La psicologia di un personaggio è fondamentale per la sua riuscita ed è di gran lunga più importante del suo apparire. È ciò che lo rende degno di essere seguito lungo tutte le pagine del vostro romanzo.

Per questo motivo è bene siate cauti e oculati, badando acciocché vi sia un’assoluta coerenza in ciò che egli è.

Vorrei rifletteste su quanto segue: ciò che un essere pensa, un essere è. Ciò che un essere è, un essere fa. Ciò che un essere fa, genera conseguenze che ricadranno prima sull’essere stesso, poi sul mondo circostante.

La prima parte somiglia molto al cogito ergo sum, non trovate? Somiglia… è la stessa cosa! Saggi questi uomini dell’antichità, vero? :-)

Banale, trito e ritrito, se volete, ma drammaticamente vero. Comunque, ho aggiunto due frasi significative al concetto degli antichi.

1. Ciò che un essere è, un essere fa, ossia non pensate mai alle azioni di un personaggio come a qualcosa di separato dalla sua psicologia. In pratica, egli deve essere coerente.

Ribadisco il concetto di coerenza, con un piccolo esempio, ben lontano da un banale Tizio odia il mare, quindi Tizio non andrà mai in barca con Caio.

Tizio si trova di fronte a una teoria di Caio che collide con uno dei suoi credo. Se Tizio è un personaggio aperto, proverà a comprendere meglio la teoria di Caio e nel prosieguo del romanzo tenterà, se vi avrà trovato qualcosa di valido, di applicarla a se stesso. Se Tizio è un tipo chiuso, controbatterà a spron battuto e, ad esempio, in futuro rifiuterà il discorso aprioristicamente… o magari sarà un tipo sarcastico, oltreché chiuso, quindi non perderà occasione per beffeggiare Caio dall’alto della sua ragione, perché riterrà davvero d’aver ragione.

Provate a pensare quanto un simile ragionamento possa influire sui dialoghi tra i due personaggi durante l’intero romanzo… ed è soltanto un piccolo aspetto dei molteplici che questo aspetto della narrazione racchiude in sé.

Per concludere, quando Tizio dice qualcosa, fatela dire a Tizio, non a voi stessi.

2. Ciò che un essere fa, genera conseguenze che ricadranno prima sull’essere stesso, poi sul mondo circostante, ossia buone o cattive che siano, le azioni di un personaggio influiranno sulla sua psicologia più che “altrove”.

Questo significa anzitutto, purtroppo e per fortuna, che la psicologia di un personaggio è in continua evoluzione, anche e soprattutto durante il romanzo.

Di conseguenza Tizio è nei guai quando escono i suoi lati peggiori, poiché i suoi difetti avranno forzatamente delle ripercussioni che non potrà schivare in eterno. Ciò se è un tipo riflessivo. E se invece è un insensibile menefreghista? Credete che un menefreghista non si trovi mai di fronte le conseguenze del suo agire sconsiderato? Tra i vari fendenti della vita ne arriverà uno che lo colpirà laddove la sensibilità ha lasciato una piccola crepa – e ve n’è sempre una, almeno una, di crepa -; ed il fendente farà breccia, potete scommetterci.

Oppure i suoi lati migliori, prima o poi, verranno riconosciuti e se ne compiacerà… forse, visto che potrebbe avere altre reazioni: ironizzare, sviare per imbarazzo, irritarsi poiché quelle “stupide moine” fanno uscire uno dei suoi lati oscuri, migliorare, peggiorare, considerare per la prima volta certi suoi pregi…

…infinite le vie della psicologia di un personaggio, uno qualsiasi…

Per tale motivo, l’infinito, preferisco non proseguire. In futuro forse il discorso verrà ripreso. Quello che a mio avviso conta, l’ho scritto. Inutile dire che più tempo passerete a curare la psicologia dei vostri personaggi, più veri essi risulteranno agli occhi dei lettori (be’, dipende se siete abili a mettere su carta quanto avete pensato. Fermatevi quando comprenderete di pretendere troppo dalla vostra forza espressiva: come tutte le arti, imparare a narrare – che è diverso da “imparare a scrivere” – è un processo lungo e graduale).

Nel prossimo capitolo affronterò il terzo aspetto della creazione di un personaggio: lo scopo.