Interessante l’intenzione degli autori e dell’editore, Raffaello Cortina -il quale conferma la ricerca di qualità in ogni volume- di creare una guida turistica diversa. La Sicilia degli dèi segue una strada alternativa per condurre il lettore a scoprire luoghi noti e meno noti da un punto di vista differente: quello della mitologia, che diventa lo spunto per tracciare itinerari, che seppur classici -quando parliamo di mitologia sembra un termine tautologico-, rinnovano lo sguardo e il significato dei monumenti, dei reperti, delle tappe del viaggio e ci fanno apprezzare meglio, con più consapevolezza, l’esperienza.

Gli autori, Giulio Guidorizzi e Silvia Romani, amano la terra di cui parlano; si sente e si legge nelle storie narrate. Nonostante un po’ di piaggeria, a volte bucolica, a volte, forse, ingenua. È vero, però, che l’occhio del turista, seppur grande conoscitore, è sempre più magnanimo dell’occhio critico di chi ci vive, o ci è nato. 

Grazie all’accompagnamento dei due studiosi, e direi ricercatori, ci addentriamo in luoghi antichi e memorie, che partendo dalla mitologia locale, illuminano fatti storici, a volte drammatici: la lotta per la libertà e l’indipendenza dei popoli oppressi; le guerre per l’invasione e la colonizzazione di territori all’epoca lontani, o esotici. I racconti, che non diventano mai saggi, costeggiano il limite del divulgativo intelligente e fantasioso. 

Immaginando di venire da est, dalla Magna Grecia, ci imbattiamo nelle porte della Sicilia, fra Scilla e Cariddi, rispettivamente un mostro dalle tante teste e un gorgo alternato, che avviluppa e sputa fuori, nella lingua di mare, spesso molto mosso, che ha dato vita a tanti miti. I riferimenti all’Odissea, ma anche alle tragedie, o alle narrazioni di scrittori greci sono evidenti. 

Ci ritroviamo a Taormina, nell’altura in cui un pittore inglese, Robert Hawthorn Kitson, decise di erigere una casa museo, Casa Cuseni, con un giardino e un panorama mozzafiato. 

Ci addentriamo in una delle vie centrali di Catania, Via dei Crociferi, con le sue leggende, divulgate dai rampolli cittadini, per preservare un luogo di libertà, in cui darsi a ogni tipo di attività, non sempre lecita. 

Saliamo sull’Etna per osservare Tifone, il mostro generato da Era (o da Gea) in uno dei tanti momenti di solitudine, durante i quali Zeus si trastullava non sempre in modo civile. 

Seguiamo l’occupazione di Siracusa e la lotta per il suo dominio, per il dominio cioè su una delle città più potenti dell’antichità, non solo per il punto strategico, per i due porti, per la bellezza geografica e per la ricchezza della sua terra, che attirava (e continua ad attirare, visti gli investimenti finanziari degli ultimi vent’anni), ma anche per la sua influenza culturale. 

Passiamo da Enna, dal meno turistico lago di Pergusa (turistico semmai a livello locale. Certo è che se un turista ha un numero limitato di giorni forse preferisce andare a Ragusa, a Caltagirone, a Noto, ma perderebbe la bellezza della visione di questo luogo straniante, in mezzo a campi coltivati a grano, che sembrano un deserto alternativo). 

Scopriamo un giallo internazionale di furti d’arte, con personaggi illustri -definiti illustri, perché famosi, non perché abbiano particolari pregi-, come Robin Symes, uno dei più potenti mercanti d’arte e gioielli dello scorso secolo, che non si fa scrupoli a comprare opere di dubbia origine, né si fa scrupoli a rivenderle a collezionisti altrettanto bramosi, quale era Maurice Tempelsman, ultimo amato dell’inconsolabile vedova Jackie Kennedy. D’altro canto, la pecunia non ha mai puzzato e davanti a una cosa bella, meglio se è, o sarà, considerata patrimonio universale, nessuno può fare lo schizzinoso, neanche gli integerrimi ebrei ortodossi (come Tempelsman), o i fanatici di qualsiasi religione. 

Non può mancare Agrigento e la Valle dei Templi. Mi ha sorpreso l’inserimento di Sant’Angelo Muxaro -a pochi chilometri da Girgenti-, che fu rifugio di Dedalo -l’artigiano, che costruì le ali al figlio Icaro-, dalla fuga da Minosse. Fu anche luogo di morte di quest’ultimo per ordine di un civile e solidale re locale, Cocalo, che non acconsentì all’estradizione del noto artigiano.

In un giro completo della Sicilia non può mancare una visita a una scoperta relativamente recente: era il 5 marzo del 1998, quando Francesco Adragna, a capo della sua imbarcazione Capitan Ciccio, scoprì il satiro di Mazara, una statua bronzea, raffigurante un satiro che tiene con molta probabilità un kantharos, un recipiente -in siciliano ancora oggi càntaro significa recipiente-, in cui si mischiavano acqua e vino, forse anche spezie. Una specie di sangria ante litteram. 

E si avvicendano ancora i racconti su: Selinunte e il suo magnifico parco archeologico, il più grande d’Europa, che ha rischiato di essere depredato da inglesi in cerca di notorietà in patria; Erice e la sua bellezza quasi inviolata, abbarbicata sul Monte San Giuliano, ennesimo punto di contatto con la Mamma Africa, che tanto spesso dominò l’isola. Un ponte alato, una volta l’anno, grazie alle colombe di Afrodite univa Erice a Cartagine in una sorta di ritorno e pacificazione, che nella realtà sembra così difficile, se non impossibile. 

E questo meraviglioso -nel senso etimologico- tour si conclude con le ultime tre tappe: l’isola di Mozia, le sue saline e il museo in cui vedere la maestosa statua di marmo, la cui identità è incerta, forse il capo dei Mirmidoni, un gruppo di soldati di Achille; Mistretta per la festa pagano-cattolica (molto pagana e poco cattolica da quando luce fu), della Madonna della luce, il 7 settembre. Infine, ultima tappa è Palermo, a cui spetterebbero più di due paginette, ma che non ha un richiamo mitologico così forte, come altre città meno stratificate, meno corrotte dalle mille dominazioni che hanno voluto lasciare il segno, cancellando quello precedente.

Onore al merito agli autori, che -dalle note si evince- hanno compiuto un notevolissimo studio di letterati, sociologi, etnografi moderni e meno moderni per illuminare questo viaggio: da Diodoro Siculo a Sebastiano Tusa, da Franco La Cecla a Sergio Bonanzinga. 

Onore, inoltre, alle belle illustrazioni di Michele Tranquillini, che alleggeriscono il testo, rendendolo ancora più accattivante, anche per i bambini.

In effetti anche la bibliografia, per i curiosi e gli appassionati, meriterebbe uno studio approfondito. Dopo la lettura del volume l’ulteriore passo da fare è concretizzare il viaggio, consapevoli che la poesia ideale, narrata, non sempre è confermata dalla visione di un reale altrettanto aulico, purtroppo, a volte, molto meno poetico.