Quando si ricorda un evento lo si guarda attraverso il vetro del tempo, via via sempre più spesso. I particolari sfumano, le impressioni si consumano, i fatti si diluiscono nell’acqua della memoria.

Soprattutto cambiano le sensazioni che il ricordo porta con sé.

Non si può in effetti ricordare una sensazione. Perché a rivivere il ricordo è sempre una persona diversa. Una persona cambiata, mutata, cresciuta. Una persona che non è più la stessa che ha vissuto la determinata esperienza che ora riporta alla mente, e che di conseguenza ne trarrà sensazioni mutate.

Non ci si bagna due volte nello stesso ricordo.

Ma la memoria di Azoleen era stata diversa. Era stata fresca, nitida, intensa. Le sensazioni che aveva portato con sé avevano la consistenza di fatti reali. Concrete e vive come se a provarle fosse la stessa bambina di allora. Come se il nastro del tempo si fosse riavvolto e lei fosse tornata ai suoi sette anni e mezzo, di nuovo al buio, in castigo, nello sgabuzzino. Era stato qualcosa di completamente differente dal ricordare una vecchia sensazione, era stato come riviverla, ritrovarla dopo anni intatta, bruciante, perfettamente uguale a se stessa.

Il nucleo di fuoco parve diventare ancora più rovente.

La ragazza rimase a lungo concentrata su quel ricordo, uscito così pulito dalle ceneri del suo passato.

Poi deglutì e con fatica prestò una vaga attenzione al presente.

Tanto era stato nitido il ricordo del passato, tanto il mondo che la circondava in quel momento le appariva confuso, fluttuante, pieno di nausea e sofferenza.

Si trovava pancia sotto, su alcune assi che traballavano e sobbalzavano facendola fremere di dolore. Dovette sforzarsi per capire che probabilmente era in un carro, diretto chi sa dove.

Aveva i vestiti bagnati e faceva freddo. L’odore del legno umido le impregnava le narici provocandole conati. Avrebbe voluto sollevare la testa per allontanarsi da quel puzzo ma non ci riusciva. Una debolezza insostenibile la teneva schiacciata a terra. Le braccia rotte le scaricavano in corpo ondate di dolore sordido, marcio. La sua mente prese a giraci intorno come un uccello impazzito.

Dolore.

Ossa rotte.

Braccia spezzate.

D’un tratto Azoleen fu sfiorata dal pensiero di come le sue braccia si erano rotte. Di chi era stato a farlo, di cos’altro era successo.

Un orrore insopportabile le rivoltò le viscere. La ragazza gemette, cercando disperatamente un modo per sfuggirgli, uno qualsiasi.

Fuggire.

Subito.

A ogni costo.

Sì, ma dove poteva fuggire nelle condizioni in cui si trovava?

Scoprì che questo problema all’apparenza insormontabile aveva in realtà una soluzione semplice.

La sfera di fuoco era lì, come in attesa di lei, come se la stesse aspettando. Richiamò a sé Azoleen con dolcezza, e lei vi si lasciò scivolare dentro. Senza riserva si abbandonò a quel fuoco che le prometteva tregua dal freddo, dalla sete, dalla nausea, dalle ossa rotte e da tutto l’orrore del presente.

Da quel fuoco si lasciò proiettare indietro nel tempo, in un mondo in cui il suo corpo martoriato non esisteva.

Dentro lo sgabuzzino prima o poi finisce col mettersi a fantasticare. È inevitabile, ed è anche un buon metodo per non stare lì a chiedersi di continuo quando verranno a farla uscire.

Di solito immagina che qualche parente sconosciuto arrivi a cercarla e la porti via, lontano. Può passare ore e ore a tessere trame, prima verosimili poi sempre più assurde.

Il suo protagonista preferito è lo Zio.

Lo Zio è un uomo alto ed elegante, ha due bei baffi neri e il sorriso pronto. Porta sempre un grosso tascapane pieno di dolcetti al fianco e ama fumare la pipa. Normalmente entra in scena sfondando una porta, a cavallo di un destriero elefantiaco; ma non le dispiace neanche la versione di lui a dorso del drago volante.

Il succo della cosa è sempre lo stesso: lo Zio arriva e la porta via, lontano da lì. Ma le variazioni sul modo sono molteplici, tutte ricche di particolari.

In questo momento sta evocando con grandissima precisione la variante in cui lei e lo Zio volano via sul drago e la direttrice dell’orfanotrofio viene colpita da una cascata di cacca proveniente fresca fresca dal sedere squamoso dell’animale. Ma l’idilliaca scenetta viene interrotta da un forte bussare contro la porta di legno. Sobbalza.

– Allora, sei pentita? – chiede una voce dall’inflessione acida.

Non fatica a darle un volto: si tratta senza dubbio di Magdalala, l’inserviente che in assoluto le sta più antipatica.

– Io sono pentita – dice lei, a voce acutissima – e Agaroo? Lei è pentita? – Certo non è la cosa più saggia da dire per uscire in fretta da lì dentro, lo sa bene ma non le importa, la dice comunque. Sente Magdalala sbuffare.

– Sei davvero intollerabile – dice la donna, poi borbotta fra sé e sé: – E con un nome empio come il tuo non vedo come potrebbe essere diverso!

Lei rizza le antenne.