NEVE NERA

Camminava a piedi nudi e il fuoco avanzava al suo fianco.

Fu mia madre la prima a incontrarlo. Diciassette anni fa.

In quel preciso momento era sdraiata sui sedili posteriori dell’auto con le mani sulla pancia e la bocca contratta in un grido. Io ero la causa del suo dolore. Stavo per nascere.

Mio padre batteva un pugno sul clacson, quasi che il suono potesse far scomparire le macchine davanti a lui. Sfrecciava sulla strada come non aveva mai fatto. Con la sua voce gentile cercava di calmarla, le diceva che presto sarebbero arrivati all’ospedale. Le parlava di quanto sarebbe stato bello il momento in cui mi avrebbe tenuta fra le braccia per la prima volta. Mia madre aveva una sola risposta, le uniche parole che sfuggivano alle doglie.

«Vai, vai, vai!»

E poi successe.

Papà stava svoltando verso il parco, quando un’esplosione fece slittare l’auto su un lato. Un fungo incandescente di fiamme e fumo si gonfiò nel cielo.

La gente in preda al panico correva fuori dalla fabbrica che stava bruciando. L’aria si riempì in pochi istanti d’un fumo denso e irrespirabile.

Mio padre inchiodò, per non investire la folla.

Fece risalire in fretta il finestrino abbassato, ma un po’ di quel nero tossico si insinuò nell’abitacolo. Tossì e gli occhi gli bruciarono per qualche istante. Gli bruciarono come se dell’acido gli fosse schizzato in faccia. Per questo non lo vide.

Mia madre, che si era issata sui gomiti, invece sì.

Apparve per il tempo di un respiro.

Attraversò la parete di fuoco come se fosse stata una tenda. Si guardò intorno, scostando i lunghi capelli dal volto, e gridò. Gridò inferocito, con la violenza di una bestia che non mangia da anni.

La macchina ripartì prima che le fiamme la raggiungessero. Mia madre girò la testa e, nel vetro dietro di sé, lo vide dissolversi. Mi raccontò che scomparve come cenere, spazzato via da una ventata bollente.

Non ho mai creduto a quella storia. Pensavo fosse solo un’allucinazione provocata dai dolori del parto, un delirio.

Ma non fu la sola cosa strana che accadde in quelle ore di follia. Era pieno agosto, eppure iniziò a nevicare. Una neve che non si era mai vista. Una neve nera.

Coprì la città d’un manto scuro proprio mentre io facevo i primi respiri nel mondo fra le braccia di mia madre. Lei si ricorda ancora le infermiere e i dottori alle finestre, a osservare quello strano fenomeno.

La stampa disse che si trattava di un effetto secondario dovuto ai fumi della fabbrica chimica andata a fuoco. Una spiegazione razionale per qualcosa che aveva varcato i confini della realtà.

Adesso so cos’era quel nevischio d’inchiostro. Era il più fosco dei presagi. Era il segno dell’avvento di un essere che camminava col fuoco.

Ma si trattava solo di un piccolo assaggio del dolore e dell’orrore che avrebbe arrecato al mondo, al mio mondo, diciassette anni dopo, quando ritornò dalla cenere per darmi la caccia.