Horror e soprattutto fantasy sembrano essere generi spiccatamente estivi, quindi potremmo considerare i palinsesti, in questa stagione, alla stregua delle care, vecchie arene della nostra gioventù, dove si proiettavano quasi sempre pellicole che non avevano avuto diritto alla prima visione nella speranza di raccattare un pugno di irriducibili spettatori; i quali, se erano molto fortunati (si fa per dire), potevano anche godere di ghiotte anticipazioni o, a essere sinceri, sciagurati filmetti che, alla riapertura dei cinema cittadini dopo le ferie (da piccolo ero candidamente convinto che “Riposo” fosse il film più programmato nelle grandi città da giugno a settembre), sarebbero tornati in un oscuro limbo.

In quest’ottica, se si è di facile contentatura si potranno passare tutto sommato un paio d’ore scacciapensieri e gradevoli, anche se troppo spesso ciò equivale a raschiare disperatamente il fondo del barile; ogni riferimento all’ennesima, incolore, pessima versione di Le miniere di re Salomone, mercoledì 3 agosto (stavolta con l’incolpevole Patrick Swayze a lottare con Stewart Granger, Richard Chamberlain e Sean Connery per il titolo di peggior incarnazione di Allan Quatermain nella storia) è da ritenersi assolutamente volontario.

Per gli indomabili amanti del peggio, invece, il 14 agosto alle 16.35 Italia Uno trasmetterà Yado, film USA del 1985 di Richard Fleischer con Arnold Schwarzenegger (felicemente svincolato dai panni del leggendario cimmero cui comunque fisicamente non somigliava affatto), Brigitte Nielsen, Sandahl Bergman, Paul Smith; l’unico consiglio che mi sento di darvi contro questo improbabile pasticcio diretto dal recidivo Fleischer, già autore del secondo e discutibilissimo film su Conan, è di non prendervela con Robert E. Howard in quanto, malgrado la pubblicità dell’epoca spacciasse Red Sonja (questo il titolo originale) come basato su un suo racconto, il grande scrittore texano è assolutamente innocente di questo crimine.

Lunedì 15 sarà la volta, sempre su Italia 1 alle 16.40, di Dragonheart II - Il destino di un cavaliere, del 2000, di Doug Lefler - con Christopher Masterson, Harry Van Gorkum, Rona Figueroa; improbabile e farcito di stereotipi fino all’inverosimile, interpretato da un drago che vorrebbe risultare “simpatico” e risulta forse il più stupido mai visto al cinema.

Inutile dilungarsi sul film comico (non posso definirlo altrimenti) basato sulla vita del condottiero Attila e trasmesso martedì 10 agosto da Retequattro: dopo una simile indigestione di licenze storico-temporali, se anche qualcuno dovesse realizzare Lancillotto contro Geronimo non ci troverei nulla da eccepire e alcune parti sembrano davvero prelevate di peso da un ipotetico La pazza storia del mondo, director’s cut, di Mel Brooks.

Dove invece, per una questione di gusti personali, mi piace soffermarmi è sulla visione, per me prima in assoluto, di Il tredicesimo guerriero, onesto prodotto fantasy trasmesso domenica 7 agosto da rai3 in prima serata.

Il primo pensiero, terminato il film – e anche durante lo stesso – è andato al mancato utilizzo di una frase di lancio astuta e sorniona tipo “Quando Beowulf incontra Die Hard” e gli elementi per convalidare una simile, un po’ astrusa dichiarazione ci sono tutti.

Tanto per cominciare, il capo dei normanni (assurda traduzione italiana, tanto per non smentirsi, di Norsemen) ricorda l’eroe della saga letteraria perfino nel nome, non identico ma volutamente assonante e, per quanto riguarda il resto della comitiva, siamo proprio nell’ambito dei “duri a morire” così sfruttata al cinema, nel bene e nel male.

Anche lo spettatore più sprovveduto troverà echi da I magnifici sette, laddove io ho scovato nel finale, con notevole piacere, una citazione quasi letterale da Zulu, di Cy Enfield, uno dei miei film d’avventura preferiti di sempre.

Gli interpreti sembrano divertirsi da matti con una recitazione volutamente ironica e un po’ sopra le righe che ricorda proprio certi film in costume degli anni ’60 e riescono a rendere passabili, se non proprio credibili, le molte assurdità e i paurosi vuoti di sceneggiatura presenti; magari avrei preferito che gli eroi sembrassero un po’ più “selvaggi” e non somiglianti, in modo quasi imbarazzante, a musicisti o fan scandinavi di simil-heavy metal (gli Europe, tanto per fare un nome), capelloni e borchiati ma tranquilli e giudiziosi (a questo proposito, fuori da ogni cliché cinematografico, quando mai si sono visti dei vichinghi che “non bevono sul lavoro”?).

Contrariamente a quanto strombazzato su locandine e trailer, Antonio Banderas non è il protagonista perché Il tredicesimo guerriero è un film felicemente corale, ma è abbastanza spiritoso da reggere il gioco comportandosi in maniera goffa e imbarazzata quasi fino alla fine nei suoi tentativi di ingraziarsi i compagni, a loro volta burberi ma affettuosi, memore probabilmente del personaggio di Chico nel già citato I magnifici sette o forse anche di Sean Connery nel celeberrimo Goldfinger (dove effettivamente James Bond non brilla né per astuzia né per capacità).

Peccato che un film tutto sommato ben fatto cada nei punti dove sarebbe lecito aspettarsi una tensione narrativa maggiore, i terribili nemici restano troppo sullo sfondo, le loro azioni e la loro stessa esistenza rimangono inesplicabili, le scene di battaglia sono edulcorate e deboli rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare data la ferocia dei contendenti, alcune tracce interessanti si perdono in maniera misteriosa; esemplarmente l’unico elemento che potrebbe ascrivere di fatto il film al genere fantasy, l’apparizione del temuto “drago di fuoco”, è tanto banale da deludere non soltanto il pubblico ma anche, visibilmente, i due eroi che lo avvistano per primi (“QUELLO è il drago di fuoco? Ma è soltanto…”).

Anche il terrore portato dalla nebbia, foriera di sanguinose sventure, risulta molto deludente rispetto al libro di Michael Crichton, nato a suo tempo quasi come una scommessa sulla possibilità di una riscrittura moderna della saga di Beowulf, da cui la pellicola è, con molta libertà, tratta.

Il film non offre assolutamente niente di nuovo, qualsiasi spettatore smaliziato capisce benissimo, e con largo anticipo, dove ogni sequenza andrà a parare, è possibile anche prevedere con esattezza quali eroi si sacrificheranno e quali no (proprio come in I magnifici sette, o Zulu), ma nonostante tutto Il tredicesimo guerriero offre una sana occasione di divertimento senza troppe pretese e, in un periodo di cocenti delusioni cinematografiche come quello che stiamo vivendo, questo è quanto di meglio si possa sperare.