SATURNIA  – MONDO DI TERRA

Il testo che segue è il prologo di un antico libro di magia conservato nella grande biblioteca di Dendrasin, capitale del regno degli elfi:

Prima la stirpe aurea

di creature mortali

dagli Dèi fu creata.

Tutti insieme, elfi e umani,

vivevan, persino i nani.

Sulla terra c’era pace,

gioia, né tristezza alcuna,

mai la notte senza luna.

 

Ma dopo il felice giorno

presto arrivò il crepuscolo:

all’oro sempre seguono

l’argento e il bronzo duro.

I nani nelle miniere,

gli elfi nascosti nei boschi,

gli umani nelle pianure

infine si ritirarono.

 

Gli Dèi lasciarono la terra

e senza la loro luce

gli umani conquistarono il dominio,

con guerra nefasta tuttodistrussero,

e loro stessi vittime  furon.

Anche gli Dèi, i divini Pyren dalla luce-rossa

presi dall’aspra contesa,

guerra mossero contro i divini Syren, dalla luce-azzurra.

 

Atlantide, città azzurra,

fu sommersa dalle acque

Mu, la bella città rossa,

sprofondò negli abissi.

Da allora niente più tracce

della stirpe che fu, non più,

e dallo scontro divisa

la terra uscì in Quattro Mondi:

Aria, Terra, Fuoco e Acqua.

Quattro anime divise

destinate a riunirsi.

Da uno in quattro,

da quattro in uno.

Ciò che è indivisibile è stato diviso.

Ma ciò che è stato diviso è indivisibile.”

LIBRO 1

Inizia l’avventura

L’apparizione dell’unicorno

 

1

SATURNIA

Pianura di Telim

Aster si terse il sudore dalla fronte e passò una mano tra i capelli sporchi di polvere. Era il crepuscolo e il giovane, stanco ma soddisfatto, se ne tornava a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Se di lavoro si poteva parlare.

Stermina-gundriel, veniva chiamato, con un misto di sarcasmo e timore. Cacciatore, preferiva lui: molto più poetico. Il che non cambiava il fatto che la sua attività consisteva nel dare la caccia, e alla fine uccidere, i gundriel, quelle bestiacce che spesso attaccavano i villaggi della pianura, devastando i campi e divorando animali ed esseri umani.

Aster non temeva quelle bestie più di quanto temesse la gente, anzi, ucciderle era quasi un divertimento. Non lo faceva per i soldi, anche se la paga era buona, e nemmeno per salvare gli abitanti del villaggio, che potevano crepare tutti dal primo all’ultimo, per quanto lo riguardava. Gli piaceva la caccia, la sensazione dell’adrenalina nel sangue, la consapevolezza di correre un rischio mortale e superarlo ogni volta. E aggiungere una nuova pelliccia alla sua collezione.

Si aggiustò la faretra sulle spalle e sospirò nella calura estiva. La strada per arrivare al villaggio era ancora lunga. Il sentiero si snodava pigramente tra l’erba alta e si perdeva in un boschetto. Tra gli alberi, almeno, avrebbe trovato un po’ d’ombra e un ruscello, per darsi una rinfrescata dopo la caccia.

Si lasciò guidare dal brusio dell’acqua corrente e raggiunse la riva, camminando sui massi coperti da un sottile strato di muschio. L’acqua era stupenda, limpida come uno specchio, tanto che si potevano scorgere i pesci che guizzavano sul fondo come piccole frecce di luce. Alla sua destra una piccola cascata, alta poco più di cinque piedi, sollevava una pioggerella di schizzi.

– Finalmente – esclamò Aster.

Si tolse dalle spalle arco e faretra e li posò a terra, in un posto asciutto perché l’umidità non danneggiasse il legno. Cominciò a sbottonarsi la camicia e si sfilò gli stivali di cuoio, dentro cui era nascosto un coltello, per ogni evenienza: le strade della pianura non erano così sicure.

Si immerse nel ruscello a torso nudo, lieto che non ci fosse nessuno nei paraggi. Quando gironzolava nei villaggi della piana si sentiva spesso addosso gli occhi di qualche ragazza, attratta dal suo fisico snello e ben proporzionato. L’essere fissato da una parte gli faceva piacere – insomma, un po’ di autostima non guastava -, dall’altra lo infastidiva. In ogni caso, le occhiate civettuole duravano poco. Finiva sempre che qualcuno si avvicinava alla donna in questione, borbottando tra i denti parole che Aster ormai aveva imparato a memoria:

– Stanne lontana, piccola. Quello è un bastardo mezzosangue!

Aster non perdeva tempo a negare la verità. Aveva il fisico di un umano, ma la vista acuta di un elfo, e soprattutto capelli castani dalle strane sfumature azzurrine sulle punte. Né umano né elfo, dunque. E dunque non era niente.

Si immerse sotto la cascatella, lasciando che l’acqua lavasse via la polvere, il sudore e pensieri troppo pesanti. Chiuse gli occhi e rimase in ascolto, assaporando il mormorio del ruscello, il sospiro delle fronde, il verso di una civetta solitaria…

“Una civetta?”

Il senso di sollievo si trasformò in disagio. Tese di nuovo le orecchie. Nulla, un silenzio innaturale era calato nel bosco. Poi li sentì. Un fruscio alla sua destra, un altro a sinistra, lo schiocco secco di un ramo spezzato.

Non era più solo, lì.

Dubitava che si trattasse degli animali del sottobosco. A meno che non avessero cominciato a camminare su due zampe.

Disarmato, in piedi in mezzo al ruscello, era un bersaglio perfetto.

Imprecò dentro di sé e cercò di esaminare la situazione. L’arco distava almeno una ventina di passi. Gettarsi nella boscaglia per tentare la fuga era rischioso, perché non conosceva l’esatta posizione dei suoi assalitori. In poche parole, era in trappola.

Agì d’impulso. Si tuffò nel ruscello e iniziò a nuotare sott’acqua, verso il masso su cui aveva lasciato i vestiti. La sua mossa disorientò gli uomini nascosti tra i cespugli, convinti di averlo colto di sorpresa. Una freccia sibilò nell’aria, accompagnata da grida di disappunto. Visto finire all’aria il loro piano, gli assalitori gettarono gli archi e, sguainando le spade, fecero irruzione nella radura.

Aster aveva ormai raggiunto il masso, e il pugnale nascosto nello stivale. Era una ben misera arma, ma non sentiva paura, soltanto una gran voglia di combattere e, possibilmente, di ammazzare il maggior numero possibile di quei briganti.

L’uomo più vicino si trovò il pugnale infilzato in gola. Aster gli strappò di mano la spada e si avventò come un fulmine sugli altri. Due furono travolti dalla sua furia e finirono entrambi nel ruscello con il petto squarciato, il terzo tentò di ritirarsi, ma scivolò su un sasso umido. Aster ne approfittò per allontanarsi dal corso d’acqua, dove rischiava anche lui di cadere. Ma non fece che pochi passi.

Il cerchio si chiuse intorno a lui. Dovunque si voltasse, era attorniato da uomini armati fino ai denti. Una lama gli morse il braccio, un’altra il fianco. Alle spalle qualcuno lo colpì alla testa con l’elsa della spada. Il giovane cadde a terra frastornato e gli avversari ne approfittarono per balzargli addosso.

Non lo uccisero: ora che era inerme, si sarebbero divertiti un po’.

Ridendo, lo fecero sollevare e cominciarono a spintonarlo da una parte e dall’altra. Aster non riusciva a distinguere i loro volti attraverso il velo rosso che gli colava davanti agli occhi: sangue da un taglio sulla fronte.

– Tenetelo! Due per lato! – sentì gridare.

– Ma se è mezzo morto!

– Non lasciarti gabbare, è più duro dell’acciaio.

Aster alzò lo sguardo. Dopo la voce, riconobbe anche il volto dell’uomo che gli stava dinnanzi.

– Salve, Garith – disse con tono glaciale.

L’altro sorrise attraverso la barba scura, che non vedeva il rasoio da molti giorni. Indossava una pelliccia, nonostante la calura, e pesanti stivali di cuoio. In mano teneva una lunga spada. La puntò alla gola di Aster.

– Mi hai riconosciuto subito? Ma bravo!

– Tre anni di assenza non hanno certo migliorato il tuo brutto ceffo – Aster abbozzò un sorrisetto sarcastico – A cosa devo l’onore di questa visita inattesa e, se devo dire la verità, del tutto indesiderata?

– Sai, è strano che tu sia così di buon umore, visto che stai per morire – ribattè Garith, spingendo la lama sulla gola. Una goccia di sangue colò lungo la pelle sudata. Aster non mosse un muscolo, anche se a stento potè trattenere una smorfia di dolore: sarebbe morto, prima di dare a Garith soddisfazione!

– Questi simpaticoni devono essere amici tuoi. Quanto li hai pagati per farmi la festa? Caro Garith, sei peggiorato. Prima eri una gran carogna, ora sei anche un vigliacco.

Per tutta risposta Garith gli sferrò un pugno alla bocca dello stomanco. Aster si piegò in due, ma strinse i denti.

“Fallo parlare. Prendi tempo” pensò tra sé “Intanto mi verrà in mente qualcosa.”

– Non hai più tanta voglia di ridere, vero, bastardo? – Garith si massaggiò le nocche, soddisfatto – Pagherai per quello che mi hai fatto.

Aster sbuffò. – Guarda che la colpa è solo tua se ti hanno esiliato. Sei stato tu a mancarmi, con la tua pessima mira, e a colpire invece il fondoschiena del capovillaggio. Da parte mia, mi sono solo spostato dalla traiettoria della tua freccia, e penso che fosse mio diritto!

Gli uomini attorno si lanciarono occhiate divertite.

– Silenzio! – tuonò Garith – Il prossimo che ride, lo ammazzo. Quanto a te, mezz’elfo bastardo…

Lo schiaffo arrivò rapido e violento. Aster sentì in bocca il sapore ferrigno del sangue, mischiato a qualcosa di più amaro: umiliazione. Umiliazione e un’ondata di sorda rabbia.

– Non sono un mezz’elfo – sibilò a occhi bassi.

Di nuovo Garith lo colpì.

– Ma davvero? E allora cosa sei? Solo un bastardo, e i bastardi come te dovrebbero essere tutti sterminati…

Poi la spada gli cadde di mano.

Con un grido di dolore i briganti che trattenevano Aster si tirarono indietro. Il corpo del giovane aveva cominciato a bruciare, così come dentro ardeva la sua rabbia. Era stufo, stufo di essere trattato come un animale solo perché non era come gli altri. Per qualche tempo aveva ritenuto che quella diversità fosse colpa sua. Poi aveva imparato a fregarsene, e per un altro po’ era andato avanti.

Adesso basta!

Davanti a lui, Garith sembrava muoversi a rallentatore. Aster riusciva a cogliere a una a una le gocce di sudore che scivolavano sulle tempie dell’uomo, mentre si chinava a raccogliere la spada e si slanciava contro di lui, la punta dritta contro il suo cuore…

Poi una luce accecante si sprigionò dal corpo di Aster.

Garith non ebbe neppure il tempo di gridare: fu avvolto da quella fiammata azzurra, mentre gli altri briganti sollevavano le braccia al volto per non rimanere accecati.

Finì in un attimo.

Quando ebbero il coraggio di guardare di nuovo, e videro il mucchietto di polvere che era rimasto del loro capo, i briganti si diedero disordinatamente alla fuga.

Nei villaggi vicini la gente vide una colonna azzurra innalzarsi nel cielo. Qualcuno si spaventò, qualcun altro incolpò i riflessi del crepuscolo. Ovviamente, a nessuno venne in mente di andare a controllare cosa fosse davvero. L’importante era che non si avvicinasse al loro villaggio, il resto non importava. La mattina dopo, nessuno si sarebbe ricordato dell’accaduto, perché all’interno delle loro misere case nulla era cambiato.

Aster sentì che lentamente cominciava a riprendere il controllo. Adesso era solo al centro della radura. Intorno a lui, per un raggio di circa cinque passi, il terreno era bruciato come dopo un incendio. Si rimirò la mano, pieno di stupore: riluceva di una calda e pulsante luce azzurrina. Come era possibile?

D’un tratto le gambe non lo sostennero e si lasciò scivolare a terra, esausto. La sensazione di euforia che prima l’aveva sostenuto si dileguò, veloce come era venuta. Il dolore alla testa lo assalì. Doveva tornare a casa, prima di crollare del tutto. Si stava facendo buio e non era prudente rimanere di notte sulla strada, specialmente in quelle condizioni. Si sollevò e alzò gli occhi. E fu in quel momento che lo vide!

Era nero come la notte senza luna e il suo mantello riluceva nell’aria sempre più scura, ingoiando gli ultimi raggi di sole che filtravano tra le fronde. La lunga criniera ricadeva in onde sul collo affusolato.

– Un unicorno – si lasciò sfuggire Aster in un soffio.

L’unicorno se ne stava immobile sulla riva del ruscello e lo fissava. La sua bellezza lasciava senza fiato, tanto che il giovane si sentì salire le lacrime agli occhi per la commozione: era davanti a un’animale che esisteva soltanto nelle leggende.

D’istinto allungò la mano per toccarlo, ma non appena fece cenno di avvicinarsi l’unicorno scomparve, lasciandolo di nuovo solo, a domandarsi se lo avesse visto davvero o se l’avesse soltanto sognato.

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