1 – Verrà un uomo, dal Nord…

Albeggiava.

Un vento leggero, ma tenace, scendeva dalle alture di Timan-Si infilandosi capriccioso nelle strade di Mu-Nixi, l’immensa Città Mercato, la più antica e importante città delle Terre Fortunate dopo la Capitale.

Chael Kor si mosse tra la folla dei mercanti lasciandosi sorpassare. Non aveva fretta e nemmeno tutta quella gente che premeva, e i colori, le voci, gli odori e i profumi strani, e le sensazioni nuove, lo allontanavano dal suo riflettere su ciò che vedeva. Era nato in una città fredda, Sur, all’estremo limite delle Terre Settentrionali; terre di immense steppe vuote e di città cupe e affollate, dove il cielo era sempre grigio, e dove le case erano di pietra cruda e nessuno non aveva mai visto un giardino.

Per anni Chael Kor aveva ascoltato i racconti dei mercanti delle Provincie di Mezzo, che intessevano tra il nord industrioso e le Terre Fortunate le loro trame di commerci e affari. Già il nome era una promessa: terre dove il cielo era sempre azzurro e c’era abbondanza di alberi e fiori, e dove il vento non era un’eterna afflizione.

Ma anche le terre della Dinastia: le terre dei Mu.

Chael non aveva mai visto da vicino un Mu. Non venivano nelle Terre di Settentrione, troppo fredde per il loro sangue azzurro, e pochi abitavano le Provincie di Mezzo, se non lungo le coste tiepide. Avevano delegato al potere in loro vece gli umani, ma umani di una casta molto particolare: i nobili. Da millenni i Mu possedevano e usavano i nobili, ma Chael ancora non riusciva ad immaginare quanto e come.

Tuttavia era un uomo libero, condizione comune nel nord, ma già privilegiata nelle Provincie di Mezzo e quasi eccezionale nelle Terre Fortunate, tranne che a Mu-Nixi, la Città Mercato. E la sua condizione di uomo libero era la sua ricchezza.

Chael varcò la porta che immetteva alla Fiera Permanente. Era una porta grandiosa, altissima, che aveva visto da lontano ardere nella notte, coronata di luce bianca. Così si voltò a guardarla scoprendovi incise le tracce di una scrittura che non sapeva leggere. Arretrò di un passo, e andò a sbattere nell’uomo, in realtà senza quasi toccarlo, e spostandosi subito.

L’altro allungò una mano per proteggersi dal contatto. Era un nobile, e portava il punshaw come si conveniva, sulla schiena, con l’impugnatura che affiorava al di sopra della spalla sinistra e la shran, la corta spada a due lame, nella cintura, con le insegne che lo dicevano nobile della Casa di Tian.

Il volto era largo, e piatto, e gli occhi chiari. I capelli erano biondissimi, e gli scendevano sulle spalle, acconciati con scintillanti nastri azzurri.

– Hai intralciato la mia strada, giovane uomo del nord – lo riprese, aspro.

– Ammiravo la gloria Mu. È consentito farlo ad uno straniero ed è più importante di te, nobile della Casa di Tian. O vuoi forse dirmi che non è così?

L’altro portò la mano all’impugnatura della shran, e Chael si sentì indifeso. Una cosa soltanto poteva riconoscere ai nobili: l’addestramento. Durava in effetti tutta la vita e ne faceva dei guerrieri imbattibili. Ma forse anche questo era diverso, nelle Terre Fortunate.

– Sei pronto di lingua, uomo del nord. Ma se è la gloria Mu che vuoi vedere, continua per questa strada: agli stranieri è consentito molto, quando devono apprendere.

Chael assentì con il capo, correndo con lo sguardo alla più larga delle strade che da quel punto si aprivano a ventaglio verso il cuore della città e della Fiera. – Ti ringrazio – rispose cauto.

L’altro non si mosse. Chael restò guardingo dopo che l’ebbe superato, ma poi fu circondato dalla folla, e allentò un poco la tensione. Molta gente, in ambedue le direzioni, riempiva la strada, fluendo come la corrente di un fiume. Il sole si era levato a lambire i tetti delle botteghe accendendoli di riflessi scintillanti, ma i suoi occhi non erano assuefatti a quella luminosità fastidiosa che quasi lo accecava.

Chael si fermò un paio di volte alle botteghe più insolite. C’erano gemme dei laghi di Ouray e spezie della Città Porto di Moi, e negozi di libri preziosi e di armi di Ur-Sur, vendute lì cento volte più di quanto le stesse erano pagate ai costruttori, e proprio quello era lo scopo del suo viaggio: trovare dei compratori per aggirare i mercanti. Si fermò infine alla vetrina delle Sfere dei Sogni. Di là dal vetro color ambra le sfere prendevano forma e si agitavano, riflettendo la sua figura; Chael era un bel giovane, alto, con spalle larghe; era forte ma anche agile, e il suo corpo era asciutto, grazie alla vita non facile nelle sue terre. Portava i capelli neri e lisci cortissimi, in contrasto con gli usi delle Terre Fortunate, e questo gli attirava qualche sguardo curioso. Tuttavia la sua figura, riflessa dalle Sfere dei Sogni, appariva continuamente diversa, deformata e sconosciuta persino ai suoi occhi.

– Chael Kor: l’uomo del nord che vuole ammirare la gloria Mu.

La voce non era stata né ostile né ironica, e tuttavia era qualcosa di estremamente sgradevole e pericoloso, che diede a Chael un brivido, come se un fuoco mortale e invisibile lo avesse percorso.

Si girò lentamente e scoprì un Mu a un passo da lui. Sentì il freddo che emanava. Lo sentì fisicamente, provandone repulsione, ma riuscì a non spostarsi. Quegli strani occhi che avevano il potere di cambiare colore tenevano i suoi senza sforzo e senza misericordia.

– Che cosa vuoi vedere della gloria Mu? – insistette il Mu, imperioso. Gli tenne testa.

– Lo Specchio degli Eventi, forse? – ribatté.

– Sei molto sciocco e molto presuntuoso, umano. Non saresti in grado di vedere nulla.

– Ma davvero tu sapresti fare di meglio? Si dice nelle mie terre che quello che si racconta del grande popolo dei Mu non sono altro che illusioni tenute in vita dalla ferocia.

Il Mu sorrise. Un sorriso freddo, mentre gli occhi mutavano il colore scuro in un vivo rosso.

Il vecchio apparso sulla soglia della bottega tirò Chael per un braccio, fino all’interno. La sua stretta era forte, e lo sostenne persino quando Chael inciampò nell’ultimo gradino. Un momento dopo la porta era chiusa; nella bottega la luce d’oro era soffusa e confortevole.

Chael si liberò dalla stretta.

– Hai gli occhi blu. Sei un uomo del nord? – fu tutto quello che disse il vecchio, precedendolo tra le scansie.

– Sono un uomo libero del nord – precisò Chael.

– Che cosa ti ha portato a Mu-Nixi?

– Affari.

– La gloria dei Mu non è mai stata un affare per nessun umano, nemmeno per i nobili. E tu non lo sei – commentò l’altro sconsolatamente.

– Perché ne sei così sicuro, vecchio? Solo per i miei abiti e il mio accento?

– No; perché sono vecchio, come tu stesso hai detto, e ho visto più cose di quante ne possa raccontare.

– Spiegami perché quel Mu non ha reagito.

– Non ha reagito? Così credi tu – mormorò il vecchio, guidandolo sul fondo della bottega, dove c’era un po’ di spazio, e un corto bancone su cui stavano ammucchiati libri e oggetti. Chael li sfiorò con la punta delle dita, interrogandosi su quella risposta. Un brivido freddo si impossessò di lui, all’improvviso.

– Che aspetto può avere lo Specchio degli Eventi? – chiese tuttavia.

– Che vuoi che ne sappia? Ai nobili umani è concesso vederlo una sola volta in tutta la vita, ma hanno l’obbligo di non parlarne. Si trova nella Sala delle Ametiste Oscure, alla Capitale. Chissà, forse non è nemmeno un vero specchio. Si dice che sia in grado di mostrare le cose lontane nel tempo, e che sappia rispondere a qualunque domanda… ma come ti ho detto, chi l’ha visto non può parlarne, e quelli che ne parlano non l’hanno visto.

Chael ora aveva un pensiero, lieve, appena un fastidio, che gli girava per la mente. Gli sembrava che le sue dita e le sue stesse mani fossero di un altro, e non più sue.

La luce d’oro tremò, come se un soffio d’aria gelata si fosse insinuato all’interno della bottega. Le sue mani salirono estranee ad aprirgli il mantello, e restarono avvinghiate ai bordi, come ragni in agguato.

– Perché mi hai aiutato, vecchio? – mormorò Chael mentre la paura si avventava su di lui come una piovra gigantesca.

– Io non ti ho aiutato. Non avevo alcun motivo per aiutarti. Io ho obbedito, proprio come farai tu. Le tue mani mi uccideranno, e non potrai fare nulla per impedirlo. E questo ti mostrerà la gloria Mu.

– No! – si oppose Chael. – Perché dovrei ucciderti? Non ho nulla contro di te!

Il vecchio scosse il capo. – Il volere di un umano non conta. Nemmeno io voglio morire, eppure morirò.

Con orrore Chael vide le sue mani staccarsi dai bordi del mantello e andare al collo del vecchio, trascinandosi appresso il corpo che lottava per resistere. Il sudore gli coprì la faccia, le spalle tremarono sotto la spinta, ma la morsa si chiuse e sentì la vertebra cervicale del vecchio spezzarsi.

La forza lo abbandonò di colpo, sbilanciandolo all’indietro. Finì contro il banco, ai cui piedi il vecchio giaceva scomposto. Scosso da brividi violenti, incapace di pensare, Chael si afferrò agli oggetti preziosi, rovesciandoli. Buttò un’occhiata ansiosa alla vetrina, ma nessuno vi si era fermato davanti, e il lento fluire della folla sembrava inalterato.

Doveva andarsene al più presto.

Infilò la porta sul retro, uno stanzino pieno di cianfrusaglie, e uscì sul vicolo. Lì non c’era nessuno, ma quella solitudine gli riuscì meno rassicurante della folla, e allora al primo incrocio infilò un’altra strada. Era quella delle botteghe delle stoffe, delle tinture, delle polveri splendenti, e sfociava in un’ampia piazza coronata da alberi, e ricca di fontane e cespugli fioriti.

Cercò un albergo che gli consentisse di rintanarsi nella quiete di una stanza chiusa.

Era una costruzione dignitosa, che passava per modesta tra le decine d’altre, ma che ai suoi occhi riuscì carica di decorazioni come un gran palazzo. Curiosi specchi ornavano tutti gli angoli, sdoppiando le immagini all’infinito e imponendo loro una specie di movimento che disorientava. Nel cortile interno, su cui si affacciavano le stanze, c’era un minuscolo giardino con quattro grandi baini, o una specie affine, gravidi di pesanti fiori bluastri e odorosi.

Il profumo era tanto acuto da impregnare anche le stanze.

I clienti erano tutti viaggiatori, per lo più mercanti e qualche pellegrino diretto alla Città Tempio di Van, che non lo degnarono di più attenzione di quanta ne davano ad ogni nuovo arrivato. Era presto, e molti dovevano ancora uscire o erano in procinto di ripartire. Chael era abituato ad osservare, così rilevò tutto quanto aveva intorno senza neanche rendersene conto, se non quando si fu richiuso la porta della stanza alle spalle, e si ritrovò le proprie mani davanti agli occhi.

Ucciso. Aveva ucciso perché qualcun altro si era impossessato delle sue mani e ne aveva fatto quello che voleva.

Il vecchio era stato consapevole, e come lui non aveva avuto scampo.

Era questo, dunque. Era questo l’orrore che arrivava filtrato, nel nord, come se fosse una diceria, o qualcosa che accadeva in un altro mondo. Era questo che i Mu facevano da millenni agli umani.

Era questa la gloria Mu.

Si portò le mani al viso, e per un poco restò chino, ripiegato su se stesso, invaso da una rabbia violenta. Il nord doveva lottare con i nobili, ma erano pur sempre umani, pur sempre comprensibili, avidi, disonesti e violenti.

I Mu erano un orrore senza nome.

Qualcosa batté sommessamente alla porta. Per un momento Chael restò immobile, incerto. Non aveva armi. Nessuno che non fosse nobile o soldato poteva portarne, ma afferrò un vaso e si mise a lato della porta.

– Vattene! – ordinò. – Chiunque tu sia.

– Ti posso aiutare, e puoi aiutarmi. – La voce era sommessa, e calda, e sembrava quasi la voce di una bambina. Chael fece scattare l’apertura della porta, e restò prudentemente di lato. Ma la ragazza stava accovacciata sulla stuoia dell’ingresso, in attesa. Portava un kivac azzurro, e le insegne sulla spalla la dicevano proprietà di un Mu. Stava con il capo chino, e per un momento Chael vide soltanto l’oro chiaro dei capelli, divisi ai lati del viso, e poi intrecciati sulla nuca con file di minuscole gemme azzurre.

– Nel nord, da dove io vengo, una come te sarebbe una principessa. Alzati – le ordinò.

La ragazza sollevò il viso. Aveva occhi chiari e labbra pallide, e ben disegnate.

– Perdonami, signore. Io non sono una principessa.

– E io non sono un signore. Sono Chael Kor, figlio primogenito di Kor Neki, fabbricante di lame nella città di Ur-Sur, all’estremo limite delle Terre Settentrionali.

Gli occhi pallidi si illuminarono come se avessero riflesso il sole, mentre si appoggiava alla sua mano per sollevarsi ed entrare. Chael lasciò la porta socchiusa.

– Allora? Sto aspettando di sapere chi sei.

La ragazza lasciò correre lo sguardo per la stanza. – È brutto, qui – mormorò.

– Sei abituata a posti più belli?

– Sono abituata alla casa del Mu Ala Iosi.

– Non lo conosco.

– Lo conosci. Il mio padrone si è degnato di giocare con te, poco fa.

– Il tuo padrone! Per lui uccidere è un gioco?

– La vita di un umano è un soffio di vento al volere di un Mu. Ma tu sei straniero. Per questo il mio padrone ti trova divertente.

– Divertente! – ripeté Chael tra i denti, sommerso dalla rabbia. La ragazza lo guardò stupita, perché davvero non riusciva a comprendere il suo sgomento. Chael tentò di calmarsi.

– Hai detto che gli appartieni: come ti chiami?

– Il mio nome è Tianne. Sono nata nella sua casa, e quindi gli appartengo.

Chael la afferrò bruscamente, costringendola a guardarlo. – Hai detto che il tuo padrone ha giocato. Io posso dire al tuo padrone che il suo gioco non mi è piaciuto!

La ragazza sollevò una mano a coprirgli le labbra.

– Tu devi essere pazzo, uomo del nord. Perché sei venuto nelle Terre Fortunate se non sai come ci si comporta con i Mu?

Chael allontanò le dita calde che premevano sulle sue labbra. – Che cosa sei venuta a fare? E come mi ha trovato?

– Tutti possono essere trovati, a Mu-Nixi. Non lasciarti ingannare dalla gran quantità di gente e dalla confusione. Quando passi le sue porte di luce ti viene fatto un segno, e quel segno ti segue ovunque, fino a quando non lasci la città. I Mu erano molto sapienti, tanto tempo fa, e le porte sono vecchie di millenni.

– Ed è così in tutte le città Mu?

– Non lo so. Non ho mai lasciato Mu-Nixi – ammise la ragazza.

– Non mi hai detto perché sei venuta.

Tianne sorrise per la prima volta da che era entrata. – Il mio padrone ti ordina di presentarti alla sua casa, e sono venuta per accompagnarti.

– Nessuno ha il diritto di ordinarmi qualcosa. Sono un uomo libero.

– Non è vero. Come tutti gli uomini del nord sei soggetto al volere dei nobili della tua città.

– Questo come lo sai?

Tianne lo guardò maliziosamente. – Sono più colta di te – replicò.

– Ti hanno semplicemente posto in bocca parole che ripeti. Non verrò.

– Ma non puoi rifiutare. Ricorda quello che è accaduto alle tue mani e sii ragionevole. Il mio padrone è ben disposto, e tu qui non hai alcun diritto, se non quello di piacergli.

Chael tremò, posando le proprie mani sulle spalle fragili della ragazza. Il kivac azzurro brillava come polvere d’argento, al calore del corpo.

– È vero: non conosco nulla degli usi dei Mu. Ma non sopporterò i giochi del tuo padrone. E non sopporto nemmeno l’idea che possa servirsi di me per divertirsi. Sai che cosa vuol dire questo? Che non uscirò vivo dalla sua casa.

– Io… io non so come aiutarti – mormorò la ragazza.

– Lo vorresti davvero? – ribatté Chael.

– Qualche volte gli umani parlano tra loro come tu hai fatto con me, ma di nascosto, e hanno paura. Tu non hai paura. Soltanto…

– Soltanto? – la esortò.

– Sento qualcosa in te, uomo del nord. Qualcosa che sa di sangue, e di morte.

– Le mie mani hanno appena ucciso.

– Non è soltanto questo. È… molto di più. È tutto un mondo che urla.

Chael scosse il capo, spingendola fuori della stanza.

– Io credo che tu faccia troppo uso delle Sfere, come tutti da queste parti. I Mu vi hanno soggiogati con quelle illusioni.

– Da te non è così?

– Noi combattiamo l’uso delle illusioni! – ribatté Chael. – E ora mi avvedo di quanto questo sia giusto.

Tianne lo guardò sorpresa, e un poco perplessa. Chael si mise sulle spalle la sacca che era tutto il suo bagaglio. – Andiamo – fu tutto quello che disse, e gli restò la frustrazione di sapere che non avrebbe potuto comunque fare altro.

La ragazza lo tenne per mano per tutta la piazza e lungo la strada, leggermente in salita, che portava ai sobborghi occidentali della città. Era una strada tranquilla, con botteghe eleganti e giardini ben curati, e nobili che sostavano all’aperto, occupati in giochi sconosciuti, talvolta su scacchiere scintillanti, talvolta su minuscole scatole che sembravano dotate di vita propria.

Erano ormai fuori dell’immensa area della Fiera, e nessuno badava a loro. Le insegne sul kivac della ragazza dovevano costituire una specie di lasciapassare, che li portò indisturbati fino al fondo della lunghissima strada.

Il sole ormai era alto. Per tutto il tempo Tianne non aveva detto una sola parola, e Chael era stato immerso nei propri pensieri, e al tempo stesso si era guardato intorno, e aveva guardato le facce della gente, cercando di venire a patti con la rabbia che lo divorava.

Al fondo della strada presero un vran in attesa. L’umano che lo conduceva era un servo del Mu Ala Iosi, ne riconobbe le insegne, e tuttavia non una sola parola fu scambiata tra l’uomo e Tianne, che gli sedette accanto lasciando Chael solo sul sedile posteriore.

Il veicolo si mosse lentamente, scivolando silenzioso ad un palmo dal suolo e imboccando un viale alberato che svoltava ad oriente. Chael si rilassò, socchiudendo gli occhi al verde squillante che adesso costeggiava la strada, da una parte e dell’altra. C’erano alberi e fiori che non aveva mai visto, così alti e lussureggianti che le più fitte foreste del nord sembravano al confronto macchie di cespugli.

La casa del Mu si allungava a semicerchio tra l’acqua e gli alberi, e il vran li lasciò davanti al padiglione centrale, in un ampio cortile circondato da cerchi di acqua chiara.

Tianne lo condusse per l’ampio vestibolo, vuoto e invaso dalla luce, fino al cortile interno. Dell’acqua cantava, nelle fontane dal fondo luccicante, ma era un suono assolutamente preciso, calcolato, che pur variando ripeteva all’infinito la stessa nota.

– Sulla stuoia – gli mormorò Tianne, e Chael la imitò, sedendosi.

Si accorse di avere caldo, così nel sole. Anche l’aria era inebriante. Sotto i portici che correvano tutt’intorno vedeva adesso passare delle ombre, che i suoi occhi non riuscivano a distinguere, e sentiva delle voci: la parlata lenta delle Provincie di Mezzo e quella squillante di Mu-Nixi, intervallate da risa umane.

D’improvviso seppe che stava venendo.

Il suo corpo lo avvertì come una minaccia, reagendo, e dovette sforzarsi per restare accovacciato. Si fece quindi schermo degli occhi con una mano: l’alta ombra del Mu veniva dal portico. Vestiva d’azzurro, e sebbene non sorridesse, i tratti del volto erano rilassati.

– Tianne dice che ti opponi alla mia volontà perché sei un uomo del nord, e ti ritieni libero.

Chael si girò a mezzo guardando stupito la ragazza, che non aveva ancora aperto bocca.

– Se leggi così bene i pensieri non hai bisogno di chiedermelo! – ribatté.

Il Mu tese una mano verso di lui. Una mano lunga e sottile, con dita straordinariamente affusolate. – Posso fare molto più che leggere i tuoi pensieri: posso toglierti l’aria che respiri e spegnere la luce dai tuoi occhi e raggelare il sangue nelle tue vene.

– E questa è la gloria Mu?

– Sei un umano divertente. Ma la tua mente è piccola come un seme di moi, e altrettanto rozza. E io sono annoiato. Ti concedo di combattere con un nobile della mia Casa, e di divertirci.

– Non voglio battermi!

– Ma lo farai – ribatté il Mu.

La piccola folla di umani si mosse dall’ombra del portico, verso il cortile. Oltre le fontane c’erano altri Mu, forse tre o quattro, ma Chael non si girò, per non distrarsi.

Con un solo gesto si liberò della sacca e del mantello. Il nobile che si mosse per primo aveva le insegne della Casa di Tian, e altri della casa, tra i quali quello che aveva urtato alla porta della città, si fecero avanti.

Abbozzò un cenno con il capo e si allontanò dalla stuoia, per non coinvolgere Tianne. Gli sembrò che qualcuno, da qualche parte nella sua mente, ridesse di quella premura.

Il nobile si mosse girando su se stesso e sfoderando il punshaw, e l’arma gli passò sulla testa, sfiorandolo, nello stesso istante. Chael si abbassò e si spostò di lato. Ma non c’era molto che potesse fare, se non giocare di agilità e di astuzia.

Il nobile si muoveva sicuro. Per due volte fece volteggiare il punshaw, e Chael si salvò arretrando. Alla terza volta, la lama lo sfiorò di piatto, aprendogli uno squarcio superficiale sul petto. Il colpo non portò alcuna emozione evidente nel suo avversario. Chael arretrò fino alla pietra bianca di una fontana, e poi si lasciò scivolare in ginocchio, e rotolò in avanti nel momento in cui il suo avversario abbassava la lama.

Gli afferrò il polso, e lo tirò, con una mossa di Dai. Il fatto che conoscesse quella tecnica di lotta, riservata ai nobili, sconcertò tanto il suo avversario che dimenticò di opporgli la contromossa. Fu soltanto un attimo, ma Chael lo afferrò per il collo, lo tirò sotto di sé e si appropriò della shran, posandogliela sulla gola. Adesso, qualunque fosse stato il movimento, il nobile era morto, perché la corta spada a due lame non perdonava.

Il nobile non si mosse, e nemmeno Chael, lasciando che l’acqua della fontana gli colasse addosso in un velo di spruzzi. L’uomo respirava con affanno. Chael sollevò lo sguardo sull’ombra del Mu, che li aveva raggiunti.

– Uccidilo – ordinò il Mu.

Chael sollevò lo sguardo ad incontrare gli occhi adesso rosso cupi, e la bocca senza sorriso. Allentò la stretta e sollevò il braccio armato.

– No – rispose.

– Soltanto perché è un ordine? – ribatté il Mu.

Chael non riuscì a definire l’intonazione in quella voce; intanto il nobile sgusciò via dalla sua stretta, e si mise in piedi, ma Chael restò inginocchiato nell’acqua.

– Un tempo, molto tempo fa, i nobili umani avevano un codice d’onore, che vietava loro di incrociare le armi con gli inferiori, ma che imponeva loro la morte se accettavano la lotta e ne uscivano vivi e sconfitti. Vedi come si corrompe una specie, giovane uomo del nord? Questo nobile non ti è grato perché gli hai risparmiato la vita, e tuttavia non si ucciderà, perché anche l’onore è morto per lui.

– E per te, Mu Ala Iosi?

Gli occhi del Mu erano tornati cupi. Chael sentì una specie di dolore alla base della nuca, una stretta immateriale, molto intima e selvaggia, dolorosa, ma anche mescolata ad una strana, viva e intensa sensazione di piacere. Qualcosa che non aveva mai provato prima. Qualcosa che lo riempì al tempo stesso di voglia di lasciarsi invadere, e d’orrore.

Gli occhi del Mu erano argento vivo.

Chael vedeva solo quegli occhi. Nessun suono, nessuna luce, nessun calore per un istante che sembrò durare l’eternità stessa. Si ritrovò nudo, piegato in due nell’acqua, con ancora la sua domanda sulle labbra, e il gelo nelle vene.

Tianne gli sfiorò le spalle, sollevandogli poi la fronte. Sentì la sua mano come se fosse fuoco sulla pelle gelata.

– Cerca di respirare, Chael! – supplicava la giovane. – Respira, ti prego!

Si appoggiò alle spalle della ragazza, cercando conforto nel tepore della sua pelle, e le obbedì. Il respiro gli uscì come un sibilo rauco. E infine riuscì a sollevare il capo e a guardarsi intorno.

Il giardino era vuoto, e anche i portici. Fece cenno a Tianne di volersi alzare, e la ragazza lo sostenne, aiutandolo, e ponendogli il suo mantello intorno ai fianchi. Il sangue che scorreva dalla ferita era rosso e caldo, e anche il gelo, lentamente, lo stava lasciando.

Tianne lo guidò verso un’arcata, e poi in un altro cortile. Lì si aprivano piccole stanze ombrose, circondate di verde e colme di tappeti. L’acqua scorreva ovunque, componendosi in cascatelle e specchi tranquilli, e c’era uno strano profumo, forte, non umano.

Lo aiutò ad adagiarsi su uno dei tappeti sistemandogli un cuscino sotto il capo, e poi gli tornò accanto con una cesta di unguenti e di bende. Per un poco Chael la lasciò fare, tenendo gli occhi chiusi, e limitandosi ad ascoltare i suoni e gli odori.

Aveva tante domande per la mente, ma nessuna gli sembrava tanto importante quanto inseguire le sensazioni che gli erano rimaste, e quella voglia di morte che gli pesava addosso.

– Che cosa mi ha fatto?, mormorò infine, aprendo gli occhi su Tianne. La ragazza aveva portato coppe di bevande e piatti di cibi che non conosceva, ma non gli rispose.

– Non vuoi parlarmene? – insistette.

Incontrò due occhi pallidi in cui non c’era luce. – Sei piaciuto al mio padrone, Chael. Da molto tempo i Mu cercano le emozioni degli umani per godere. La tua lotta e la tua temerarietà lo hanno eccitato e divertito. Ti ha posseduto. E lo farà ancora, fintanto che in te non resterà più nulla di tutto questo. Se sarai ancora vivo, dopo, forse ti lascerà andare per la tua strada, o forse ti concederà di vivere in questa casa come un servo.

– Legge davvero la mia mente? Può farlo?

– Quando ti avrà posseduto molte volte la tua mente non potrà più nascondergli nulla. Vedrà con i tuoi occhi e sentirà con le tue orecchie. Ma adesso ci sono ancora molte cose che puoi nascondergli. Per questo lo diverti.

Posseduto. Era questo dunque, che sentiva ardere nella pelle. La violenza nella sua mente e nella sua carne non era che la prima aggressione, la prima breccia per divorarlo, vivo.

Tentò di ragionare. – È lui che mi parla, adesso. È lui che parla attraverso te!

Tianne lo guardò senza rispondergli. Chael distolse gli occhi dai suoi. Adesso tutto quel verde, e la quiete, i colori e la luce gli riuscivano insostenibili.

– Può farlo in qualunque momento? – mormorò. – Possedermi, intendo!

– Anche da lontano, si. Ma richiede energia. È più facile, e più piacevole, se ti sta accanto. Anche il tuo corpo gli è piaciuto, Chael. I Mu provano piacere con i corpi umani, ma il Mu Ala Iosi è molto esigente.

– Piacevole! – imprecò.

– Anche il corpo di un Mu è piacevole per un umano, Chael, se ci si lascia guidare.

Chael allungò una mano a sfiorarle il viso, ma senza guardarla. – Va’ via! – le ordinò. – Vattene!

– Non posso – mormorò Tianne, sollevando le mani a toccarlo. Per un momento Chael si vide riflesso negli occhi pallidi, trasformato dalla rassegnata disperazione che sembrava affiorare dal profondo della ragazza. Con mani non più sue le afferrò il kivac e lo stracciò, prendendo il suo corpo con furia, devastandolo, fintanto che la sua mente si trovò affogata, e il corpo sotto di lui non era più quello di Tianne, ma quello del Mu Ala Iosi.

Restò a lungo disteso sul tappeto, dopo. Il corpo di Tianne giaceva girato su un fianco, nudo, le trecce sfatte, le gemme azzurre sparse intorno. Con uno sforzo Chael arrivò a sfiorarle la schiena, e infine a girarla. La ragazza era fredda. Il collo era spezzato e la violenza aveva distrutto il suo ventre piatto e i seni accoglienti.

Chael ritirò la mano tremando. La violenza del Mu su di lui era stata altrettanto brutale e selvaggia. Ma lui non era morto. Non ancora e non del tutto.

Scivolò nel torpore, troppo debole e troppo ferito per resistere: sapeva quello che gli stava succedendo.

Il richiamo adesso era gentile, e gli prometteva sollievo e ancora piacere. Così Ala Iosi lo avrebbe avuto ogni volta più consenziente, e ogni volta più affamato. E gli si buttò contro, e cedette di nuovo.

Quando si svegliò era notte.

Il suono dell’acqua era mutato, e anche i profumi nell’aria, che erano diventati dolci e leggeri. Una brezza fresca faceva muovere il verde e portava cascate di petali a cadere a pioggia dai fiori maturi.

Si mosse adagio, cercando nella penombra i suoi vestiti. Una luce leggera veniva dalla volta della stanza, e coronava i portici con un debole splendore.

Ricostruì il percorso compiuto con Tianne, fino al cortile mediano. Era vuoto, e diverso nella luce della luna piena. Infilò deciso il portico e le stanze che vi si aprivano.

Ala Iosi doveva sapere che stava andando da lui. Chael non tentò di nasconderglielo. Anzi, spinse la sua mente verso il Mu con tutta la forza di cui era capace, e intanto arrotolò tra le mani, sotto il mantello, il filo di ghenir, l’arma dei cacciatori del nord, l’unica arma che un nobile ed un soldato non avrebbero portato perché non la riconoscevano tale.

Traversò sale su sale, con facilità, quasi di corsa. Erano deserte, e colme di strane cose che vivevano nel buio senza muoversi, accendendosi al suo passaggio e spegnendosi subito dopo. Cose non umane.

La mente del Mu era una macchia d’argento vivo che si mangiava i suoi pensieri.

Chael gli arrivò alle spalle. Il Mu stava rigido nell’ampio sedile, e nel momento in cui Chael alzò le braccia e le abbassò stringendogli intorno al collo il ghenir gli esplose nella mente il disprezzo e il piacere, la voglia di morte e l’urlo di trionfo del Mu.

Strinse, fintanto che il filo gli penetrò nelle dita facendole sanguinare, e poi avvertì il distacco. Una massa oscura che si separava da lui, una corsa verso il basso, qualcosa che gli fece mancare l’aria e lo costrinse ad appoggiarsi al sedile per non cadere.

Il Mu era morto. Morto come un qualunque umano, strangolato da un filo di ghenir.

Chael arretrò di un passo. Si sentiva la mente vuota, e si sentiva debole, come se fosse appena scampato ad una spaventosa malattia. Arretrò cautamente nelle sale appena percorse, ma adesso che le vedeva con i suoi occhi gli sembravano paurose e sconosciute.

Non sapeva che cosa stava accadendo agli altri umani della casa. Ai servi, che erano certamente tutti posseduti, ai nobili, che si prestavano per obbligo all’unione; agli altri Mu, che si diceva fossero sempre in grado di sentirsi tra loro.

Si ritrovò nel giardino principale, e corse verso il vestibolo. Non c’erano guardie: non ce n’era bisogno, perché nessuno aveva mai attaccato e ucciso un Mu prima di lui.

I presidi, i soldati, la giustizia dei nobili erano per gli umani e le loro piccole beghe. Nessun Mu agiva mai contro un altro Mu, e l’Impero e la Dinastia erano stati per questo, nel tempo, saldi come rocce.

Fino a quel momento.

Si infilò in un vran e lo mise in moto. Dalla dimora non veniva alcun suono d’allarme. Forse gli altri Mu erano occupati nei loro personali piaceri, forse i nobili non erano tanto fedeli, e forse i servi non potevano più vivere senza la mente che li possedeva.

Quel pensiero lo colpì, mentre scendeva lungo il viale alberato verso Mu-Nixi.

– Nelle tue mani c’è tutto un mondo che urla. Morte e sangue… – così aveva detto Tianne. Ma era stato Ala Iosi a parlare. Ala Iosi che aveva goduto doppiamente affrontando la sua premonizione e sfidando la morte, vittima e carnefice.

Lasciò il vran all’inizio del lungo viale ancora pieno di gente, di luci e di suoni, e si confuse tra la folla, risalendo verso la porta est, ricordando l’avvertimento di Tianne sul segno impresso per rintracciare chiunque all’interno della città, che veniva cancellato soltanto ripassando da una delle porte per l’uscita.

Lasciò Mu-Nixi dalla porta orientale, e appena fuori prese un vran da trasporto sulla Strada Nixi-Van. Tuttavia era già molto tardi, e il veicolo fermò la sua corsa al primo villaggio, dopo poco più di due ore, lasciandolo con pochi altri passeggeri su una piazzetta deserta.

Il villaggio sembrava di nobili, e le dimore erano nascoste nel verde di giardini molto fitti. Trovò una sola locanda, appena oltre la curva della strada principale, e si infilò sotto il portico. Non c’erano altri avventori, a parte un umano avanti negli anni, ma poderoso, che se ne stava chino su un boccale di skor. Ne ordinò uno a sua volta, e l’oste lo servì con sollecitudine vedendo il suo mantello scarlatto di uomo libero del nord.

Per un poco Chael si rilassò contro il sedile di pietra, lasciando che lo skor si scaldasse nel boccale. Adesso sentiva il dolore per la ferita al petto, e il dolore della carne, per la violenza subita. E il pensiero che la corte dei nobili aveva assistito allo spettacolo lo faceva tremare come per un attacco di febbre. La rabbia lo divorava con altrettanta ferocia del Mu.

La mano che gli si posò sulla spalla sostò solo un istante, leggerissima, e le dita lo sfiorarono appena.

– Stai male? – chiese l’umano, che l’aveva raggiunto lasciando il proprio tavolo.

Scosse il capo, per allontanare il fastidio del suo interesse. – Vattene – fu tutto quello che gli rispose.

– Perdonami se insisto. Ma poco fa stavi per cadere dal sedile. Stai male?

Chael alzò gli occhi a guardarlo; lo vedeva di là da una nebbia che lo rendeva impreciso. Provava il disperato bisogno di parlare con qualcuno, ma restò zitto.

– Mi chiamo Imarti. Sono un trasportatore libero, sulla Strada Mu-Nixi e Omik-le-ma via Van. Parto domattina. Se vuoi, posso ospitarti – si offrì.

– Sei molto generoso, Imarti.

– La stanchezza o la malattia ti fanno pensare cose ingenerose di me, giovane uomo del nord.

– Come fai a dirlo? Anche tu entri nella mente degli altri, Imarti?

Il vecchio scosse il capo. Aveva un’aria compassionevole, adesso, che rese furioso Chael.

– No. Ma vedo del sangue che filtra dal tuo mantello, e leggo la disperazione nei tuoi occhi. Io credo che tu non voglia essere trovato, quando si comincerà a cercare. È così?

Chael si alzò senza rispondere, ondeggiando, e lasciò una moneta sul piano del tavolo. Imarti tese un braccio per sostenerlo, ma Chael si scostò bruscamente.

– Non mi toccare! – ringhiò. Non avrebbe più permesso a nessuno di toccarlo. Il vecchio annuì in silenzio, e lo precedette fuori.

Aveva una capanna piccola e pulita all’altra estremità del villaggio, tra i folti baini dalle larghe foglie, che la rendevano quasi invisibile dalla strada.

Chael accettò con infinito sollievo il giaciglio che il vecchio gli indicò, e si distese tenendosi addosso il mantello e girandosi immediatamente verso la parete, fingendo di dormire.

Quando si svegliò si accorse che una mano gentile gli aveva posto dell’acqua fresca sulla fronte, gli aveva tolto il mantello e gli stivali, e lo aveva coperto.

Per un momento Chael fissò il vecchio senza riconoscerlo, poi spostò lo sguardo al rettangolo appena più chiaro alle sue spalle: stava facendo giorno. Una brezza carica di profumi forti penetrava a folate.

– Perdonami se ti ho svegliato. Ma hai avuto un incubo, e gridavi.

– Lo so.

– Sarà così per un po’ di tempo. Succede a tutti, la prima volta.

– È accaduto anche a te?

– Anche a me è accaduto, si, tanto tempo fa. Ma io sono un uomo mediocre, senza ambizioni, e non sono interessante. Non potevo dare emozioni.

Chael fissò il soffitto. Era d’argilla e canne, fittamente intrecciato, bellissimo nella sua geometrica semplicità.

– Devi portarmi via stamattina – mormorò quindi.

– Non puoi: hai la febbre. Il tuo corpo e la tua mente rifiutano la violenza subita, e poi c’è la ferita, che si riapre non appena ti muovi.

– Devi portarmi via lo stesso. Hai mai sentito che un umano abbia ucciso un Mu?

Il vecchio Imarti lo fissò a lungo.  –È questo che hai fatto?

Chael sorrise, all’improvviso, feroce.

– È stato solo il primo – la sua risposta era appena un sibilo, estranea ai suoi stessi orecchi. Per un momento ci fu silenzio. Il vecchio girò la faccia a guardare il rettangolo che si schiariva ad ogni attimo.

– Questo era scritto, nello Specchio degli Eventi.

– Che ne sai dello Specchio degli Eventi?

– Ti ho detto che il mio percorso passa per Van, la Città Tempio. Si fanno molte chiacchiere, là, su questo.

– Non credo che esista, e se esiste nessuno sa riconoscerlo!

– Esiste – ribatté Imarti. – E c’è ancora chi sa riconoscerlo: è Xar Mos, signore dell’isola di Sirai. Un Mu, principe della Dinastia

– Non ci credo.

– La Dinastia, all’inizio, era una buona cosa. Ma il tempo corrompe, e anche i poteri si corrompono. Questo è quanto ho sentito dire a Van.

– Mi ci porti?

– A Van? Si, può essere una buona idea: ti darò degli abiti da pellegrino.

Il vecchio si mosse per andarli a cercare. Chael appoggiò la faccia alla coperta ruvida, e per un poco restò con gli occhi fissi a guardare il mosaico della parete e a sentire il proprio respiro. Gli sembrava che null’altro fosse rimasto al mondo.

Lasciarono il villaggio che era ancora molto presto. Una fine acquerugiola, normale per la stagione a dire di Imarti, e che sarebbe durata appena una mezz’ora, bagnava la polvere della lunga strada che tagliava la piana di Ouray-Van, dividendola quasi esattamente in due.

A meridione, tra i Laghi Splendenti e la magnifica Capitale, c’era la valle di Mu-ley, la culla della Dinastia. A Settentrione c’erano le dolci colline che portavano alla penisola di Omik-le-ma. Una terra fertile e rigogliosa.

– Questa via peggiora di stagione in stagione – borbottò Imarti tenendo il largo vran esattamente nel centro. – C’era un tempo, dicono, che la strada aveva un pavimento, e brillava come i Laghi di Ouray brillano al sole. Vedi, giovane uomo del nord? Vedi come tutto si consuma?

Chael non aveva voglia di rispondere. Se ne stava in parte disteso alle spalle di Imarti, nell’unico angolo lasciato libero dalle merci destinate al porto di Ik, tra ceste ed involti. Non stava scomodo, in effetti. Non era la sua posizione a renderlo insofferente.

Imarti gli aveva dato una vecchia tunica azzurra e calzoni dello stesso colore, e con quegli abiti poteva dirsi relativamente al sicuro: nemmeno i nobili avevano molta voglia di occuparsi dei pellegrini diretti alla Città Tempio.

E tuttavia c’era qualcosa. Una specie di paura che poteva quasi essere rimorso; come se ogni albero, ogni filo d’erba, ogni nuvola che gli passava sul capo urlasse la sua colpa.

Aveva ucciso un Mu. Aveva versato il sangue azzurro della Dinastia.

Imarti lo guardò dubbioso. Chael fece uno sforzo per tornare al presente.

– Quanto può essere vecchia questa strada? – chiese.

– Chi può dirlo? Millenni. I Mu, all’inizio, erano buoni. Furono loro a tracciare le grandi strade che noi usiamo ancora. La strada di Vina-Nor, che unisce tutte le terre emerse, la strada di Nixi-Van e la strada Sacra, la più bella di tutte, e che porta alla capitale e fino al mare. Sei mai stato alla Capitale?

– No.

– È un peccato. La strada finisce al Palazzo delle Ametiste Oscure. Lì c’è quello che ti attrae tanto.

– Lo Specchio?

– E non solo quello! La capitale si affaccia su una baia, e ci sono delle isole. Le leggende dicono che non sono di vera terra, ma che sono state costruite. Sono le Isole della Corona, e in fronte, davanti alla Città Porto di Moi, le Isole Gemelle. E poi c’è la Casa di Ori.

– La Casa di Ori? Non ne ho mai sentito parlare.

– Non me ne stupisco. E più antica persino della Capitale, e a Van dicono che è su quell’Isola che i primi Mu sono giunti, tanto tempo fa. E dicono che è lì che è chiuso il segreto del loro potere.

– E allora perché non se ne parla?

Imarti si strinse nelle spalle. – Nessuno ci va più da molto tempo. È un posto strano. Io ci sono stato, una volta. C’è una specie di padiglione, sulla scogliera, e da lì una scala che scende in basso, su una spiaggia nera, e una passerella sospesa che porta all’Isola. La casa sembra… una bolla di sapone, opaca, e l’Isola non tocca l’acqua. Ci sta sopra.

– Come, sopra?

– Cosi – esclamò Imarti, accostando le mani per mostrargli la distanza tra le due superfici. – Nessun umano, che io sappia, è mai riuscito a varcare quella passerella – concluse Imarti.

– Ci hai provato?

Gli occhi di Imarti brillarono. In parte era soddisfazione, per essere riuscito a strappare Chael dal suo mutismo e ad interessarlo a qualcosa. – Naturalmente ci ho provato. Ho anche tentato di andarci sotto con una barca, ma c’è qualcosa che non si vede e che impedisce di passare. Se è vero che la potenza Mu è lì, devo dirti tuttavia che è custodita molto miseramente, e per niente venerata.

– Hai detto che è come una bolla di sapone opaca…

– Si. Ma brilla, e cambia colore quando cambia la luce. Non ha finestre, né porte che si possano vedere, e se non fosse per la passerella, si direbbe che possa volare via.

– Vedi le cose in modo molto colorato, Imarti.

– Può darsi. Ma quello che ti ho detto è la verità. Così come è vero che alla Casa di Ori non è data più alcuna importanza e che nessun Mu ci va. E non ci sono cerimonie. E questo da moltissimo tempo.

– Io non capisco, quando tu parli di tempo, che cosa intendi – ribatté Chael.

– Millenni. Questo intendo, quando parlo di tempo.

Chael guardò sconsolato la lunga fila di vran che venivano in senso opposto, diretti a Mu-Nixi.

– Dura da tanto, la nostra schiavitù?

– All’inizio non era così, te l’ho detto. All’inizio i Mu hanno fatto molto per gli umani.

– Questo dove lo raccontano? A Van? Dove onorano i loro dei?

– Qui ti sbagli, Chael. I Mu non hanno dei. La Città Tempio di Van è una città di umani, costruita da umani per gli umani. Non ho mai sentito dire che un Mu adori qualcosa.

Sostarono per mangiare nella locanda dove Imarti era solito fermarsi. Era un villaggio fiorente, ricco d’acqua, e la vita sembrava quieta e serena. Non si vedevano Mu, per quanto Imarti lo avesse avvertito che potevano incontrarne in ogni momento.

Non era raro tuttavia che fornisse ad un pellegrino un passaggio per il suo viaggio, così nessuno si stupì, né fece domande. Chael tuttavia restò teso, e non riuscì a prendere altro che un po’ di frutta e poi tornò subito al vran, e si accovacciò tra il carico, fingendo di restarsene in meditazione.

Quando ripartirono il traffico era molto intenso. Era una cosa normale in quella stagione, gli spiegò Imarti, poiché a Van vivevano non meno di diecimila persone, e altre cinquemila vi affluivano e defluivano quotidianamente.

Impiegarono molte ore per coprire poca strada, e si fermarono a dormire in un secondo villaggio, molto vasto, che si allargava tra le colline e i fitti boschi.

Imarti lo osservò per tutto il tempo della cena, che toccò appena. Nella locanda erano in molti, ma erano quasi tutti trasportatori; pochi pellegrini si permettevano il lusso di una cena, e pochi mercanti sentivano il bisogno di lasciare Mu-Nixi per andare alla Città Tempio.

C’erano tuttavia dei soldati, ad un tavolo, e qualche nobile nelle nicchie a loro riservate.

– Non so se faccio bene a parlartene – mormorò Imarti ad un certo punto, vedendo il suo boccale di skor ancora colmo. – Ma qualunque cosa è meglio di quello che senti adesso. Non è così?

– Adesso non sento più nulla – la voce di Chael era stata dura e ostile.

Imarti non si lasciò scoraggiare. – In questa zona, da qualche tempo, ci sono fermenti fra le truppe. I nobili sono intervenuti due volte, ma il fermento continua ad allargarsi.

Gli occhi di Chael si incupirono. – E i Mu?

– I Mu neanche si accorgono di quanto succede.

Chael ricordò l’assenza di precauzioni nella dimora di Ala Iosi. I Mu erano così sicuri, così assolutamente certi della loro superiorità…

– Si dice che alla testa del movimento ci sia un uomo, nativo dell’arcipelago di Musian-Ma. Era un soldato, prima, e anche un buon soldato, un comandante. Si dice che molte truppe gli siano rimaste fedeli. Si dice che, volendo…

– Si dice, Imarti?

Il vecchio alzò le spalle. – Io suo nome è Manor Tai. Ed è un uomo feroce e spietato.

– Dove lo trovo?

– Sarà lui a trovare te, se proprio vuoi incontrarlo. Che cosa ti passa per la mente, Chael?

– Quello che volevi quando hai incominciato a parlare, Imarti. Sei molto abile.

Imarti spinse via il piatto vuoto e si riappoggiò al sedile, armeggiando per accendersi la lunga pipa. – Qui ti sbagli di nuovo. Tempo fa, e questa volta intendo cinque o sei stagioni soltanto, ho visto il Mu di cui ti ho parlato. Il signore di Sirai.

Chael abbozzò un cenno di fastidio: non voleva sentire parlare di un Mu. Di qualunque Mu. Ma Imarti lo ignorò.

– Naturalmente non si rivolgeva a me, ma io l’ho sentito. Per quanto ti sembri strano, stava difendendo un umano dalla prepotenza di un Mu. L’ho sentito dire: avete perduto il tesoro della vostra mente. Non avete più memoria. Avete permesso che l’ombra crudele della nostra specie divorasse il patto, e tutto quanto era stato fatto per l’Armonia. Così verrà un uomo dal nord, e non lo vedrete. Starà tra voi, e avrà buon gioco della vostra negligenza e della vostra ottusità. Si servirà di quello che avete trascurato, e quando lo capirete la Dinastia sarà già distrutta. Disse questo, quasi con le stesse parole – concluse Imarti.

– Sembra che lo ammiri – costatò Chael, infastidito.

– È difficile dirlo; certo mi ha lasciato il segno.

– Tutti i Mu lasciano il segno – ribatté Chael; vide riflessa la propria immagine nell’oro chiaro dello skor ormai caldo. – Sono io quell’uomo? – chiese infine.

Imarti sostenne il suo sguardo. – Ti porterò ad Ik, dove prenderai il traghetto per Musian-ma. Io farò sapere del tuo arrivo.

Chael assentì in silenzio, ma rabbrividì, come se un’ombra fredda gli si fosse posata sulle spalle.

Riuscì a scorgere le innumerevoli guglie rosse della città di Van mentre vi giravano intorno, abbandonando la strada Nixi-Van per una strada minore, che scendeva fino alla Città Porto di Ik. La Città Tempio era completamente racchiusa da alte mura di pietra rossa, e saliva a terrazze, elevandosi su molte colline, sovrastata da una vera foresta di pinnacoli e cupole e guglie. La gran massa di pietra dava l’idea di qualcosa di estremamente caotico e confuso. Era completamente diversa da Mu-Nixi, che pur essendo una Città Mercato era pur sempre una città Mu, dove dominavano luce, spazio e armonia.

Ricordò come Imarti avesse detto che Van era una città di umani, e come nel nord si favoleggiasse della sua bellezza e delle sue ricchezze, tanto che un pellegrinaggio a Van era il sogno di un’intera vita.

Lui stesso, che era venuto nelle Terre Fortunate per affari, aveva pensato di andarci. Questo molto tempo prima. E gli sembrava che, come per Imarti, anche per lui il tempo adesso volesse dire millenni.

La Città Porto di Ik sorgeva nella stretta baia con lo stesso nome, tra la penisola di Omik-le-ma e le alte coste degli Alberi Bianchi. Il vasto arcipelago di Musian-Ma, con le sette isole dai porti accoglienti e dalle acque pescose, vi si allargava davanti.

Ik era un piccolo porto, estremamente affollato, verdissimo, con strette strade che scendevano a picco e le case abbarbicate l’una sull’altra. I nobili e i Mu risiedevano a Om, dalla parte opposta della baia, e quindi la città di Ik godeva di una relativa quiete. La guarnigione locale, composta tutta da gente dell’arcipelago, era tollerante verso gli umani, e sull’orlo della rivolta verso i nobili.

Chael vestì di nuovo i suoi abiti del nord, salutò Imarti e poi si diresse al traghetto. Aveva pensato che qualcosa di così assolutamente nuovo come l’uccisione di un Mu avrebbe fatto scalpore, invece non se ne sapeva nulla. Ik era una città festosa nel caldo sole rosso del pomeriggio, che tramontava ad oriente. L’odore del mare gli riempì i polmoni. Era diverso dal suo mare freddo di Sur, questo. Era un mare amico, ricco e persino piacevole.

Le barche andavano e venivano tra il porto e le isole senza che giganteschi mulinelli si aprissero ad inghiottirle. Chael non aveva mai messo piede su una barca, prima. Ma affrontò il traghetto con sufficiente confidenza, pagò il pedaggio e salì a bordo, andando sul ponte superiore. Il colore dell’acqua, così vivo e azzurro, era qualcosa cui proprio non era abituato, e restò un poco a guardare giù. Il traghetto, a due ponti e con una stiva capace, si infilò nel canale destinatogli tagliando veloce verso la prima, e la maggiore, delle isole.

Erano già al largo, e Ik era lontana, quando scoprì i due Mu.

Era quasi buio. E la sera, dolce, all’improvviso si riempì di gelo.

Il traghetto non era affollato, ma c’erano soldati e contadini delle isole e qualche donna. Chael si buttò addosso il mantello e andò a sedersi sul ponte più alto. Lì, un paio di contadini stavano giocando a dadi con dei soldati. Era molto strano. Non aveva mai visto prima dei soldati giocare con dei contadini. Si accovacciò lì accanto. Le lampade erano già state accese, e dondolavano alla brezza che si stava rinforzando.

Non guardava il gioco. Pure i suoi occhi erano incatenati al rotolare dei minuscoli dadi scintillanti. Erano dadi molto belli, degni di un nobile.

Un sottile tentacolo di gelo gli si insinuò nella pelle: qualcuno aveva sentito la sua paura.

Si mosse, brusco. Uno dei contadini, un uomo alto e grosso e con il viso quasi nascosto dal gran cappello di paglia nera, sollevò appena il capo, come se il suo movimento lo avesse irritato. Chael gli passò oltre e scese al ponte inferiore.

Voglia di morte.

Era questo, ciò che sentiva. Un gioco sottile, una sfida raccolta e ripetuta per il piacere di un’emozione finalmente estrema. Un modo per prendersi gioco di lui e della sua paura.

Scivolò nel salone interno e salì alla sala riservata ai Mu. Sotto le vesti portava adesso una corta shran, che Imarti gli aveva procurato senza difficoltà, e aprì la porta cautamente, scivolando all’interno. I Mu erano a tavola, e due umani li servivano. Uomini dell’equipaggio, che gli rivolsero uno strano sguardo d’attesa.

I Mu non alzarono gli occhi su di lui, indifferenti. In un angolo della stanza c’era una ragazza, ma stava china, e di lei Chael non riuscì a vedere altro che il lungo kivac bianco, e le braccia sottili, strette sul capo. I capelli erano di oro scuro, ma non erano stati pettinati, e le si arruffavano in riccioli lunghi fino alla vita. Neanche lei si mosse.

Chael arrivò fin davanti al tavolo.

Adesso non aveva più che un attimo: il gioco era alle fine. Uno dei Mu alzò gli occhi, e nello stesso momento e con un solo gesto Chael estrasse la shran e gli tagliò la gola, e la tagliò al secondo Mu portando indietro l’arma dalla doppia lama. I due inservienti, impietriti, lo fissarono sgomenti.

Chael abbassò il braccio, pulì la shran nella tovaglia e poi si mosse verso la ragazza.

– Uscite! – ordinò ai due umani.

Sfiorò con la punta delle dita le spalle sottili e la pelle di seta del collo. La ragazza non si mosse. Le sollevò un poco il viso, ma gli occhi restarono chiusi.

– L’hanno presa ad Ik, prima di imbarcarsi – disse uno degli umani, attardandosi. – Lo fanno sempre, per non annoiarsi durante la traversata. È nel loro diritto.

– Chi sono? – chiese Chael, accennando al tavolo.

– Il signore di Omik e suo figlio. Facevano spesso di queste traversate. Quelli che prendevano ad Ik difficilmente arrivavano vivi a Musian-Ma, e viceversa.

– Conosci questa ragazza?

– Si. È la figlia di un traghettatore. È ancora una bambina, e io l’ho vista crescere. Sono contento di quello che hai fatto, straniero. Nessuno credeva che un umano potesse riuscirci.

– Io vengo dal Nord e sono Kor. Chael Kor. Vai a chiamare l’uomo vestito da contadino che gioca a dadi con i soldati, sul ponte alto. Digli che lo aspetto qui.

L’uomo assentì ed indietreggiò fino alla porta senza dargli le spalle. Chael sollevò la ragazza, e per un poco la tenne appoggiata contro di sé. Era gelata. Le labbra pallide erano strette in un sorriso innaturale. Chael la riappoggiò sul tappeto, e la coprì. Non poteva fare nient’altro per lei.

Entrò prima il largo cappello di paglia nera, e poi il massiccio uomo al di sotto, che per un momento restò appena oltre la soglia, le mani sui fianchi. Tutti gli altri stavano dietro: soldati, contadini, equipaggio. L’uomo lentamente si tolse il cappello e lo buttò in un angolo.

– Imarti diceva la verità, uomo del nord – disse.

– Dovevi proprio vederlo con i tuoi occhi, Manor Tai?

La voce era stata asciutta e dura. Chael si versò del vino nella coppa del Mu, e poi ne riempì una seconda, e gliela porse. – Scommetto che non hai mai bevuto in una coppa Mu.

Tai sentì la sfida, e tuttavia esitò un istante. La coppa brillava di luce viva e c’era del sangue bluastro, all’esterno. Lo sfiorò con la punta delle dita, guardando Chael.

– Che cosa mi offri, straniero?

– Sono Chael Kor. L’ho già detto al tuo uomo. Avete sacrificato quella bambina per distrarre i due Mu e farmi agire.

– È vero. Imarti era molto convinto su di te, Kor. Ma io sono prudente e la vita di un umano, come dicono i Mu, è meno di un soffio di vento. E ti chiedo ancora: che cosa mi offri?

– Quello che ti manca, Tai. Quello che ti ha impedito di iniziare la rivolta e di esserne l’uomo.

Gli occhi di Tai scintillarono. – Io sono feroce.

– Imarti me l’ha detto. Ma io ho avuto da un Mu quello che tu non hai, Tai. Lui mi ha lasciato un’eredità pesante: la capacità di distruggere.

Tai portò la coppa alle labbra. – Tutti gli uomini sul traghetto mi sono fedeli.

Chael sorrise; un sorriso freddo che annegò nel vino scintillante.

– Basteranno, per ora.

Il traghetto deviò dalla sua rotta, a metà notte, e tenendosi sotto costa sorpassò il capo della penisola di Omik-le-ma, dirigendo verso la prima Città Porto delle Provincie di Mezzo, Binia. Una piccola città, ancora dolce di clima, e piacevole, immersa nel verde pallido delle foreste di alar odorosi.

Chael aspettò l’alba sul ponte più alto. Qualcosa di estremamente doloroso lo teneva sveglio, tormentandolo. Non aveva più pensato alla sua gente, a Sur. A suo fratello, cui sarebbe toccato il suo posto nella famiglia; a sua madre, al vecchio padre cui aveva dovuto obbedienza ma al quale aveva voluto bene. Quei volti e quella vita appartenevano a qualcun altro, perché il Mu prosciugandolo si era preso anche i suoi affetti e i suoi ricordi, e aveva lasciato solo fiamme.

Albeggiava quando Manor Tai lo raggiunse. Adesso vestiva le insegne di comandante di guarnigione, e così mutato riusciva in qualche modo a contenere l’aria di ferocia che sprizzava da ogni suo movimento. Chael lo sentiva ostile e nemico. E tuttavia si girò verso di lui, e gli indicò l’insenatura larga e tranquilla di Binia, che ingrandiva.

– Hai avuto il comando di questo posto, non è vero?

– Imarti deve essere stato un chiacchierone, con te – ribatté Tai.

– Imarti non ha detto più di quanto serviva. Hai fatto dei Mu ciò che ti ho ordinato?

Tai assentì. Chael si staccò dal parapetto e si mosse a scendere dal ponte.

– Voglio parlare a tutti i tuoi uomini. Da come ci muoveremo oggi dipenderà la nostra sorte.

C’erano in tutto un centinaio di uomini sul traghetto, fedeli e addestrati. Si riunirono nel salone. I due Mu erano stati rivestiti con i mantelli preziosi. Le ferite avevano cessato di sanguinare, e adesso gli ampi colli rialzati le nascondevano. Ci volevano molti giorni prima che un corpo Mu manifestasse la rigidità della morte, e quasi una stagione prima che cominciasse a dare segni di corruzione: così i due Mu sembravano ancora dei commensali annoiati da un banchetto prolungato oltre misura. E il vederli turbava ancora gli umani.

Chael voltò loro le spalle, sfiorando con lo sguardo l’angolo vuoto dov’era stata la ragazza.

Incontrò gli occhi di Tai, duri.

– Parlami di Binia, prima di tutto – lo interrogò Chael. – Quanto ci sei stato?

– Otto stagioni. Non era un brutto posto né un brutto lavoro, ma i nobili erano esosi e la gente insofferente. Così c’erano spesso scaramucce, contese, e piccole rivolte. La guarnigione è forte di una cinquantina di uomini. Ci sono quattro case di nobili con seguiti piuttosto numerosi. E poi questa è stagione di mercato, quindi ci saranno molti mercanti. Binia è famosa per il suo legname.

– Mu?

– No, troppo umida e già fredda per loro. Lì arrivano soltanto i venti gelati dal Golfo Grande di Ur.

– Allora ottanta uomini si divideranno in dieci gruppi da otto e occuperanno tutti i punti dove possono trovarsi i nobili. Questo vuol dire che cinque gruppi andranno alle case e gli altri cinque alle locande sulla piazza del mercato. I nobili di Binia hanno gli usi di tutti i nobili del resto del paese?

– L’hai detto.

– Quindi nessuno si aspetta di vedere armi in mano a dei mercanti e a dei pescatori. Ma dovranno colpire subito, senza dare ai nobili il tempo di capire quello che sta succedendo.

– E noi? – lo interrogò Tai.

– Noi andremo alla guarnigione. I nostri amici Mu ci faranno aprire le porte. Pensi che la guarnigione passerà dalla nostra parte, Tai?

Tai valutò quella possibilità. – Quando vedranno che i Mu si possono uccidere senza che per questo il sole si oscuri… si, è possibile. Conosco gran parte di quegli uomini. È gente del posto, gente che ha preso i favori dei nobili per vivere un po’ meglio, e che senza i nobili non è più nulla. Noi siamo l’unica alternativa al potere. Mi piaci, Chael!

Chael non rilevò l’apprezzamento.

– Voglio vedere gli uomini quando saranno pronti. Voglio vedere le armi, i travestimenti, e voglio sentirli parlare. Non ci dovranno essere sospetti. E quando avremo preso Binia ci muoveremo subito per Ur, e poi per Sur.

– Perché cominciare dal nord? I Mu sono al sud!

– Perché al nord raccoglieremo più facilmente uomini e armi. E i Mu non ci prenderanno sul serio, perché saremo lontani.

– Dai retta alla profezia di Imarti? È questo, Chael? – il tono di Tai adesso era divertito.

– Le profezie sono parole. Ma noi dovremo avere un impero, quando affronteremo quello dei Mu.

Gli uomini avevano preso a sfilargli davanti, mostrandogli shran e punshaw. Il punshaw era stato modificato perché l’impugnatura non spuntasse al di sopra della spalla, e anche la lama era diversa rispetto a quella solita. Chael aveva già studiato qualcosa del genere, e vi avrebbe portato i suoi personali miglioramenti, non appena fosse stato a Sur.

Tutti gli uomini parlavano senza sforzo con gli accenti di diverse parti della regione ed erano ottimi soldati; tutti, inoltre, avevano quella predisposizione alla ferocia che sprizzava da Tai, e che l’azione imminente rendeva visibile.

Il traghetto entrò nel golfo di Binia salutato da un vento teso, umido, un po’ fresco, che faceva risuonare le migliaia di campanelli augurali appesi a tutti i pali delle strade, in lieve salita verso la piazza centrale. Chael disegnò la pianta della città mentre la barca compiva le lunghe operazioni di avvicinamento ed attracco. Disegnò la posizione delle quattro case nobili, delle locande, della guarnigione, seguendo i ricordi di Tai, e poi le mostrò ai capi di ciascun gruppo: riascoltò gli ordini impartiti, e infine si mossero. I gruppi lasciarono il traghetto alla spicciolata, ricostituendosi più avanti, non appena fuori dal porto. Per ultimo scese Chael, con Tai, e gli uomini rimasti che portavano i due Mu nella portantina chiusa con le insegne di Omik. Non c’erano vran a Binia.

La gente si scostò intimidita, al loro passaggio. Non avevano Mu, ma dovevano conoscere gli effetti devastanti della loro presenza. Chael rabbrividì, al vento che lo colpiva in faccia, mentre salivano alla guarnigione. Qui e là distinse qualcuno degli uomini di Tai, ma solo perché aveva una vista acuta, e perché sapeva dove cercarli. Camminava dietro alla portantina, ma Tai si girava spesso verso di lui, e quando arrivò al portone Chael fu costretto a raggiungerlo.

– Aprite alle insegne Mu del signore di Omik! – urlò.

Il portale fu aperto immediatamente. La guarnigione era impreparata, e non appena dentro videro uomini che correvano qui e là, in cerca dei pezzi mancanti delle proprie uniformi. Chael gettò un’occhiata a Tai.

– Questi non sono preparati a niente, tantomeno a combattere! Radunali.

L’uomo che aveva sostituito Tai al comando, un giovane di Omik, Aned, si era già precipitato a rendere omaggio alla portantina chiusa. Era un giovane dalla faccia pallida, con un naso prominente e gli occhi acuti. Chael lo lasciò portare a termine il saluto previsto ai signori Mu, poi gli si avvicinò, sfoderò la shran e gliela appoggiò alla gola. Aned restò impietrito, senza osare un movimento.

– Non hai mai visto un Mu ucciso da un umano? – gli chiese Chael. Il giovane sgranò gli occhi. Tai rise del suo terrore.

– Dai al mio amico la possibilità di dire almeno una parola, Kor! – lo esortò.

Chael allontanò di una frazione la lama dalla gola del comandante.

– No – rispose Aned, e gli occhi andarono alla portantina, le cui cortine sbattevano al vento. Chael ne aprì una. – Allora guarda. E decidi in fretta da che parte vuoi stare.

Aned allungò appena il collo verso le due forme che non potevano più fargli alcun male.

– I nobili… – mormorò. – I nobili sono alleati dei Mu!

– I nobili di Binia sono già tutti morti o stanno morendo – intervenne Tai. – Che cosa faranno i soldati?

Aned alzò a mezzo una mano, allontanando di un palmo la shran dalla sua gola. – Sono con te, Tai.

– No. Sei con Kor! – lo corresse Chael. – E i tuoi soldati saranno le prime truppe di Kor. Sei ambizioso, Aned?

Gli occhi dell’uomo brillarono.

– Si. Lo sei. Tanto che hai venduto il tuo comandante per prendere il suo posto.

– Non è vero! – protestò Aned temendo la rabbia di Tai.

– Sei ambizioso – lo zittì Chael. – Ed io ti offro il comando, e la conquista della Capitale, al mio fianco. Sei anche un traditore, ma non ci tradirai, perché saremo i più forti. Hai capito, Aned?

– Si.

Chael rinfoderò la shran. – Bene – mormorò, con un lieve sorriso freddo. – Allora raduna tutti gli uomini della guarnigione, ed esponi i Mu. Lascia che tutti li vedano. Poi presentati a me con i tuoi ufficiali. Abbiamo molto lavoro.

Aned gettò uno sguardo furtivo a Tai, ma si mosse solerte e deciso. Chael salì sugli spalti. La sentinella gli fece rilevare i segnali: gli specchi in ciascuno dei punti chiave, e sui quali il sole si spezzava. Le case dei nobili, le strade, le locande. A parte i segnali, Binia sembrava ancora calma, anche se a ben guardare c’era una certa corrente di folla che si apriva e si chiudeva come un serpente impazzito.

– I primi effetti – pensò.

La testa del serpente aveva imboccato il viale centrale, per salire alla guarnigione. Il fuoco di un incendio si alzava in volute pigre da una delle case dei nobili. Il vento era caduto.

Chael voltò le spalle alla città che insorgeva.

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