La domanda sorge vedendo i comportamenti di alcune case editrici nell'ultimo periodo.

La decisione della Gargoyle di non pubblicare più scrittori italiani in cartaceo ma in versione elettronica, per cominciare; sorte in cui è incorso anche il terzo capitolo della saga di Wunderkind, Il Regno che Verrà di G.L. D'Andrea, in uscita il 29 novembre (www.valberici.eu/archives/6129).

Si è di fronte, come i sostenitori degli e-book sperano, al puntare sul mercato elettronico dei libri?

Le speranze rimarranno tali, dato che le decisioni effettuate non sono state prese per fiducia nei riguardi di questo settore, quando per trovare un modo di limitare i costi e non correre rischi. Un modo ormai diffuso da parte dell'imprenditoria di cercare di effettuare guadagni in un periodo di crisi e vendite non certo positive: per avere utile si tagliano le spese, come purtroppo è avvenuto in certi casi con editing scarsi o assenti (il tutto a discapito della qualità), o eliminando la pubblicazione cartacea, come mostrato nei casi citati (niente carta, copertine, rilegatura, inchiostro, ma solo un semplice file che ha costi molto più bassi, dato che allontana il peso della distribuzione ed elimina quello del temutissimo magazzino, delle rese, delle giacenze).

Le case si difendono asserendo che sono state le scarse vendite a portare a tale decisione, visto il gran numero di resi dei volumi cartacei pubblicati.  Questo è evinto per esempio nel caso di G.L. D'Andrea, vista la risposta data dalla stessa Mondadori a una lettrice, e alla luce dell'intervento di Sandrone Dazieri sul blog di Loredana Lipperini.

Secondo le sue parole, il consulente della sezione Ragazzi della Mondadori ritenne a suo tempo la trilogia di D'Andrea interessante e visionaria, anche se forse un po’ troppo adulta per le collane con le quali collaborava, tuttavia avrebbe potuto essere d'interesse per la fetta “alta” del pubblico cui si rivolgeva abitualmente, ovvero lettori dai diciotto anni in su.

Pertanto, propose che tutti e tre i libri della saga Wunderkind fossero contrattualizzati, al contrario di quanto accade generalmente con gli esordienti a cui viene opzionato il primo volume, per valutare la risposta del mercato; d'altra parte i tre volumi erano stati concepiti dall'autore come una sola storia, mentre la decisione di realizzare tre volumi fu decisa in Mondadori.

I numeri delle vendite di La rosa e i tre chiodi  gli fecero pensare di essere di fronte a un fallimento, di aver fatto un errore di valutazione, probabilmente dovuto alla scelta della copertina, del titolo e al fatto che in molte librerie fosse esposto nel settore dei libri per bambini o, forse, anche dal fatto che giornali e pagine culturali non diedero alcuno spazio a questo romanzo.

A seguito di ciò, sempre secondo Dazieri, il secondo volume rese ancora meno, ritrovandosi così con la maggior parte delle copie in magazzino, dove i librai le avevano rispedite perché non riuscivano a venderle. A fronte di questo, la Mondadori ha deciso di pubblicare il terzo capitolo solo in formato elettronico, piuttosto che lasciare la saga incompleta come altre volte è successo.

Di fronte alla decisione della casa editrice, si sono levate le proteste dei lettori che hanno apprezzato il lavoro di G.L. D'Andrea e che vorrebbero leggerlo ancora su carta per i motivi più disparati, sollevando in rete proteste e discussioni su tale modus operandi. I commenti nei post linkati sono indicativi in tal senso.

Certo, non bisogna dimenticare che l'editore è un imprenditore e che deve avere un utile se vuole sopravvivere e continuare la propria attività, ma l'editoria è un settore diverso da qualsiasi altro ramo imprenditoriale, perché non si producono oggetti d'utile utilizzo quotidiano come possono essere a esempio gli elettrodomestici, ma qualcosa capace di trasmettere emozioni, far riflettere, far evolvere, prendere coscienza di realtà nascoste come possono essere solo quelle che riguardano l'animo umano.

È così difficile trovare un compromesso tra guadagno e spessore di un'opera, oppure l'unica voce da prendere in considerazione è quella del ricavo che punta tutto su mode e tendenze (come adesso è il paranormal-romance)?

È davvero improbo vincere il pregiudizio nella mentalità italiana che il fantastico sia qualcosa di esclusivamente legato a età che vanno dall'infanzia fino all'adolescenza? Per chi vuole scrivere con toni più maturi questo genere, pare che al momento in Italia sia così; magari all'estero le cose non sono tutte rosee come si può pensare, tuttavia fa riflettere che scrittori come Haruki Murakami (1Q84, Kafka sulla spiaggia, per citare alcune sue opere), Mariam Petrosjan (La Casa del Tempo Sospeso), Steven Erikson (con la sua saga di Malazan) siano riusciti ad affermarsi a livello internazionale trattando in maniera adulta e matura il genere fantastico.

Perché nel nostro Paese questo non riesce ad avvenire?

È una questione di mentalità e anche di maturità, dove persiste una scarsa se non assente conoscenza del genere: siamo di fronte a limiti che ormai dovrebbero essere superati, a limiti che sottovalutano il potenziale celato nel fantasy: è forse è colpa delle case editrici perché non riescono a vedere oltre il momento e non si rendono conto che un'epoca è finita e che si sta avviando verso un cambiamento. Ma è anche vero che rispondono alle leggi del mercato, alla famosa domanda-offerta e i loro prodotti sono specchio di ciò che vogliono i lettori: questi ultimi sono consapevoli della parte che hanno in tutto questo meccanismo?

Occorre fermarsi a riflettere e fare chiarezza, divenendo consapevoli della parte che ognuno ha avuto in questo meccanismo.

Certo, questa presa di coscienza non è una critica contro chi protesta reclamando diritti che sente lesi: è una cosa giusta, così come lo è il sottolineare che una casa editrice deve credere sul lavoro di uno scrittore, saper investire e soprattutto valorizzarlo, perché altrimenti si rischia, come dimostrato nei due esempi dell'articolo di veder sviluppare, come in tutta l'imprenditoria italiana, una mancanza di volontà d'investire dove si vogliono guadagni forti e sicuri senza fatica, con il minimo degli investimenti.

Soprattutto gli editori dovrebbero fare attenzione alle giustificazioni che danno per certe loro scelte, anche se usano belle parole per sostenerle, perché si può non riuscire a nascondere messaggi che arrivano alla clientela facendo avvertire una sorta di mancanza di rispetto, come in questi casi: l'e-book non è ritenuto un investimento, un'opportunità da cogliere e valorizzare, quanto semplicemente un prodotto capace di far guadagnare col minimo sforzo (per lo meno nell'immediato, dato che la realizzazione di un file non ha lo stesso costo di un romanzo cartaceo). Un messaggio poco gradevole e anche poco fruttuoso, perché i lettori comprendono quando sono presi in giro e tale comportamento crea una perdita di credibilità che va a ripercuotersi poi sulle vendite.

Bisogna sempre ricordare che un libro è sempre un libro, anche se cambia il modo in cui viene letto, perché le sue pagine sono state create con mesi, se non anni d'impegno e lavoro da parte dell'autore; per questo va trattato sempre con la massima cura e attenzione. E così facendo viene rispettato anche lo scrittore che gli ha dato vita perché, se ci fosse bisogno di ricordarlo, in primis lo scrittore è una persona, non un oggetto da sfruttare e finito il bisogno messo da parte come un vecchio pelouche.

Quanto visto non è un modo di fare imprenditoria capace di dare frutti duraturi perché denota una mancanza di programmazione a lungo termine, che se può dare l'uovo oggi, rischia di generare perdite nel futuro, esponendo al rischio del fallimento e dell'inevitabile chiusura.