27 Febbraio

Kateleen si svegliò di soprassalto. La carrozza su cui viaggiava aveva preso l’ennesima buca ed era sobbalzata, dondolando e agitandosi come una barca colta da tempesta.

Per un attimo la giovane trattenne il fiato. Cercò un appiglio che le impedisse di essere sballottata dal suo posto e, nonostante i battiti accelerati del cuore, si impose di mantenere un atteggiamento calmo e composto, mentre occhi e mente, ancora intorpiditi dal sonno, si abituavano all’oscurità della vettura.

Era rimasta ormai l’unica occupante della carrozza e la cosa le procurò un certo sollievo.

Doveva essersi addormentata dopo che avevano lasciato l’ultimo villaggio. “Quello in cui è sceso il giovane notaio”. Ricordò l’uomo che aveva passato l’intera tratta intento a sfogliare alcune carte, riponendole poi in eleganti cartelline di cuoio.

Si appoggiò allo schienale del divanetto di velluto rosso.

Il giovane si era limitato a un cenno di saluto quando era montato in carrozza e non aveva scambiato con gli altri viaggiatori nemmeno una parola, concentrato com’era sulle sue carte. La signora che gli stava di fronte, una donna grassa e tozza che aveva tenuto calcato sul capo un cappellino di paglia decorato con fiori di stoffa, non aveva invece taciuto un solo istante da che era stata caricata al primo villaggio nel quale la carrozza aveva fatto tappa.

Non l’aveva osservata molto, nella speranza che sfuggire il suo sguardo le facesse capire quanto poco era interessata alle disavventure delle sue figliole o alla magnificenza dei suoi piccoli, adorabili, nipoti.

La sua attenzione era invece stata attirata dall’uomo, alto e massiccio, con una folta barba corta e abiti più adatti a una battuta di caccia che a un viaggio in carrozza, che le si era seduto di fronte, salendo alla seconda stazione. Anch’egli piuttosto taciturno e altrettanto poco interessato alla saga familiare della signora grassa. Il suo interesse, infatti, si era rivolto per tutta la tratta più che altro al paesaggio che scorreva fuori del finestrino, dato che non aveva degnato i diversi viaggiatori che si erano susseguiti durante il viaggio, salendo e scendendo nelle stazioni intermedie, neppure di un rapido sguardo di circostanza.

Kateleen aggrottò la fronte. Era più che sicura che non fossero previste altre fermate dopo il villaggio nel quale avevano salutato il giovane notaio. La carrozza avrebbe dovuto procedere verso Woodston e la mattina seguente da lì ripartire per affrontare il percorso inverso. L’uomo che era seduto di fronte, quindi, avrebbe dovuto trovarsi ancora in vettura con lei. Invece era sola.

Giunse le mani, si tormentò le dita in modo nervoso e deglutì a vuoto. Quell’individuo le aveva lasciato un’impressione sgradevole. Lo aveva ribattezzato “il cacciatore”, per via del suo abbigliamento, ma anche a causa dello sguardo da predatore con cui aveva fissato per tutto il tempo la brughiera. Uno sguardo torvo, reso ancora più minaccioso dalle sopracciglia nere e folte.

Aveva avuto l’impressione che stesse cercando qualcosa tra i campi e i boschi che avevano attraversato e che, man mano che procedevano nel viaggio, una smorfia, un leggero ghigno di soddisfazione, comparisse sulle sue labbra serrate. E, dato che era certa che non fosse sceso alla stazione precedente, il fatto che fosse sparito all’improvviso dalla carrozza non faceva che acuire il turbamento che aveva suscitato in lei.

Un uomo pericoloso” si disse, poi si spostò sul bordo del sedile e allungò una mano guantata per scostare la tendina che chiudeva il finestrino.

Fuori si estendevano i campi e la brughiera, ma c’erano case sparse lungo la strada che si potevano distinguere per via delle luci accese al loro interno. La sera infatti era già scesa, benché non potesse essere poi molto tardi.

Kateleen ricordò di aver lasciato l’ultimo villaggio quando la campana della chiesa locale batteva le due e il cocchiere aveva assicurato che per coprire la decina di chilometri che li separavano da Woodston non avrebbero impiegato più di due ore. Batté quindi con le nocche contro la parete alle sue spalle per attirare l’attenzione del conducente. Quando l’uomo fece scorrere lo sportellino che lo metteva in comunicazione con l’interno della vettura, Kateleen si voltò e si avvicinò a esso. – Siamo ancora lontani da Woodston? –  domandò a voce alta, in modo che potesse essere udita anche sopra il frastuono delle ruote che correvano sulla strada fangosa.

– Non manca molto ormai, signorina. –  rispose il cocchiere – Ma, se il vostro viaggio deve proseguire da Woodston, credo che sarete costretta a prendere una stanza e a fermarvi fino a domattina. Non troverete nessuno a Woodston disposto a mettersi in viaggio senza la luce del sole come protezione – .

La giovane si accigliò, – Di cosa parlate?

Il conducente si voltò per guardarla, – I boschi attorno a Woodston sono infestati dai lupi, signorina. Ma non sono solo quelle belve a rendere timorosi gli abitanti: la tenuta dei Werewolf è maledetta e non è saggio aggirarsi per quelle strade dopo che il sole è calato. Potreste essere assalita da qualcosa di ben più pericoloso di un semplice lupo – . L’uomo tornò a guardare la strada. – Presto saremo a Woodston. Ho avvistato le luci. Ma, dovunque dobbiate recarvi, sarebbe saggio che evitaste di passare nei pressi di Wildfell Hall – . Chiuse lo sportellino e Kateleen si afflosciò sul sedile con un sospiro.

Sciocchezze” pensò. Ogni luogo aveva le sue superstizioni e le sue leggende. Nell’orfanotrofio in cui aveva trascorso i primi anni della sua vita, ad esempio, circolava la storia di una direttrice crudele che aveva punito così in modo tanto duro una bambina da ucciderla e, a seguito di quella morte violenta, lo spirito della piccola era divenuto un fantasma che infestava il quarto piano dell’edificio. Se la storia fosse o meno frutto solo della fantasia oppure se si basasse su fatti reali non lo aveva mai scoperto, anche perché troppo piccola allora per distinguere l’una dagli altri, ma non si era mai fatta suggestionare troppo da racconti del genere. Per cui immaginò che quella maledizione che pendeva su Wildfell Hall fosse più che altro una vecchia storia per spaventare i bambini e impedire loro di avventurarsi nei boschi. “Il soprannaturale spaventa sempre più di ciò che è tangibile e noto” si disse.

Come aveva assicurato il cocchiere, raggiunsero Woodston in breve tempo.

Kateleen attese che l’uomo le aprisse lo sportello e sistemasse la scaletta per aiutarla a scendere. Lo ringraziò con un cenno del capo e si fermò a pochi passi dalla carrozza, mentre il conducente scaricava il piccolo baule che costituiva il suo unico bagaglio. Si guardò attorno. Woodston non era un borgo molto grande e nella sua piazza, uno slargo in terra battuta all’incrocio di quelle che dovevano essere le vie principali, si affacciavano tutti gli edifici importanti: la bottega del fabbro, la locanda e la chiesa; le uniche costruzioni ad avere anche delle luci esterne. Nonostante quello fosse il cuore della vita cittadina, le strade erano quasi deserte. Solo un paio di garzoni attraversarono a passi rapidi la piazza, lanciandole occhiate indagatrici, per poi salutare con un cenno del capo il cocchiere. Le luci all’interno delle case erano accese, così come pure quelle della locanda, ma da essa non proveniva il classico allegro ciarlare dei locali di quel genere.

La giovane respirò a pieni polmoni e osservò il proprio fiato condensarsi nell’aria fredda. Si strinse nel soprabito a causa di un colpo di vento più intenso ed ebbe un brivido. Chinò il capo, in una posa raccolta, ma la campana della chiesa suonò un quarto dopo le quattro e alzò lo sguardo verso il campanile.

– Ecco signorina, il vostro bagaglio. Volete che lo porti dentro? –  domandò l’uomo, mentre indicava con un cenno del capo la locanda davanti alla quale aveva fermato la vettura.

Kateleen si voltò verso di lui e lo fissò per un attimo indecisa sul da farsi. Non era poi così tardi e se avesse trovato qualcuno disposto ad accompagnarla avrebbe potuto raggiungere la sua destinazione. In tal modo avrebbe risparmiato il denaro per la stanza e la cena e avrebbe forse potuto avviare gli affari che l’avevano condotta in viaggio già da quella sera stessa.

Strinse le labbra, osservò ancora una volta le finestre illuminate della locanda e serrò le dita sul bavero del soprabito. Il calore della luce la attirava, così come il vago profumo di cibo che aleggiava tutto attorno all’edificio. Era affamata, infreddolita e stanca. Doveva esserlo ben più di quanto avesse creduto se si era addormentata in carrozza, senza accorgersi di essere rimasta sola in vettura.

– Sì. Sì, va bene. Portatelo pure dentro, grazie –  rispose, infine.

Era evidente che nessuno era stato mandato ad attenderla, benché avesse annunciato del suo arrivo con una lettera, inviata più di una settimana prima. Non che si fosse aspettata qualcosa di diverso, ma forse una piccola parte di sé aveva sperato che il suo ospite sarebbe stato così cortese da farle trovare una vettura a Woodston. “Non ha importanza” si disse, mentre seguiva il cocchiere all’interno della locanda.

Subito il calore del locale la avvolse come un abbraccio. Sciolse la stretta della mano dal bavero e sentì le proprie spalle rilassarsi. Il locale era abbastanza ampio e un grande camino in pietra illuminava e riscaldava l’ambiente. Alcuni avventori, tutti abitanti del luogo a giudicare dall’abbigliamento semplice, erano seduti ai tavoli, chi a consumare la propria cena fumante, chi invece a rilassarsi dalle fatiche della giornata davanti a un boccale di birra chiara.

Kateleen si sfilò i guanti e aprì un paio di bottoni del soprabito per poter raggiungere la borsa nella quale aveva riposto qualche moneta per le esigenze del viaggio. Pagò il cocchiere e lo salutò con un sorriso. Restò a osservarlo mentre sollevava il cappello in risposta al suo commiato, poi avanzò di qualche passo raggiungendo il bancone dietro il quale un uomo corpulento e una donna stavano pulendo alcune stoviglie e preparavano un paio di vassoi.

La donna alzò il viso paonazzo dal bicchiere che stava fregando con il massimo impegno. – Desiderate una stanza, signora?

– Per il momento vorrei solo un tavolo accanto al camino per potermi scaldare e magari qualcosa da bere – , deglutì. – E da mangiare

La donna annuì, girò attorno al bancone e le fece cenno col braccio di seguirla in un angolo della sala. Pulì con uno strofinaccio logoro un massiccio tavolo di legno, incastrato in una nicchia vicino al camino e dal quale si poteva osservare la porta d’ingresso, e le sorrise. – Aspettate che vi vengano a prendere?

Kateleen sentì che la sua espressione si faceva sconsolata e si risentì con se stessa. – Purtroppo temo che non verrà nessuno. Ma prima di decidere se fermarmi per la notte vorrei attendere ancora un poco. Nel frattempo, potreste dirmi se c’è qualche vetturino tra gli uomini seduti in sala? Se fosse possibile vorrei terminare il mio viaggio questa sera

La donna si sistemò il canovaccio su una spalla e scosse il capo, – Signora, temo di dovervi deludere. Qui nessuno si metterà in viaggio fino a domani. Se avessero mandato qualcuno, magari da fuori, sarebbe stato un altro discorso. Anche se mettersi in viaggio con il buio, in queste terre, è sempre sconsigliabile. Ma, si sa, gli stranieri ci credono tutti matti. Pensano che le storie su Wildfell Hall e i boschi dei Werewolf siano tutte fandonie. Ma, se dite che non verrà nessuno, allora vi consiglio di prendere una stanza e riposare. Domani una vettura la troverete di sicuro e vi porterà ovunque desideriate per il giusto prezzo

Lo sospettava, la conversazione con il cocchiere della carrozza di posta l’aveva preparata, ma un velo di delusione dovette comparire comunque sul suo viso. La donna, infatti, la fissava con un’aria protettiva e materna, adombrata da una certa rassegnazione. Forse si sentiva perfino dispiaciuta nel vedere una ragazza che viaggiava da sola attraverso quel territorio ostile.

Kateleen decise di non insistere oltre. Qualsiasi suo tentativo sarebbe stato inutile. – Capisco –  si limitò a rispondere. Si sedette, quindi, e prese a osservare le stampe raffiguranti scene di caccia, mentre la donna si allontanava e ordinava, a quello che doveva essere il marito, di preparare qualcosa di caldo per la “signorina”, mentre lei si occupava della stanza.

Sentì che il freddo e l’umidità delle molte ore strascorse in viaggio la abbandonavano del tutto. Il suo corpo rispondeva agli inviti di quell’ambiente accogliente e anche la sua mente stava ormai per rassegnarsi all’idea di trascorrere la notte in quella locanda, quando un uomo le si avvicinò. Stringeva tra le mani il proprio berretto, portava i pantaloni infilati negli stivali sporchi di fango e un consumato cappotto grigio.

– Signorina, scusate, ho sentito poco fa che cercate un vetturino –  esordì lo sconosciuto.

– È così –  si limitò a rispondere la giovane. L’uomo, con un cenno del capo, le chiese se poteva accomodarsi e lei annuì.

– Il mio nome è Tom, signorina. Se volete posso condurvi dove desiderate domani mattina, all’ora che preferite –  spiegò.

Kateleen lo guardò dritto negli occhi. Una donna che viaggiava sola in una regione sconosciuta doveva stare più che attenta, anche se di prezioso con sé non aveva altro che il proprio onore. Per cui valutò a lungo e in silenzio l’aspetto innocuo del vetturino. Aveva il volto velato dalla barba, ma la sua espressione le appariva sincera.

Valutò che poteva fidarsi e cercare di arrivare quella sera stessa a destinazione. Quindi si sporse in avanti. – Perché non adesso? Non è poi così tardi, dopotutto. Anche se oggi la sera è scesa molto presto

L’uomo sorrise, – Perché non è saggio viaggiare di notte nei pressi di Wildfell Hall. La signora ve lo ha detto

– Ebbene Tom, per me non fa alcuna differenza perché è molto probabile che più della metà dei vetturini di Woodston, da quel che sento, non mi porterebbe a destinazione nemmeno in pieno giorno, nemmeno se si fosse a Santa Lucia che, come è noto, è la giornata più luminosa dell’anno –  rispose la giovane.

Tom si accigliò, – Per il giusto prezzo un buon vetturino porta il suo ospite dovunque, altrimenti è meglio che cambi mestiere

Kateleen sollevò un sopracciglio, – Dovunque? Anche a Wildfell Hall? –  domandò sottovoce, così che nessuno tranne il suo interlocutore potesse udirla.

L’uomo sgranò gli occhi, – Wildfell Hall? –  domandò, a sua volta in un sussurro. Non diede tempo a Kateleen di rispondere, appoggiò entrambi i gomiti al tavolo e si sporse più che poté verso di lei. – Signorina, cosa andate a fare in quella casa maledetta? Lasciate perdere. Tornate indietro – . Come se all’improvviso si sentisse osservato da forze invisibili, Tom si guardò attorno con circospezione. – Non è un luogo per voi. Buon Dio, non è luogo per nessuno. Nessun essere umano vi andrebbe se non corrotto da qualche spirito o demone. Signorina…

– Cunningan – , si presentò lei.

– Signorina Cunningan, nessuno vi porterà a Wildfell Hall. Soprattutto non di notte e non questa notte in particolare –  concluse l’uomo, annuendo con decisione.

– Perché? – , lo incalzò Kateleen, – Cos’ha questa notte di particolare?

Tom di nuovo si guardò alle spalle e sembrò studiare tutti gli avventori presenti nella locanda, – Guardate laggiù – . Con un rapido movimento del capo indicò una delle stampe.

Kateleen seguì lo sguardo di Tom e osservò il quadro con maggiore attenzione rispetto a quella che aveva riservato agli altri appesi nella sala. Aggrottò la fronte. Era diverso dagli altri disegni: benché il soggetto fosse sempre una caccia, nell’illustrazione i ruoli parevano ribaltati. Il cacciatore si stava ritraendo, aveva le braccia alzate e piegate, quasi a proteggersi il viso, come se non volesse vedere, il fucile gli era sfuggito di mano o forse lo aveva lanciato perché non lo intralciasse nella fuga. Qualsiasi cosa il cacciatore della stampa avesse in mente, era evidente che fosse spaventato. E, spostando la sua attenzione a quella che avrebbe dovuto essere la preda, Kateleen ne comprese il motivo. Nessun cervo ferito, nessuna volpe inseguita da una folta muta di cani, nessuna lepre in agonia. Di fronte al cacciatore terrorizzato non c’era un animale catturato, ma una belva dalle fauci spalancate in un ringhio che il pittore aveva saputo rendere famelico. Il rosso degli occhi dell’animale brillava più di tutti gli altri colori, assai più tenui, che erano stati usati e contrastava con il nero cupo del mantello. Ma la cosa che colpì Kateleen furono le dimensioni del lupo rappresentato nella stampa. L’artista, infatti, non si era limitato a dipingere una fiera dalla straordinaria ferocia, pronta ad aggredire un essere umano, ma aveva rappresentato un vero e proprio mostro che, immobilizzato nell’atto di balzare addosso al cacciatore, sembrava quasi sollevarsi sulle zampe posteriori per assumere una posizione poco meno che umana.

– Mi è stato detto che i boschi attorno a Wildfell Hall sono infestati dai lupi –  si limitò a commentare la giovane e cercò di controllare il tono della propria voce così che Tom non si accorgesse di quanto in realtà la straordinaria violenza del quadro l’avesse colpita.

– Non è dei lupi che mi preoccuperei stanotte se fossi diretto a Wildfell Hall. –  commentò l’uomo – Bensì della bestia che vi dimora

Stizzita per le criptiche frasi del vetturino, Kateleen strinse i denti e, ritraendosi, intrecciò le braccia sul petto, volgendo lo sguardo verso la porta. – Insomma, se volete portarmi dove sono diretta… bene. Ma se non è così, smettetela di importunarmi. Non capisco a cosa vogliate alludere col vostro discorso, ma io non cambierò idea: raggiungerò quella casa anche a piedi se non troverò nessuno disposto a portami fin là

Tom scosse il capo e diede un’occhiata fuori della finestra. – Signorina Cunningan, siete davvero decisa?

Voltandosi di nuovo verso l’uomo, Kateleen annuì, – Non ho altra scelta

Per un attimo lui tacque e storse le labbra in un’espressione preoccupata. – D’accordo. Se dovete a tutti i costi raggiungere quella casa allora è meglio che vi porti qualcuno che, all’occorrenza, sia anche in grado di proteggervi

– Voi? –  domandò la giovane.

Tom annuì. – Prendete le vostre cose. Al bagaglio penso io. Dobbiamo sbrigarci se vogliamo riuscire ad arrivare prima che sorga la luna

Kateleen si alzò e allacciò i bottoni del soprabito che non aveva neppure fatto in tempo a sfilarsi. – La luna?

– Sì, signorina. Questa è notte di luna piena e non appena sorgerà, la bestia uscirà a caccia. –  rispose Tom, mentre afferrava il piccolo baule per i manici, – Quando accadrà dovrete essere al sicuro in una stanza con finestre e porte sprangate, dovesse essere pure una stanza di Wildfell Hall.

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