Recensire questo film è come sentirsi al bivio a cui Harry è stato perennemente sottoposto per sette lunghi anni: scegliere (di scrivere) ciò che è giusto piuttosto che ciò che sarebbe facile.

Ci vuole davvero poco a sentenziare che Harry Potter e i doni della morte, parte 1, sia solo l’ennesima mera operazione commerciale deludente e sempre più inespressiva, un insoddisfacente prologo di un finale fatto anelare per mesi, se non anni, come qualcosa di scoppiettante,  assolutamente perfetto e in grado di gratificare le aspettative dei fan.

Aspettative… che andrebbero definite legittime e non pretenziose, considerando la portentosa quantità di estratti, video speciali e dal backstage, interviste, immagini di ogni genere che hanno tempestato i siti web e i giornali, per non parlare della fiducia verso un team tecnico e artistico ricco di talenti collaudati (salvo qualche cambio in corsa e una scelta di registi che ha sempre fatto discutere) che, definendosi una famiglia, da quasi 10 anni porta sullo schermo il magico mondo di Hogwarts. Se poi la stessa J.K.Rowling quest’anno figura tra i produttori, le aspettative salgono alle stelle, perché la sua presenza ufficiale dovrebbe essere sinonimo di garanzia.

Sarebbe altrettanto facile, ma forse ingiusto, giudicare questo settimo film solo per gli aspetti positivi realmente presenti, che hanno funzionato indipendentemente dalla più o meno fedele attinenza al libro.

La prima osservazione da fare è che Harry Potter e i doni della morte è un film che in un certo senso obbliga tutti, adepti e meno appassionati, a dei grandi salti di memoria, per l’inserimento o la menzione non solo di oggetti, ma anche di personaggi da tempo dimenticati che qui ritrovano un posto non sempre di scarso rilievo, un esempio per tutti: la ricomparsa di Dobby, sparito da La camera dei segreti che ora torna ad assumere un ruolo fondamentale.

Durante la visione del film, una delle domande più ricorrenti è stata quanto fossero comprensibili, da parte di chi non ha letto il libro, alcuni aspetti fondamentali omessi o pesantemente rimaneggiati, per non dire stravolti, per, ammettiamo pure, esigenze di sceneggiatura. Tuttavia la sensazione è che queste vere e proprie incongruenze possano aver tolto molto a questa prima parte. A ben ricordare fin dalle dichiarazioni ufficiali sulla suddivisione dell’ultimo capitolo in due parti si sentiva forte la minaccia che questo potesse diventare un film di passaggio, una specie di prologo, e soppesando i vari elementi purtroppo, così è stato.

Dopo la morte di Albus Silente e l’ammissione da parte del Ministero della Magia del ritorno di Voldemort, “nessun posto è più sicuro”. Questo concetto cardine appare subito molto chiaro, anche se si perde, in continuità coi sei film precedenti, il concetto che Hogwarts non è più “casa”, la protezione dove tornare sempre ben accolti, soprattutto per Harry, ormai maggiorenne, e per i suoi amici. Tutto è concentrato sulla missione di recuperare gli Horcrux (i sette oggetti in cui il Signore Oscuro ha nascosto una parte della propria anima) e di conseguenza sul rapporto d’amicizia di Hermione, Harry e Ron, su cui Yates effettua un costante focus, concentrando buona parte dell’attenzione sul continuo sconvolgimento emotivo a cui questo percorso li sottopone, mettendoli necessariamente alla prova, e i ragazzi capiscono che l’unica soluzione per sopravvivere è restare uniti. Decisamente un segnale confortante e di speranza.

I rapporti contrastati ed esasperanti con i membri dell’Ordine della fenice (quasi del tutto assente, se non nella scena dei sette Potter) si perdono fin dall’arrivo alla Tana, e il confronto tra i tre protagonisti con il Ministro della Magia viene totalmente stravolto e privato di ogni tensione emotiva.

Sparisce la festa di compleanno e il famoso bacio tra Ginny e Harry diventa più un comico siparietto che appiattisce ulteriormente l’aspetto emotivo del protagonista, annullando il turbinio di sentimenti e tormenti per dover tagliare i ponti con la ragazza che ama. E' poi spiazzante accorgersi che Harry, sorridente e pimpante, partecipa non travestito al matrimonio di Bill e Fleur, e così via... Senza entrare troppo nel merito per non rovinare la visione del film, sono molte le scelte che non consentono agli spettatori di apprezzare appieno quel mondo che la Rowling aveva saputo creare con maestria, fatto di piccole sfumature, momenti coinvolgenti, situazioni e frasi d’effetto, scoperte  destabilizzanti soprattutto nell’immaginario di Harry, che percepisce in modo più adulto e disincantato la figura di Albus Silente, che nel film non trova quasi spazio se non per pochi sparuti momenti.

Un’altra riflessione non irrilevante parte da una valutazione del libro stesso, che contribuisce a sentire questo settimo film molto diverso dai suoi predecessori: a differenza degli altri sei, i doni della morte è un libro già in sé molto discontinuo nel ritmo narrativo, problematico, quasi un collage di opere diverse. Ciò è dovuto al fatto che, in quanto ultimo capitolo di una saga complessa e arricchita in divenire, sia stato sottoposto a maggiori revisioni e correzioni.

Il punto è che tutto ciò trapela inesorabilmente anche nella trasposizione cinematografica: nel libro come nel film si avverte una forte dispersività di fondo, che lascia lo spettatore insoddisfatto e critico soprattutto verso il momento centrale.

Il film è diviso sostanzialmente in tre parti, coi momenti più intensi e ricchi di eventi coinvolgenti posti essenzialmente all’inizio e alla fine: nel mezzo si snoda la lunga e interminabile sequenza “on the road” tanto decantata da Yates e compagnia, ossia la ricerca a testa bassa degli Horcrux.

La suddivisione però in tanti piccoli episodi, quasi vanifica quel già poco pathos creato dal rapido susseguirsi di eventi, che vanno dal discorso di Scrimgeur all’arrivo in Grimmauld Place, per poi concentrare in poco più di venti minuti: l’incontro con Xenophilius Lovegood, il racconto dei Doni della Morte, il suo tradimento e il successivo rapimento dei Ghermidori, l’arrivo a Villa Malfoy, la tortura di Hermione e il finale terribile e solenne.

Finale che lascia lo spettatore, tuttavia, decisamente insoddisfatto, ma più di tutto infastidito dal dover aspettare luglio 2011 per poter finalmente assistere al tanto agognato, quanto forse scontato, epilogo.

David Yates, alla sua terza esperienza con il mondo creato dalla Rowling, sicuramente ha saputo riproporre in modo chiaro e complessivamente convincente sia i personaggi che certe atmosfere cupe e destabilizzanti.

Contestando solo da un punto di vista estetico la scelta di Bill Nighy (Rufus Scrimgeur) e Andy Linden (Mundungus Fletcher), decisamente lontani dalle descrizioni della scrittrice, le new entries per questo ultimo capitolo di Harry Potter e i doni della morte convincono e bene si inseriscono nella narrazione, soprattutto Rhys Infans ha offerto un’ottima prova nei panni dello stravagante e sopra le righe Xenophilius Lovegood, padre di Luna, e va a inserirsi impeccabilmente all’interno di un cast già collaudato che, negli anni, ha potuto maturare una valida coesione permettendo a ciascun attore di armonizzarsi con gli altri, non senza percepire differenze di intensità interpretativa. Certamente Rupert Grint è tra coloro che hanno saputo meglio distinguersi per espressività e credibilità come, tra gli adulti, Jason Isaacs ha saputo rendere perfettamente lo stato di frustrazione a cui il suo personaggio, Lucius Malfoy, è ormai terribilmente sottomesso.

Brillante ed efficace è la colonna sonora composta da Alexander Desplat. Le scenografie di Stuart Craig sono accurate e di grande qualità. La fotografia di Eduardo Serra e Mike Brewster riesce ad avere un forte impatto, dando il giusto risalto ai diversi momenti del racconto, luminosa nei momenti più sereni, cupa nelle situazioni drammatiche. Tutti questi elementi, insieme agli straordinari effetti speciali realizzati da Tim Burke e il suo team, trovano espressione massima nel delicato e meraviglioso racconto dei Doni della Morte, un omaggio alla tecnica della silhouette, nata nei primi decenni del XX secolo, in cui i personaggi sono corpi neri che si muovono su sfondi colorati, regalando al pubblico in sala un intenso momento di fiaba e vera magia.

Certamente non hanno potuto compensare alcune carenze della pellicola, ma hanno contribuito al meglio nella realizzazione di questa prima parte che, auspichiamo, possa trovare nel secondo episodio le giustificazioni che fin’ora non sono state trovate, offrendo ai fedeli appassionati della saga di Harry Potter il miglior epilogo possibile.