Libro Primo

Capitolo 1 - Il decimo cavallo

LA REGINA GLYNN – Kelsea Raleigh Glynn, settima regina dei Tearling. Nota anche come La Regina Segnata. Cresciuta presso Carlin e Bartholemew (Barty il Buono) Glynn. Madre: Regina Elyssa Raleigh. Padre: ignoto. Si veda l’appendice XI per teorie al riguardo.

- Storia antica dei Tearling, nella versione di Merwinian

Kelsea Glynn sedeva immobile, guardando i soldati che si avvicinavano alla fattoria. Avanzavano in formazione militare con gli accompagnatori ai lati. Indossavano le uniformi grigie della guardia reale dei Tearling. I mantelli ondeggiavano, rivelando armi di pregevole fattura: spade e pugnali corti, tutti in acciaio di Mortmesne. Uno di loro portava addirittura una mazza: Kelsea ne vedeva la testa chiodata spuntare dalla sella. Quel cupo incedere verso la casa rendeva chiaro un fatto: non avrebbero voluto essere là.

Con il cappuccio tirato sugli occhi, Kelsea  sedeva  sopra  i rami di un albero a una trentina di passi dalla porta. Era vestita completamente di verde scuro: dalla testa alle punte degli stivali era del colore degli aghi di pino. Al collo le scintillava uno zaffiro che pendeva da una catena d’argento   purissimo. Il gioiello tendeva a uscirle fastidiosamente dalla camicetta ogni volta che lo sistemava, sembrava farlo apposta quasi sapesse che quel giorno sarebbe stato la causa di tutti i suoi problemi.

Nove uomini, dieci cavalli.

I soldati raggiunsero il piccolo appezzamento di terra di fronte al cottage e smontarono d’arcione. Quando tolsero i cappucci, Kelsea notò che non avevano affatto la sua età: erano sui trenta, quarant’anni e avevano un’aria dura e forgiata dalle battaglie. Il soldato con la mazza borbottò qualcosa e tutti portarono automaticamente mano alle spade.

“È meglio  fare  in  fretta”.  Quello  che  aveva  parlato, un uomo alto e magro, il cui tono autoritario suggeriva  fosse  a capo del gruppo, avanzò. Bussò tre volte alla porta che si aprì immediatamente, quasi Barty  fosse  in  attesa.  Anche  da dove si trovava, Kelsea scorgeva il suo viso rubicondo ma segnato dalla tensione. Aveva gli occhi rossi, gonfi. Quel mattino l’aveva mandata nel bosco per risparmiarle di assistere al suo dolore. Kelsea aveva protestato ma Barty non aveva accettato il suo rifiuto, finendo per spingerla fuori dalla porta, dicendo: “Vai a dire addio al bosco, ragazza mia. Non ti permetteranno tanto presto di passeggiare dove vorrai”.

Allora Kelsea aveva passato la mattinata vagando nella foresta, arrampicandosi sugli alberi caduti e fermandosi ogni tanto per ascoltare il silenzio del bosco, quella quiete perfetta che contrastava così tanto con la vita che vi si celava. Giusto per fare qualcosa, aveva anche catturato un coniglio, ma poi l’aveva lasciato andare: a Barty e a Carlin non serviva la carne, e uccidere non la divertiva di certo. Mentre guardava il coniglio saltellare via, scomparendo nel profondo del bosco, dove aveva trascorso gran parte della sua infanzia, Kelsea provò a pronunciare di nuovo quella parola, anche se solo a dirla le pareva di avere polvere in bocca: Regina. Un termine minaccioso che prevedeva un tetro futuro.

“Barty”. Il comandante dei soldati lo salutò. “Quanto tempo”. Barty mormorò qualcosa d’incomprensibile.

“Siamo venuti a prendere la  ragazza”.

Barty annuì, s’infilò due dita in bocca e fischiò. Era un suono acuto, penetrante. Kelsea saltò giù dall’albero senza far  rumore e uscì dal bosco, con il cuore che le batteva forte. Sapeva come difendersi con il coltello da un aggressore, Barty gliel’aveva insegnato. Ma i soldati armati di tutto punto la intimidivano. Sentì i loro occhi su di lei. La stavano studiando. Non aveva l’aspetto di una regina, e lo sapeva bene.

Il comandante, un uomo dai lineamenti duri e con una cicatrice sul mento, s’inchinò profondamente di fronte a lei. “Sua maestà. Sono Carroll, il capitano delle guardie della defunta regina”.

Copyright © 2015 by Erika Johansen