Yayoi Kusama (Matsumoto, 1929), oggi acclamata in tutto il mondo, è una delle artisti viventi più celebri e quotate dell’intero mercato dell’arte. Con Kusama – Infinity la documentarista Heather Lenz mira a delineare il suo operato decennale e a ripercorrere la complicatissima vita privata che l’ha contraddistinta, manifestando senza indugio le proprie simpatie. 

Rangaku – Contenuti

Nata in un contesto patriarcale e maschilista, Yayoi Kusama ha visto la propria vena creativa essendo vittima dell’ostracismo di una madre severa e tradizionalista. La donna non solo voleva imporle un futuro da casalinga, ma la sfruttava attivamente per spiare il marito fedifrago. Per questo e altri motivi, Kusama ha accumulato durante l’infanzia una serie di traumi psicologici che l’hanno condotta al sentirsi soverchiata dalla natura della società che la circondava. Nella pratica artistica ha trovato rifugio da un mondo infinitamente opprimente, il suo scopo era l’atto creativo, la sua ispiratrice l’artista statunitense Georgia O’Keeffe.

Forte della sua ambizione, Kusama si è trasferita negli States per fondersi nel vibrante crogiolo degli anni Sessanta. Ha conosciuto e frequentato gli artisti più celebri del momento, ma si è sempre sentita marginalizzata e, occasionalmente, sfruttata. Paranoia e senso di solitudine hanno preso a intessersi col suo fare artistico: il suo desiderio di apparire, di essere riconosciuta pubblicamente, l’ha condotta a interventi crescentemente invasivi e scenografici, critici e collezionisti hanno smesso di prenderla sul serio e lei è rimasta sola.

Isolata e isolatasi, l’artista giapponese ha preferito tornare in patria, ove è stata accolta con freddezza e disdegno. Ormai di mezza età, non maritata, generatrice di scandali, ha dovuto ricominciare dal nulla, faticando per ottenere la visibilità che oggi le è finalmente riconosciuta.

Kintsugi – Tecnica

Kusama – Infinity è lungi dall’essere un prodotto tecnicamente interessante. Heather Lenz – che ha una carriera contenuta e poco interessante alle spalle – ha optato per una struttura facile e innocua, didascalica e superficiale. Divulgativa, se vogliamo usare un termine meno provocatorio. Lenz non è in grado di esplorare in maniera profonda il prezioso materiale che ha in mano, non pone quesiti complessi né cerca di offrire letture alternative agli eventi narrati. Lei si limita ad ascoltare passivamente, a raccogliere dati di archivio, a proporre una retrospettiva introduttiva fatta furbescamente uscire in concomitanza alla grandiosa mostra Yayoi Kusama: Infinity Mirrors ad Atlanta.

Kusama – La protagonista

A sostenere il documentario è però Kusama stessa. La sua presenza su schermo è mesmerizzante, riflesso speculare delle sue opere: il suo sguardo fisso e allucinato deforma le sue iridi nei cerchi perfetti che ritrae ossessivamente, la sua mimica corporea si rivela esclusivamente nel mentre dell’atto creativo, il suo incedere manifesta una fragilità che si muove con la potenza di una marcia militare.

Yayoi Kusama è anziana, ma ancora lucida e tremendamente attiva nonostante sia confinata tra le mura di un centro psichiatrico. L’artista ha partecipato direttamente al documentario, raccontando aneddoti ed esplicitando punti di vista molto compromettenti (dichiarando che tanto Claes Oldenburg quanto Andy Warhol l’abbiano spudoratamente copiata, per esempio). Kusama – Infinity non è quindi da considerarsi un insipido documentario, bensì un vero e proprio documento storico, una testimonianza diretta e indiretta di uno dei periodi più dinamici dell’arte contemporanea. 

Ketsuron – Conclusioni

Kusama – Infinity non è in grado di rappresentare il titolare infinito. Heather Lenz non ha l’esperienza necessaria per rendere giustizia a un mostro sacro quale è Yayoi Kusama, non è al suo livello e non può interfacciarsici come sua pari. Il senso di immersivo smarrimento offerto dalle perturbanti opere dell’artista viene occasionalmente mimato nell’estetica, ma tali brevi interventi sono appesantiti da un approccio goffo e manierista, incapace di tradurre l’emotività dell’esperienza diretta.

È d’altronde vero che il documentario si carica di valore aggiunto, raccoglie materiale d’archivio che sarà indubbiamente utile a tutti coloro che vorranno conoscere la Kusama ottantanovenne. Saranno queste interviste, non il documentario, a caricarsi di inestimabile valore, ad aiutare a mettere a fuoco l’immagine di una delle artiste più intricate e influenti degli ultimi sessant’anni. Ignorate le letture banali e inconsistenti che vengono suggerite dalla regista, il documentario viene dunque parzialmente salvato dai piccoli attimi di valore che filtrano da sottili crepe. Sconsigliato a chi non è già interessato al bizzarro personaggio.