Il lavatoio era incassato nel muro, fin quasi a farne parte. Era rovinato, pieno di immondizia, le fessure piene di ciuffi d'erba. L'acqua, sopra lo zampillo, aveva dapprima recato il cartello d'infamia 'non potabile' e poi aveva smesso di sgorgare del tutto. La facciata, nel corso degli anni, si era screpolata e rovinata, e tutto l'insieme aveva ormai assunto uniformità nel suo stato di abbandono, fatta di superficie ruvida, erbacce, pietre friabili che si sbriciolavano tra le dita. Era difficile distinguere il lavatoio dal muro anche di giorno.

Di notte, con la nebbia che attraversava adagio la strada, salendo dal fiume come un'esondazione fantasma, era impossibile.

"Merda!" 

Luca cadde in ginocchio, serrandosi il polpaccio. Gli sembrava di essere stato scalciato da un somaro, un dolore che attraversò i fumi alcolici, come un missile a bassa quota. Per la miseria, gli spigoli di pietra erano duri!

La presa di coscienza finì di ribaltargli lo stomaco, e Luca concluse la festa di Halloween vomitando sull'erba cresciuta tra il lavatoio e l'asfalto. 

Si stava liberando degli ultimi conati quando sentì lo sbattere della portiera che si richiudeva, e i passi sul marciapiede.

"Ma sarai coglione…" 

La voce di Francesco era nitida e dritta, come la sua sagoma, stagliata davanti ai fari. Non aveva bevuto neanche una birra, il traditore. Da qualche parte, nel cervello annebbiato, Luca sapeva che era perché qualcuno doveva guidare, ma in quel momento gli sembrava soltanto una slealtà senza pari. 

"Già soffri la macchina di tuo, vuoi darti una regolata, una buona volta?"

"Ma non rompere." Si pulì la bocca e si rialzò, aggrappandosi al bordo scabro del lavatoio. "Tanto domani è domenica, e quando ricapita un trentuno ottobre che casca di sabato?"

"Una logica ineccepibile. Almeno non mi hai vomitato sui tappetini."

Sull'altro lato della strada, l'unico lampione fendeva la nebbia a rischiarare una vetrina quadrata, con sopra il cartello SALI TABACCHI VALORI BOLLATI. Accanto c'era il distributore di sigarette, più uno di bibite, che le lampadine all'interno facevano sembrare quasi una visione religiosa. Lo Spirito Santo degli astemi e la redenzione della nausea da sbronza.

"Là ce l'hanno una Coca?"

"Ti farebbe meglio la stricnina - disse Francesco - ma ti sei vomitato l'anima e a stomaco vuoto sulla mia macchina non ci sali. Dài, vieni."

Luca seguì l'amico, migliore amico dal liceo, stessa facoltà universitaria, stesso semestre di laurea. 

Luca era quello che sapeva divertirsi, Francesco era quello che sapeva quando smettere di divertirsi, e la somma di questi due talenti li rendeva inseparabili. Condividevano tutto, gli studi, gli amici. Una volta, per un certo periodo, avevano condiviso anche la ragazza. Era finita quando lei si era accorta di non essere il vertice di quel triangolo cornificatorio, e li aveva mandati al diavolo riempiendoli di insulti.

"Che paese è questo?" chiese, mentre Francesco infilava monetine nel distributore. Il rumore degli spiccioli che cadeva era così forte da rimbombargli nella testa, e sembrava che, a parte loro due, la strada fosse deserta. Il bar della piazza era chiuso, con la serranda abbassata. Il rumore della lattina che cadeva nel vano gli parve un'esplosione.

"Sembra la terra dei fantasmi."

"Beh, siamo a tema, no?" Tirò fuori il cellulare. "Uuh, siamo nell'ora prima dell'alba, guarda che figata la luna nera del desktop!" Francesco aveva la mania di scaricarsi tutte le app più assurde, e visto che era Halloween, non aveva potuto rinunciare a quella che segnava la mezzanotte e il momento in cui gli spiriti tornavano sulla terra (uno per ogni ora), con tanto di icone tematiche. 

Gli mostrò la zucca diabolica che ghignava dal display. "Sì, è il momento perfetto per vedere i morti che resuscitano a molestare i vivi. Grande!"

"La pianti con le cazzate? Dove siamo?"

Francesco gli porse la lattina di Coca. "Dopo Calavi, una frazione. A quest'ora dormono tutti, che vuoi che facciano in giro, in 'sto mortorio. Mi pare che Lucia sia del posto, e quella non è un fantasma di sicuro." Mimò con le dita due cose grosse e soffici.

"A Lucia." brindò Luca, alzando la lattina con solennità sbronza.

Stava chiedendosi se avesse coordinazione sufficiente per accartocciare l'alluminio e lanciarlo dentro il lavatoio, quando sentirono un rombo di motore. Un'automobile superò la nebbia, passò oltre la piazzetta e sparì nella campagna.

"Bù." commentò Francesco. "Guarda, c'è anche il gatto nero."

Indicò col pollice un micione che, sulle erbacce dell'aiuola spartitraffico, si lisciava il pelo. Doveva essere domestico, perché quando si accorse della loro attenzione, inarcò la schiena, raddrizzò la coda e trotterellò deciso verso gli esseri umani. 

La Coca stava calmando un po' il magma che Luca aveva nello stomaco. Ah, sollievo. Francesco accarezzò il gatto, che si strusciava sull'uno e sull'altro, ronfando fusa sonore.