Clary Fray è un'adolescente come molte: qualche piccolo contrasto con la mamma (Jocelyn Fray, una donna che vive di arte e creatività), un migliore amico, Simon, (neanche troppo) segretamente innamorato di lei; come tante ragazze a quella età è alla ricerca della propria identità, e non mancano le fissazioni. Quella di Clary è un simbolo, verosimilmente una runa, di cui non riesce a capire la provenienza e nemmeno come possa essersi infiltrato tra i propri pensieri, ma comincia a ossessionarla per non dire perseguitarla, ritrovandoselo ovunque.

Ovviamente, esso nasconderà molto più di quanto la ragazza avrebbe mai potuto immaginare o, se preferite, ricordare. È la chiave dietro cui è celato il vero passato di Clary stessa e della sua discendenza, tutta la storia degli Shadowhunters a cui una “semplice Mondana” di Brooklyn in realtà appartiene, perché figlia di Jocelyn per l'appunto, cacciatrice di demoni, e soprattutto di Valentine Morgenstern, il cacciatore rinnegato che aveva sconvolto molti anni prima il Mondo Invisibile con (casualmente) eccessivi intenti egoistici.

Clary entrerà in contatto col proprio vero mondo, il Mondo delle Ombre, col passato della madre (misteriosamente quanto tragicamente sparita) e cercherà di ritrovarla grazie ai Cacciatori di demoni, un gruppo di guerrieri semi-angeli (perché discendono, pensate un po', dall'angelo Raziel), guidati da Hodge Starkweather, una specie di stregone-maestro-ispiratore: Jace, Isabelle e Alec. Clary li vede (dettaglio non irrilevante) per la prima volta al locale Pandemonium, una sera, mentre uccidono un demone, e intorno a loro impazza una serata goticheggiante. In seguito alla scomparsa di Jocelyn Clary deciderà di seguirli, e andrà all'Istituto dove essi vivono e si addestrano che si trova, nascosto alla vista dei Mondani, a New York.

A tal proposito Clary scoprirà, e più volte le viene ricordato durante il film, che niente e nessuno è davvero come sembra. Un'affermazione di estrema importanza, e in effetti una promessa anche per lo spettatore, abbastanza riuscita.

È sempre difficile dare il via alla trasposizione di una storia complessa che ci ha tenuti ore e ore incollati ai libri, specialmente se ancora non pubblicata integralmente. Oltre al problema di trovare il cast giusto, probabilmente c'è il rischio di attirare solo il pubblico degli appassionati e fan, quindi è necessario tentare di stuzzicare l'attenzione di un pubblico più ampio, ma ci vuole qualcosa più di una buona intenzione, e in tanti anni e tante saghe lo abbiamo visto puntualmente.

Shadowhunters – Città di Ossa è il primo capitolo di un'altra saga in più libri: The Mortal Instruments, di Cassandra Clare, pubblicata in Italia da Mondadori. I film sono prodotti da Robert Kulzer e Don Carmody, non nuovi a portare sul grande schermo adattamenti di successo come Resident Evil, saghe horror come Wrong Turn o film di grande introspezione psicologica come Will Hunting, genio ribelle. La regia del film è stata affidata a Harald Zwart, norvegese, che si era fatto notare per la regia di alcuni film con giovani protagonisti (Un corpo da reato, Karate Kid II) oppure pellicole in più episodi. Forse questo background cinematografico ha permesso alla produzione di trovare il potenziale in questo recente successo editoriale, rivolto a un target simile a quello dei loro prodotti precedenti, i giovani adulti.

Dal punto di vista tecnico artistico, del resto, il film funziona molto bene, sia nella sceneggiatura che nella scenografia, nella fotografia (bellissimi i primi zoom e le foto aeree su New York) e negli effetti speciali, nella resa delle creature antropomorfe e mostruose, e nelle trasformazioni dei personaggi e degli edifici. Anche la colonna sonora riesce a inserirsi in modo armonioso con le immagini, dando quella nota in più al film che non è decisamente da poco. Oltre a brani firmati da numerosi artisti del momento come Zedd, Demi Lovato, Owl City (Alice in Wonderland di Tim Burton) e Bryan Ellis, la colonna sonora è curata dal compositore islandese Atli Örvarsson, non nuovo a collaborazioni cinematografiche e per serie tv (Pirates of the Caribbean, L’ultimo dei templari, Hansel & Gretel - Cacciatori di streghe).

Anche lo script resta piuttosto lineare e permette anche a uno spettatore che non sa niente della saga di calarsi all'interno della storia capendo cosa si sta dipanando di fronte a sé, seguendone lo svolgimento senza annoiarsi (anche grazie a dialoghi dignitosi e, all'occorrenza, piacevolmente ironici) ma, c'è da essere onesti, senza nemmeno esaltarsi. Non sarà difficile ritrovare dei “già visto” e sbuffare di fronte all'intreccio amoroso un po' trito e ritrito, nonostante sembri esserci la possibilità di un diversivo non di poco conto, ma nonostante Shadowhunters si regga sulle proprie gambe non sembra poi essere così spettacolarmente originale, e di certo non viene giustificato dalla cartella stampa che spiega esaustivamente come la Clare abbia concepito il Mondo delle Ombre, e sarebbe ingiusto criticarne completamente la creatività, ma questo resta un giudizio su carta. Allo stato cinematografico, però, molte somiglianze col mondo di Hogwarts soprattutto all'interno dell'Istituto, ancora Vampiri, stavolta cattivi, semplicemente affamati e piuttosto snodati in contorsioni e tripli salti carpiati, e ancora Licantropi... udite, udite... centauri! che vivono, stavolta, a Chinatown, vestono con camice a quadri e jeans e assomigliano più al cantante dei Nickelback o agli Eagles piuttosto che agli Indiani d'America. Piaceranno di più alle over 40, che alle ragazzine. Magari qualche mamma tirata con forza al cinema ringrazierà.

L'accento sul cast è dato da giovani attori piuttosto in parte, nonostante su YouTube alcuni commenti ai trailer esprimano non pochi dubbi sulla scelta di Lily Collins e di Jamie Campbell Bower per i protagonisti, perché non rispondenti alla descrizione dell'autrice. In effetti la Collins non è esattamente “rosso carota con una spruzzata di lentiggini” come sarebbe Clary nel libro, ma l'attrice merita decisamente una chance considerando che la prova offerta in lingua originale è sempre migliore rispetto al doppiaggio. Anche Jamie Campbell Bower, nonostante l'atteggiamento algido, talvolta considerabile inespressivo, rende Jace complessivamente credibile e forse quella punta di distacco emotivo che sembra esprimere non ci sta poi tanto male. Entrambi risultano, comunque, più efficaci di altri protagonisti in altre saghe, dall'emotività di un soprammobile.

Di certo uno dei personaggi meglio riusciti è Simon, interpretato da Robert Sheehan, noto ai più per il BAFTA in Misfits, sicuramente meno altisonante del "rivale" Campbell Bower, ma molto soddisfacente. Simon è anche il personaggio su cui paradossalmente è concentrata la maggior parte dell'attenzione (o la mia attenzione?) per il ruolo che, si capisce senza troppa fatica, assumerà nei capitoli successivi.

Ineccepibile la prestazione di attori affermati come Cch Pounder (Madame Dorothea) e Jared Harris (Hodge), che non strafanno e danno quel più all'intera pellicola.

Una nota insipida, purtroppo per le aspettative di cui era caricato, è l'interpretazione di Jonathan Rhys Meyers, decisamente in parte nel ruolo di Valentine, ma forse mostra zero fatica di immedesimazione, come se fosse un po' la macchietta di se stesso, ormai abituato a questi ruoli un po' “anima perduta-uomo che non deve chiedere mai- sono consapevole del mio fascino e del mio talento”. Insomma, visto il soggetto e il ruolo (presumibilmente?) centrale ci si poteva aspettare qualcosa in più. Viene da chiedersi se sia proprio il personaggio a non lasciare all'attore la possibilità di esprimersi al meglio o, al limite, se i prossimi capitoli non riserveranno migliori sorprese.

In conclusione, forse è prematuro dare un giudizio lapidario all'intera saga di Shadowhunters, è opportuno aspettare quantomeno il secondo episodio per capire se le scelte intraprese in City of Bones saranno state giuste e valide. Per il momento è sufficiente dire che complessivamente il film funziona e che lascia le giuste attese per le risoluzioni che arriveranno nel seguito. Speriamo.