L'incontro con i Gioconomicon Talks a Lucca Games 2013 del giorno 2 novembre 2013 è molto particolare perché il mondo del boardgame (o volgarmente gioco da tavolo) evoluto è una nicchia, e in Italia ancor più modesta che in altri paesi.

E' un artista, l'inventore di un gioco? E' portatore di una scintilla di pura creatività destinata a giungere inalterata ai giocatori? Nell'incontro di oggi si sono incrociati i pareri di autori, editori e pubblico, e si sono potuti confrontare punti di vista molto differenti. Quasi unanime l'ammissione che il cosiddetto “inventore” di giochi non è effettivamente un inventore ma piuttosto un designer: ovvero un componente di una complessa catena produttiva che non può ignorare i costi, le mode, i gusti del pubblico. L'individuo con l'idea folgorante è un'idea romantica, come in molti altri settori.

Dal punto di vista dell'editore, che è poi l'imprenditore destinato a selezionare le idee che possono collocarsi sul mercato (o a modificare e plasmare le idee esistenti) la maggior parte degli autori di giochi sono personaggi inflessibili, estremamente innamorati della propria idea e convinti della sua perfezione, impossibili da calare nella figura di un designer maturo che sa collaborare con l'editore in maniera costruttiva. In altre parole, l'inventore di giochi dilettante nella maggior parte dei casi fa solo perdere un sacco di tempo e incapace di pensare a un approccio preventivo, a un esame delle possibilità commerciali e dei gusti del pubblico. A questa visione sono ovviamente seguite le repliche, che hanno evidenziato come inventare giochi e videogiochi non è una professione che in Italia (salvo alcuni recenti tentativi) si insegna: il designer (o inventore) si perfeziona solo sbattendo la testa contro gli ostacoli e nel rapporto costruttivo con l'editore (quando riesce ad averlo!).

Altro difetto dell'autore, non sapersi rendere conto del rischio imprenditoriale che l'editore corre, e rifiutare anche le richieste più ragionevoli come un cambiamento di ambientazione per inseguire i gusti del pubblico.

A molte di queste critiche gli autori presenti hanno riconosciuto una certa validità ma allo stesso tempo contestato altri atteggiamenti editoriali, come la reticenza a mettere il nome dell'autore sulla scatola (o sul regolamento) del gioco, un espediente che non serve solo all'amor proprio dell'autore ma che certamente non fa perdere vendite (al limite le fa guadagnare). Non parlare dell'autore può solo creare uno svantaggio. Un'altra osservazione che si potrebbe fare a chi sminuisce il ruolo degli autori di giochi è senza una intuizione o la volontà di un singolo, difficilmente nasce l'idea che può cambiare le cose o creare novità.

Cosa si può concludere dall'ascolto di questa chiacchierata lucchese? Innanzitutto, che il rapporto tra editore e autore nei giochi, per quanto non identico, presenta molte delle caratteristiche che si riscontrano nell'editoria libraria. L'autore vuole trovare il suo sbocco ma non conosce e non prende in considerazione i vincoli che l'editore deve rispettare per potersi collocare sul mercato.In secondo luogo, che i giochi possono essere interpretati come un amalgama ben riuscito di fredde meccaniche di gioco, ma senza la creatività di chi sappia metterci qualcosa di nuovo si rischia di ripetere tante volte la stessa cosa. Chi ha visto in questi anni (per esempio) la sfilza di giochi economici in cui si piazzano i lavoratori, trasformano risorse ecc... potrebbe essersi posto delle domande.