Le Streghe erano in tre, sedute sul ramo. Il sole di maggio le illuminava attraverso le fronde del maestoso noce, formando larghe macchie dorate.

Le loro gambe secche, fasciate da calze rattoppate e stivaletti di logoro cuoio nero, dondolavano pigre nell’aria. I vestiti, anch’essi neri, erano pieni di buchi, come pure gli alti cappelli a cono. Sembravano tre cornacchie. 

La prima poteva essere giovane e quasi carina.  La seconda, con un lungo mento appuntito, guardava l’orizzonte dei campi e masticava il gambo di una spiga di grano. Pareva impegnata in chissà quale riflessione, ma ogni tanto ridacchiava tra sé. 

La terza, di nome Bacucca e con un naso notevolmente grosso, dormiva, russando un poco, mentre la giovane e quasi carina la stuzzicava con uno stelo d’erba.

Era il primo pomeriggio. L’ora di cercare i funghi marci e l’erba schifa sotto gli alberi di ippocastano. L’ora di portarli a casa e schiacciarli coi pestelli da maleficio bofonchiando una parolaccia per ogni pestata. L’ora di preparare le fatture e gli incantesimi. A notte fonda, poi, sarebbe stato tempo di volare sopra Benevento in groppa a scope di saggina affascinata, in compagnia di gufi e pipistrelli.

Questo comandava la regola. 

Al momento, il tepore di maggio e la digestione di un ricco pranzetto sembravano molto, ma molto più appassionanti.

Strega Appuntita disse: – Hi! – Perché un pezzo di gambo le era finito in gola.

Strega Giovane sghignazzò, poi, alzò una mano a indicare qualcuno che si avvicinava all'orizzonte. 

– Forestieri! 

Strega Bacucca si svegliò di soprassalto inforcando gli occhiali a mezzaluna. – Eh? Dove? Come? Chi? 

Tutte si affacciarono dal loro ramo per guardare meglio.

Non si trattava proprio di forestieri, ma solo di un ragazzetto che avanzava lento con un grosso tascapane sulle spalle.

Arrivato sotto il noce, zuppo di sudore, alzò la testa dicendo – Olà!

Posò a terra il pesante fagotto e continuò – Bella giornata, nevvero? 

Le streghe non risposero e fecero convergere i propri nasi, nasacci e nasoni nella sua direzione. Era solo. Innocuo. Grassoccio

Si scambiarono uno sguardo d’intesa.

– Sto venendo dalla città, mie signore.  

– Ma non mi dire… – fece l’Appuntita. 

– Dalla città! Ce l’hai la televisione? – chiese la Giovane, eccitata.

– E qualche moneta? Ce la daresti qualche moneta? – berciò la Bacucca. 

– A dire il vero, no – rispose il ragazzo estraendo delle noccioline dalla tasca – Ho soltanto queste... 

Mentre lui si stringeva nelle spalle, le streghe si spanciarono dalle risate. L’Appuntita perse anche l’equilibrio e cadde sull’erba, continuando a sghignazzare a crepapelle.

Sdraiata ai piedi del noce, adesso era lei a guardarlo da sotto in su. Lo vide rimettersi in tasca le arachidi, imbarazzato. 

Come sembrava tenerello quel tipo.

Bacucca pensò che avrebbero dovuto rapirlo e poi cuocerlo in un calderone con rafano selvatico, aglio e cannella. Strega Giovane, che bisognava trasformarlo in un sorcio. Strega Aguzza, che quanto meno si doveva gettargli addosso un maleficio, perché così voleva il loro mestiere. 

Ma loro erano pigre, terribilmente pigre, per questo restavano sul ramo a ciondolare e far niente.

– Fa un bel fresco quassù – sospirò la Giovane – Che fai tu, rimani a terra?  

Grugnendo e sbuffando in cerca di appigli, Strega Appuntita risalì sull’albero e raggiunse le altre sorelle con la faccia sgraffiata e il cappello sulle ventitré. Il ramo su cui sedette mandò un lunghissimo cigolio di protesta, alcune foglie caddero a terra e in testa al ragazzino, che divenne meno sorridente. E, stranamente, meno grasso e meno ragazzino.

– Vedo bene che conoscete l’arte di come passare il pomeriggio, signore mie… - disse con voce più aspra.

– Beh, sì… non possiamo lamentarci, in effetti… 

– Alla lunga ci si stanca ma… 

– Tra una cosa e l’altra… insomma, si vivacchia … 

Un gruppo di nuvoloni scuri crebbe improvvisamente fino a coprire il sole. Le belle macchie di luce dorata scomparvero e tutto si fece cupo.

– Ma che roba! – Borbottarono le Streghe. Bacucca sollevò la testa verso il cielo, sempre più buio.

Un venticello carogna rubò il cappello della Giovane, che cercò di afferrarlo al volo e mise un piede in fallo. Con un gridolino ridicolo, finì aggrappata al ramo di sotto. 

Il cappello cadde tra i piedi del nuovo arrivato che ora non aveva più nulla di tenero e innocuo. 

– Credevo che le signore nerovestite avessero altro da fare, di questi tempi. – Il suo sguardo era tagliente.

Appesa in equilibrio precario, la Giovane rispose: – Oh, ma fatti gli affaracci tuoi! 

– Và un po’ a quel paese! 

– Ecco, sì, perché non ci vai?! 

Un boato improvviso fece tremare le tre sorelle. 

– Che cosa?!!! 

Il fragore  si rivelò non essere stato un tuono (anche se venne giù a piovere lo stesso, comunque), ma la voce dell’ex piccolo viandante che, tirati fuori dal tascapane un librone rosso e una penna, li aveva puntati minaccioso contro le streghe.

– Brutte fannullone, adesso avete colmato la misura! 

Un gran campionario di vento, fulmini e tempeste, accompagnò le parole dell'imponente creatura, ora alta, cornuta e circondata da un alone rosso fuoco.

– Punto primo: abbandono di posto di lavoro. 

La sua penna tracciò dei simboli con un inchiostro fiammeggiante che incideva e bruciacchiava la carta.

– Punto secondo: gravissima negligenza sul campo. 

Adesso, le streghe appese alle frasche del noce erano sbatacchiate qua e là dalle raffiche. 

– Punto terzo: insubordinazione e insulti all'ufficiale infernale nell'esercizio delle sue funzioni! 

– Facci scendere, mio signore! 

– Faremo le cattive, promesso! 

– Lo giuriamo, saremo veramente schifose! 

Il gran Diavolo scosse la testa con gravità, poi pronunciò a bassa voce tre parole magiche: 

– Rega… Flexis… Mur… 

Bacucca sbiancò. – Giovane, Ho mica capito Rega…? 

– Bacucca, ho davvero sentito Flexis…? 

– Ragazze… non avrà detto proprio Mur?!

Non si sbagliavano. La frase era davvero Rega Flexis Mur, ovvero, la condanna delle condanne. 

Il maleficio si compì istantaneo. Un lampo di fuoco bianco avvolse streghe e albero. Le loro palpebre si incollarono, un buio gommoso inghiottì ogni cosa. 

Il mondo sparì come una pozzanghera evaporata.

Quando le donne si risvegliarono, la tempesta era lontana. Il sole splendeva allegramente e del Signore Infernale non c’era traccia.

Qualcosa però non era più come prima. 

Se ne accorse subito la Giovane, spaventatissima. Rivolgendosi a Bacucca, bisbigliò:

– Sacripante! Ma tu sei… sei diventata… bella! 

La strega si portò con orrore le mani al viso, guardò  l’Appuntita e gridò: – Non è vero! E’ lei che è splendida! 

– Ma guardatevi! – Fece quest’ultima. – Siete tutte e due dannatamente stupende! 

Il Maligno per punirle della loro pigrizia, le aveva mutate infatti in ragazze–copertina. 

Un’idea terribile attraversò la mente delle tre donne. Corsero a cercare le loro scope volanti e scoprirono che si erano trasformate in automobili di lusso, ma senza benzina e per giunta con l’assicurazione scaduta.

Le orecchie fischiavano dallo stordimento.

– Che cosa facciamo?!! 

– Così ridotte non potremo più essere streghe, piuttosto sembriamo delle… delle… fate! 

– Ora che non possiamo più far paura a nessuno… senza scopa, senza poteri… che fine faremo? 

Ci fu un silenzio carico di preoccupazione.

– Potremmo diventare fotomodelle… oppure, al limite, delle veline… – suggerì la più giovane, che da carina adesso era veramente bellissima. 

Le altre due, sconvolte, la guardarono, poi si osservarono meglio. 

Effettivamente, apparivano tutte snelle e levigate, con un fisico incantevole e visi perfetti dalle espressioni angeliche. Una vera catastrofe.

Tentarono di sistemare alla peggio gli abiti che fasciavano i loro corpi statuari. Capigliature lunghe e voluminose avevano sostituito i cappelli a cono e ondeggiavano eleganti ai capricci del vento di maggio. 

Per quanto tentassero di camuffarsi, restavano sempre uno schianto.

– Beh, se doveva andare così… 

– In mancanza di meglio… 

– Se bisogna proprio accontentarsi… 

Alzarono le spalle.

– A questo punto direi di incamminarci per tornare in città… forse qualcuno si fermerà a darci un passaggio, che ne dite? 

Così si avviarono meste sul viottolo di campagna. Il crepuscolo in arrivo le vide allontanarsi piano piano, una con le mani in tasca, una calciando un ciottolo, tutte con un broncio indelebile sul volto che le accompagnava come un famiglio.