Benché in rete circoli una credibile copia della sceneggiatura (forse un primo abbozzo, in quanto la data è 1996), si sa ancora poco del King Kong di Peter Jackson.

A un primo esame del copione, dando per buono che il regista non se ne discosterà molto, non si tratta di un piatto remake: c’è un prologo ambientato durante la prima guerra mondiale – nel primo film il pubblico veniva a sapere solo incidentalmente che l’eroe era stato un asso dell’aviazione durante il conflitto - e la “fidanzata” del nostro scimmione preferito, stavolta un’archeologa, è già sul posto.

A questo proposito, quello che colpisce di più è la somiglianza fisica, accentuabile con il dovuto make up, tra Fay Wray e Naomi Watts: nel rifacimento di Guillermin, Jessica Lange era piuttosto battagliera (qualcuno parlò, azzardatamente, di rivisitazione in chiave “femminista” del mito) e molto meno arrendevole, anche se altrettanto seducente.

Jessica Lange
Jessica Lange

Quale sarà la chiave di lettura scelta da Jackson, l’eroina passiva, quella attiva, una via di mezzo, qualcosa di completamente nuovo? Come si confronterà, sempre se ci sarà spazio per questo, Naomi Watts con lo spogliarello di Fay Wray, candido ma così denso di sottintesi erotici?

Fay Wray, non molto conosciuta in Italia, è un’icona con la quale altre attrici si sono scontrate, in discutibili remake dei suoi classici (La Maschera di Cera, tanto per citarne uno), con risultati poco felici.

Fay Wray
Fay Wray

La stessa Watts, in una recente intervista, non si è sbilanciata molto, dichiarandosi affascinata dalla semplicità e dall’immediatezza della storia, nello stile (parole sue...) de La Bella e la Bestia; effettivamente c’è ben poco di nuovo che si possa estrarre da questo mito cinematografico e ci si domanda se l'attrice avrebbe comunque accettato il ruolo se a dirigere il remake fosse stato un regista diverso dal pluripremiato Jackson.

Lo stesso Merian C. Cooper si mostrò poco propenso a un sequel, e quando produsse Il figlio di Kong, strombazzato all’epoca come “seguito” di King Kong, ne venne fuori un film poco spettacolare e molto dolente, al termine del quale lo scimmione rinuncia all’oggetto del suo amore in nome dell’amicizia verso il rivale, salva i due da un naufragio e, mentre affonda nel mare, agita sempre più lentamente la mano in un saluto definitivo... è forse una metafora che nessuno ha voluto capire?