tempo era stata solo una diceria tra cacciatori di cinghiali che si spingevano tanto a nord da non riuscire a trovare la strada del ritorno prima dell’inverno. Buona per impressionare le menti semplici: una terrificante creatura – né uomo né bestia – che vagava nei boschi lanciando richiami. Indossava dei vestiti, portava delle armi, cavalcava magnifici cavalli e parlava una qualche sorta di gutturale linguaggio. Ma era impossibile scambiare queste creature per uomini.
La curiosità di Craignethan si era accesa solo quando gli era stata riferita una caratteristica davvero singolare di queste creature. In qualche modo oscuro e misterioso riuscivano a sfuggire all’ineluttabilità della morte. Se abbattuti dalle frecce e lasciati a marcire con la gola tagliata, dopo poche ore le creature – in perfetta salute e senza segni di ferite – tornavano a cercare vendetta. Con quali mezzi arcani si fossero impossessati di tale segreto, a lui non interessava.
A lui interessava il segreto e basta.
Craignethan ne aveva fatto la ragione della sua vita. Con discrezione interrogava ogni esausto viandante, ogni esperto cacciatore, ogni anziano eremita. Si faceva affidare incarichi che lo portavano a nord, a battere villaggi e foreste mai toccati prima dalla sua comunità. Aveva scoperto che queste creature padroneggiavano l’arte equestre e veneravano i loro cavalli, bestie meravigliose e di grande valore, delle quali si prendevano molta cura e difendevano con ferocia inusitata.
Infine Craignethan aveva raccolto intorno a sé un gruppo di giovani apprendisti druidi, divorati dall’ambizione e dall’impazienza, e con loro era partito alla ricerca del segreto dell’immortalità.
Si chinò a raccogliere la collana di metallo che aveva strappato ad una delle vittime, un oggetto in metallo ritorto simile ad un torque. La sua mano prese a formicolare, sentì il braccio intorpidirsi. C’era una qualche sorta di magia in quell’oggetto? Chiuse gli occhi e liberò la mente. Non vide nulla, ma si rese conto che quella cosa invece di accrescere il suo potere, glielo stava sottraendo rapidamente. Assorbiva da lui ogni energia e persino aprire le dita per farlo ricadere a terra gli costò fatica.
Inizialmente le tre mostruose creature catturate avevano tentato di sfuggire al confronto, ma quando uno dei druidi aveva afferrato le redini di una cavalcatura e aveva paralizzato l’animale con i suoi poteri, quel gesto era stato una dichiarazione di guerra.
Craignethan padroneggiava le forze del mare e del fuoco, e le adoperava sovente per ottenere ciò che desiderava. Nessuno poteva mettersi tra lui e il segreto dell’immortalità. Lui e i suoi potevano mettere in pratica riti dimenticati e non avrebbero tralasciato nulla, dalla tortura al sacrificio.
Dopo due giorni di inutili interrogatori, e un delirio di sangue, aveva costretto il terzo prigioniero a condurli al villaggio con l’intenzione di parlamentare con il loro capo. Il villaggio era quasi deserto perché quella notte la maggioranza delle creature – Craignethan stimava fossero un centinaio o poco più – era riunita in una grotta sotto la scogliera per una sorta di rito, o forse un funerale. Richiamate dalle torce accese e dalle grida imperiose dei druidi rinnegati, una ventina di persone erano uscite dalle loro abitazioni. Tra loro c’era anche un anziano cieco di un occhio che forse era una specie di capo, spalleggiato da due guardie e da alcune donne.
Nessuna offerta, promessa o lusinga era servita, nessun ricatto e nessuna minaccia. Pazzo di rabbia Craignethan aveva scatenato la sua furia, unendo le sue forze a quelle dei suoi accoliti, devastando i ridicoli tuguri in cui vivevano, incendiando i ricoveri degli animali e disperdendo i possenti cavalli ai quali tenevano tanto. Spaventosi fulmini rischiaravano la notte cadendo in mezzo alle spregevoli creature, costringendole a rifugiarsi nel dedalo di grotte appena sotto la scogliera.
Bestie, bestie sono e restano. Se non vogliono rivelare il loro segreto, ebbene, moriranno con esso! Ripensò al suo ultimo pasto. Il cuore crudo. Così simile a quello umano. Il rito era stato così lungo e intenso da averlo lasciato stremato. Ma neanche questo era servito ad assimilare il loro potere.
– Forse non lo sanno davvero – mormorò timidamente il più giovane dei druidi. – Forse non è una cosa che si possa spiegare o trasmettere.
– Se è così, avranno modo di rammaricarsene. Se i saggi druidi non possono vivere per sempre, è bene che nessun altro possa farlo.
Tutti annuirono gravemente. Il vento scompigliava capelli e barbe, gocce di acqua salata sembravano piovere dal basso.
– Sono ancora tutti nella grotta – continuò il giovane druido dalla tunica stracciata. – li sento agitarsi… stanno celebrando una specie di rito. Sarà meglio intervenire adesso, prima che riescano a organizzarsi.
– Malediremo questo posto, lo cancelleremo per sempre. D’ora in poi qui ci saranno solo acqua e nebbia e nessuno, mai, saprà dell’esistenza di queste empie creature! – Craignethan fece fremere le narici in un grugnito, strinse il suo bastone e alzò le mani, subito seguito dagli altri. L’energia vibrava nell’aria, il pallido sole dell’alba si nascose dietro una coltre di nubi grigie e il mare ruggì in risposta.
Il brusio delle loro invocazioni era un crescendo distorto e caotico, uno sciame di insetti assassini che stavano per scatenare la loro furia. Un’onda si arrampicò sulla scogliera lambendo i piedi di Craignethan come un cucciolo ammaestrato, subito inghiottita da un’onda ancora più grande, alta come un muro di cinta. I druidi continuarono a salmodiare sempre più forte, riuscendo infine ad accordare le loro voci su di un’unica nota grave e minacciosa, coprendo così ogni altro rumore. Craignethan abbassò le braccia e si fece il silenzio più assoluto. Il muro di acqua ondeggiò per qualche istante, poi si arricciò nella sua spuma e crollò di schianto sulla spiaggia sottostante sommergendo le caverne e cancellandole dalla visuale con un livido ribollire. Centinaia di vite si spensero senz’altro rumore che quello di un respiro. Interrotto a metà.
°°°
Non gli restava più saliva in bocca. Non una lacrima negli occhi. Il sudore si era asciugato sui suoi vestiti. Correva da giorni ormai. Correva a perdifiato cercando di pensare solo ad una cosa: salvarsi la vita. Il Sorvegliante era sulle sue tracce e non era solo sete di giustizia, la sua. Era vendetta, e da questa non poteva davvero sperare di sfuggire. Inciampò rotolando pesantemente nel soffice tappeto di erica. Si rialzò senza perdere il passo. Non c’erano sonno, fame o spossatezza. Qualcun altro avrebbe anelato la morte, ma non lui. Non lui.
Aveva attraversato foreste e paludi, le sue dita insanguinate avevano lasciato tracce sulle pareti rocciose, i suoi piedi piagati si erano trascinati su sentieri inaccessibili. Aveva respirato a pieni polmoni il vento gelido delle Highlands e aveva salutato un mare diverso da quello che si era lasciato alle spalle. Non aveva contato le albe e i tramonti, e neppure le notti stellate. A quale scopo? Gli bastava mettere più strada possibile tra se e il suo inseguitore. Qualcosa poteva ancora succedere, qualsiasi cosa. Con una mano si strinse la cinghia di cuoio che gli permetteva di trasportare a spalla il suo Ox.
Era stata colpa sua, evidentemente, non voleva negare la sua responsabilità. Portare gli stranieri al villaggio era stato un errore ma, Ach gli era testimone, non aveva capito cosa volevano, non aveva mai imparato la loro lingua. Aveva visto cosa erano in grado di fare, e aveva concluso che non avrebbe avuto senso sacrificare la propria vita. Il villaggio era quasi deserto: c’erano Moodri, il custode delle anime, e i due sorveglianti. C’erano le guardiane dei cavalli, le donne che avevano l’esclusivo privilegio di portare il cibo benedetto e di cantare per loro. Tutti gli altri erano già scesi giù alla grotta per la festa di Reyn Ach. Sì, doveva essere impazzito, portare gli stranieri nel villaggio indifeso! Stupido, pazzo! Moodri aveva capito tutto ancora prima che aprissero bocca, i sorveglianti avevano estratto le loro armi. Le donne si erano portate davanti ai cavalli per proteggerli. E nella confusione, pensando che l’oggetto dei loro desideri fossero le donne, ne aveva afferrata una spingendola contro quelle strane creature pallide ed emaciate. Criminale! Stolto! Aveva scatenato l’inferno e non era rimasto a guardare, gli importava solo di aver salva la vita.
Era scappato subito, non aveva perso tempo. E neanche il Sorvegliante che voleva il suo sangue, che odiava ogni suo passo, che voleva cancellare anche il solo ricordo della sua maledetta esistenza.
Uscì dalla foresta e il vento salmastro prese a schiaffeggiarlo. Davanti a lui la bellezza selvaggia del Forth e il dolce rilievo di un vulcano spento sul quale sorgeva un villaggio di pastori: una debole speranza di un nascondiglio e qualche ora di oblio. Ma già il battito regolare e ansante di un cavallo in corsa alle sue spalle, gli fece perdere ogni speranza. L’inseguimento stava per giungere alla sua fine inevitabile.
Triplicò gli sforzi per attraversare la radura e raggiungere un pascolo abbandonato, le gambe gli tremavano, il peso dell’Ox gli spezzava la schiena e il cuore impazzito chiedeva pietà. Si passò la mano sul volto nero come l’ebano. Pietà.
Gli zoccoli battevano il terreno alzando zolle fradice, facendo tremare il suolo come una frana. L’ombra alle sue spalle si allungava e i primi schizzi di bava schiumosa lo raggiunsero ai polpacci nudi. Vide l’ombra dell’ascia alzarsi, pronta a colpire. Scartò di lato, evitando per un pelo di essere travolto dal cavallo e rotolò lungo la pendenza del pascolo.
Lo vide arrivare. Era solo la seconda volta che lo vedeva, non si conoscevano affatto. Non sapevano di essere gli unici sopravvissuti di un popolo antichissimo. Gli occhi dorati del Sorvegliante bruciavano di odio, piccoli soli ardenti nella pelle nera del viso. La testa enorme, sormontata da corna massicce, si girò verso di lui. I denti bianchi balenarono in un ghigno feroce, spronò il suo animale possente con gesto deciso.
– Ascolta! – gridò disperato rialzandosi, la voce strozzata, il sangue sulla fronte. – Ascolta, ti dico!
Vide arrivare quella bestia magnifica: il pelo di un grigio uniforme e i crini ispidi intrecciati con cura. La guida spirituale di un Sorvegliante. Attese l’impatto. Piantò il pugnale nel collo dell’animale e sentì il peso di cavallo e cavaliere travolgerlo. Sentì il calore del muscolo pulsante, l’umidità viscida del sudore, il sapore ferroso della terra che gli penetrava nella bocca e nel naso. Un nitrito straziato e un grido di dolore.
Poi l’abbraccio confortante della morte.
A.D. 1286, Edimburgo
Nonostante fossero le prime ore del pomeriggio, il sole stava già calando oltre l’orizzonte. La pioggia e il vento avevano sferzato le schiene dei carpentieri e dei mastri artigiani fin dal primo mattino: la trasformazione della roccaforte di Eidyn in un vero e proprio castello sulla sommità del vulcano spento aveva impegnato tutte le maestranze del luogo, comprese quelle del borgo portuale sul Forth a poche miglia di distanza. Il castello era stato terminato da anni ma nuovi edifici e aggiunte continuavano ad ampliarne il perimetro fin sotto le mura.
– Una residenza reale? – L’uomo anziano scuoteva la testa scettico, incurante della pioggia che gli scorreva sul viso. Aveva il volto cotto dal sole, visibile anche sotto la rada barba grigio ferro e le sopracciglia cespugliose. Nonostante l’età, settantasei anni passati nelle terre desolate di Scozia, il suo cipiglio fiero ardeva incandescente da sotto le ciglia folte. Il mantello a ruota era fermato sulla spalla dalla fibbia con il simbolo del clan Bruce. – Ho l’impressione che voi stiate decisamente precorrendo i tempi, amico mio.
Sir William Douglas fece avanzare il cavallo fino ad affiancare il governatore del Carlisle. – Non dubito affatto che un giorno sarà dimora di un re di Scozia – i suoi occhi contemplavano l’avanzamento dei lavori. Con l’immaginazione già vedeva il sogno divenire realtà. Amava quel paesaggio, amava l’idea di un luogo davvero sicuro e protetto che al contempo sprigionasse forza e maestosità da ogni pietra. Una residenza reale, un quartier generale, magazzini, prigioni… un centro del potere.
L’ingresso orientale era rivolto verso la città circondata dalle mura, la strada principale che portava al paese era la traccia antichissima lasciata dalla glaciazione che aveva eroso le tenere rocce sedimentarie del vulcano. Il ghiaccio era scivolato da ovest a est per poi fermarsi sui sedimenti di basalto. Ecco un miglio dritto come un fuso. Un miglio reale.
– Né io né voi vedremo quel giorno – ribatté sconsolato sir Robert Bruce, il quinto in famiglia a portare quel nome e nonno di colui che un giorno sarebbe diventato il primo re di Scozia.
Percorsero un viottolo fangoso fino ad una stalla abbandonata. Lasciarono i cavalli fumanti di vapore all’ingresso e attesero l’arrivo del Connestabile e del soprintendente di Scozia. La loro piccola riunione informale, lontana da orecchie indiscrete, era stata un’idea di Douglas.
Quando arrivarono, sir William si tolse i guanti bagnati e si strofinò le mani per scaldarle. Era il suo momento.
– E’ dall’inizio dell’anno che il regno viene flagellato da tempeste e uragani. I sapienti del nostro popolo hanno annunciato che la fine del mondo è vicina – esordì serio. – Per la precisione, hanno previsto che l’ultimo giorno sarà il 18 marzo. Oggi.
Giocherellava con la catena d’oro che portava al collo, e con la chiave che vi era appesa. Sir Douglas aveva il volto rovinato da sottili cicatrici e uno sguardo selvaggio negli occhi chiarissimi, da lupo famelico. Un angolo della bocca si sollevò in un sorriso di sghimbescio. – Oggi è il giorno del giudizio – aggiunse con voce sepolcrale. Ammiccò: lo era davvero per come la vedeva lui.
– Il re è indifeso – puntualizzò il Connestabile. – Questa sciocca superstizione potrebbe facilitare i piani a qualsiasi balordo.
– Siamo in pace – commentò Bruce accarezzando il collo fremente del suo cavallo. – Il popolo è soddisfatto, le strade sono sicure, la burocrazia funziona, il commercio va a gonfie vele. Non permetteremo che qualcosa, qualsiasi cosa, turbi la quiete del regno – agitò infastidito la mano, sulla quale spiccava l’anello del clan.
Sir Douglas annuì stranamente eccitato. – Non permetteremo che il regno cada nel caos, difenderemo la vita del re a costo della nostra… non è vero? In realtà noi ci aspettiamo che il re venga protetto da se stesso… Dobbiamo essere una sorta di guardiani per il re e per il regno. Dico bene?
Il Connestabile si tolse il cappello bagnato e lo mise ad asciugare. Gli occhi tristi erano quasi completamente nascosti dalle occhiaie.
– E’ stata sua l’idea del banchetto – confermò. – Abbiamo tentato di dissuaderlo, ma voleva a tutti i costi farsi beffe di questa diceria. Con la scusa di discutere la liberazione del barone del Galloway dalle prigioni inglesi, ha organizzato una festa in piena regola – sospirò sconsolato – E’ di questo umore da quando si è risposato l’ottobre scorso.
– Noi speriamo che la regina Yolande gli dia presto un erede, perché la situazione in caso di sua… ehm…
– Porta male parlarne – lo ammonì Bruce.
– Sì, insomma, avete inteso – proseguì Douglas. – Dalle prime nozze ha avuto tre figli. I due maschi sono già morti senza eredi. La femmina è andata in sposa a Erik II di Norvegia ed è morta mettendo alla luce la piccola Margaret che ora ha solo tre anni.
– “La fanciulla di Norvegia”, l’unica erede di Scozia – replicò sarcastico Bruce.
– Sua maestà è… capriccioso come uno stallone in calore. Nei dieci anni della sua vedovanza ha fatto visita sotto mentite spoglie a tutte le belle donne del paese, di ogni età, ceto sociale e stato civile. Se Dio ce lo concede, questi tempi sono ora finiti. Yolande de Dreux è una nobildonna francese, sana e giovane, non le ci vorrà molto per procurare al regno una nidiata di altezzosi marmocchi.
– Ma nel frattempo noi abbiamo la nostra arma segreta. Con la presenza del mio uomo al castello, nessuno oserà fare niente per rovinare la festa.
– Sono sceriffo del Cumberland e governatore del Carlisle. Ho combattuto più di una volta in Terrasanta e… – Bruce stirò le labbra scure e screpolate, gli mancava qualche dente e le gengive erano pallide in maniera impressionante. Non per questo però sembrava meno pericoloso e selvaggio – …non mi spaventano le profezie. Ma voi, amico mio, avete promesso di presentarci un portentoso guerriero. Lasciate che vi dica che questi occhi hanno già visto quanto di più bizzarro e incredibile abbia respirato sotto i cieli di Scozia.
– Può darsi che qualche villano vi abbia parlato di lui, delle sue apparizioni notturne – concesse sir William. – Ma nessuno, mai, ha avuto occasione di parlare con lui. Di avere la sua smisurata forza al proprio servizio.
Qualcosa si mosse nell’oscurità, due occhi come monete d’oro baluginarono nel buio. Il Connestabile e il Soprintendente trattennero il respiro facendo un passo indietro. Bruce rimase a piè fermo con le braccia conserte.
– Ho l’onore di presentarvi Tauros – concluse sir William. E non aggiunse altro godendosi l’espressione atterrita degli altri.
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