Sembra breve, il saggio di Giuliana Misserville sul rapporto tra donne e fantastico: un centinaio di pagine o poco più. Quello che il mero dato numerico non rende, tuttavia, è la densità di quelle pagine e la quantità di argomenti che l’autrice, come abile giocoliere, riesce a intrecciare nell’alternarsi dei capitoli.

Il fantastico: un genere da rivalutare

Il saggio inizia con una prefazione di Loredana Lipperini, che fin dalle prime battute mette in campo uno dei più annosi problemi della critica letteraria sul genere fantastico in Italia, e cioè la scarsa considerazione di cui soffre.

Il tema, come è facile prevedere, ritorna più volte nello snodarsi dei capitoli, fin dall’introduzione di Misserville: rinunciando fin da subito alla prospettiva del fantastico come una forma di escapismo (facendo riferimento, come ricorda anche Lipperini, al paragone proposto dallo stesso J.R.R. Tolkien, secondo cui l’evasione del prigioniero non è paragonabile alla fuga del disertore), Misserville apre uno dei più ampi temi trasversali a tutti i sette capitoli del saggio (cui si uniscono l’introduzione e la conclusione).

Il fantastico (in un’accezione più ampia rispetto al termine fantasy, che solo raramente entra nella discussione) viene infatti fin da subito presentato come uno strumento di indagine, come d’altra parte osservato da Margaret Atwood, autrice del Racconto dell’Ancella, contraria all’incasellamento delle sue opere nel genere della fantascienza, in quanto più attratta dall’etichetta di speculative fiction, che riporta l’attenzione sul fantastico come genere epistemologico.

 

Le potenzialità del fantastico

Nei vari capitoli Misserville indaga, attraverso l’analisi di alcune opere italiane e straniere, le potenzialità del fantastico, anche come rielaborazione del mito, per riflettere e parlare di alcuni temi fondamentali. Il fantastico è fin da subito presentato come un modo di rappresentare in modo adeguato il mondo attuale, in un dibattito interno che rimane un filo conduttore del saggio fino alla conclusione: l’atto del narrare viene presentato come un elemento fondante per la costruzione della società, come un modo di osservare una nuova realtà sotto un punto di vista che ci permette di vedere i fenomeni del mondo in modo più nitido.

È quindi oltre i confini del realismo che la storia del Novecento può essere metabolizzata ed è proprio nella letteratura femminile che Misserville vede una linfa sufficientemente potente e desiderosa di riscatto per portare a compimento il compito difficile e spinoso che è interpretare la nostra nuova realtà.

Le donne e il fantastico

Il primo capitolo indaga il ruolo della donna nell’immaginario fantastico, per proseguire con il cambiamento del rapporto tra uomo e donna, soprattutto a partire dagli anni ’70. Le autrici straniere considerate in questo ambito sono Ursula K. Le Guin, cui Misserville attinge, giustamente, a piene mani, e Angela Carter. Ma è a partire dal secondo capitolo che emergono in maniera più evidente le voci della letteratura fantastica italiana, con Chiara Palazzolo: l’indagine sulla gestione del potere nei gruppi femminili porta in realtà a spaziare da Anne Rice a Octavia Butler, fino ai vampiri di Twilight (e la figura del vampiro torna prepotentemente nel discorso di Misserville, fino alla conclusione del testo). Non è solo un gioco teorico, quello a cui l’autrice si concede, ma una riflessione sulla storia più recente e sui cambiamenti che ha apportato alla nostra società (l’attentato alle Torri Gemelle, nel caso specifico di questo capitolo).

Il capitolo terzo, legato principalmente all’opera di Nicoletta Vallorani, vincitrice del Premio Urania 1992, è dedicato alle speculazioni letterarie sul senso dell’umano nel mondo contemporaneo, attraverso una riflessione sul tema della memoria come strumento per obbligare la mente a provare sentimenti.

La riflessione sulla memoria e sull’altro da sé è argomento anche del capitolo quarto, a partire dai romanzi di Nadia Tarantini, per spingersi, però, fino al ruolo dei personaggi femminili ne Le Nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley, in cui la funzione delle sacerdotesse, Viviana, Morgana e Morgause, diventa una difesa della religione e dell’indipendenza politica di Avalon, ma anche del ruolo della donna nella nuova Inghilterra arturiana, a cavallo della cristianizzazione dell’isola. Anche il ruolo dei personaggi femminili ne Il Signore degli Anelli è chiamato in causa, ancillare, da un lato, ma anche spirituale, di guida e di consiglio, dall’altro. In Game of Thrones (parliamo della serie tv, aspettando la conclusione della saga di George R.R. Martin) le donne arrivano al potere ma solo perché, con argomento ben poco femminista, molti tra i leader maschi sono morti. I riferimenti ad altre saghe non mancano, (dalla Suzanne Collins di Hunger Games alla nostra Licia Troisi, senza dimenticare J.K. Rowling) in questo denso capitolo dedicato alle dinamiche del potere che coinvolgono le donne.

La riflessione sul femminile, anche nel fantastico, non può prescindere dal rapporto con il materno, e a questo tema è dedicato il capitolo quinto, in cui l’autrice italiana di riferimento è Viola di Grado: se la riproduzione biologica è considerata come una delle fonti di oppressione delle donne (il riferimento di Misserville è al testo di Shulamit Firestone, Dialettica del sesso: la rivoluzione femminista, del 1970), la tecnologia, in fantascienza, può essere intesa come via per sganciarsi da questo ruolo. Ma proprio le opere di Viola di Grado mostrano come la questione sia in realtà molto più complessa di quanto potrebbe apparire.

Dalla nascita alla morte, il capitolo sesto, dedicato a Laura Pugno, affronta il tema della perdita, in particolare del distacco dell’uomo dalla natura, primordiale e selvatica, da cui l’uomo si è allontanato perdendo il senso del sacro. Il mito, che aveva anche la funzione di insegnarci cosa è l’uomo e qual è il senso della morte, ci aiutava ad accettare la morte come parte della vita. Ora, questo ruolo, secondo Misserville, è stato ereditato dal fantastico: se i miti laicizzati sopravvivono solo nelle aree oscure della nostra psiche, come osservava Mircea Eliade, opportunamente citato dall’autrice, non sembra casuale che proprio il denigrato fantastico (e le poco considerate scrittrici che se ne occupano) siano chiamate a metabolizzare la rimanenza dei vecchi miti in questo mondo così cambiato.

È ancora alle storie che addomesticano la morte che viene dedicato il capitolo settimo, incentrato su Loredana Lipperini: proprio in questo capitolo si tirano le somme sul ruolo del fantastico nel nostro mondo, un fantastico inteso come controlettura del reale, come strumento per illuminare la storia e trarne significati nuovi e nascosti. Raccontare vuol dire negoziare con la morte, proseguire la vita di chi abbiamo amato: in questo senso, è la storia che ci permette di oltrepassare il nostro tempo e, di conseguenza, il senso di finitudine che ci distingue. Ma è il fantastico che permette di compiere questa riflessione, attraverso la consapevolezza che il vero è più complicato del reale. Ecco dunque perché alle donne che hanno attraversato questo saggio il realismo sta stretto. E solo dalle donne può giungere questa riflessione, per il prepotente desiderio delle donne di prendere una posizione sulla nostra realtà e di creare dei nuovi miti, o di riflettere su quelli vecchi.

Conclusione

Il saggio di Misserville è densissimo di spunti sul fantastico, sul ruolo delle donne e sull’uso dei miti nella nostra società. Come anticipato nell’introduzione, l’autrice è consapevole di non potersi esprimere con completezza su un argomento tanto vasto.

Accanto alle autrici italiane oggetto prevalente di analisi, sono presenti alcuni riferimenti ad autori stranieri, maschili e femminili. Se si può fare un’osservazione sull’impostazione di Donne e fantastico, la scelta degli autori presi a modello (non tra le autrici italiane, ma piuttosto sugli stranieri) risulta a volte un po’ difficile da capire, come anche accade per le esclusioni.

È molto chiara la tesi dell’importanza del ruolo delle donne in Italia per portare il fantastico oltre i confini della narrativa di genere, come proposto dalla stessa autrice in apertura al volume, ed è altrettanto chiaro che il fantastico viene qui inteso in senso lato, come indagine sull’uomo e sulla nostra possibilità di conoscere il mondo.

La sensazione finale è quella di volerne sapere di più: il saggio è breve e molto denso e, forse, in alcuni passaggi, sarebbe stato interessante ampliare le argomentazioni. Gli esempi scelti sono tutti molto calibrati e aiutano anche il lettore che non conosce le singole opere a comprendere il quadro complessivo dei romanzi presi in esame.

Nel complesso, quindi, una lettura gradevole e piacevolmente informata, un esempio di come la letteratura fantastica italiana può essere approfondita con strumenti degni dell’Accademia. Sarebbe però auspicabile, almeno per chi scrive, poter presto leggere altri testi di approfondimento su questi poco esplorati (almeno in Italia) argomenti.