Lo scorgete soltanto, invero.

Non potete sapere cosa vi attende. Ma è per questo momento che avete faticato tanto, giusto? È per rispondere all’attrazione dell’ignoto e dell’avventura, o della sventura, che vi siete preparati.

Quello che dovete sapere, è che una volta attraversata quella soglia, nulla sarà più come prima. Nulla.

Allora, che ne dite, facciamo assieme questo passo? Lo so, lo so… è buio lì dentro, ma troveremo la via lo stesso. In fondo era questo che volevamo e sapevamo non sarebbe stato facile.

Andiamo.

Dal momento in cui comincerete a scrivere, tutto quello che avrete pianificato non sarà più come prima. O, meglio, sarà come prima, ma molto più vivido, molto più particolareggiato.

La massa più o meno ordinata, cui avrete dato una forma più o meno definita, è lì, in attesa. In attesa di cosa? Che le infondiate la vita.

Ma infondere la vita, si sa, è una cosa complicata.

Il cuore, ad esempio, batte. Voglio dire, batte a un ritmo preciso. Tutti sanno a che ritmo batte il cuore, tutti lo riconoscono. Un cuore qualsiasi è un cuore, nessuno può sbagliare quando ne sente il ritmo. «È un cuore!» direbbe chiunque.

Anche il vostro romanzo ha un cuore. E che ritmo ha?

Il vostro romanzo, che ritmo ha?

Insomma, qualunque sia il cuore del vostro romanzo, non lo farete battere con una semplice decisione. Dovrete esserne consapevoli e, per quanto possibile, infondere la vita con coerenza e chiarezza d’intento, in ogni scena che affronterete, perché ogni scena sarà un battito. E ogni scena dovrà battere nel modo giusto.

Il vostro romanzo, salvo in rari casi, sarà suddiviso in scene. E soltanto l’unione delle scene, dei battiti, farà sì che il lettore riconosca nel ritmo del vostro romanzo un cuore… qualcosa di vivo.

Le tipologie di scene che affronterete sono virtualmente infinite, ma a mio avviso si può tentare di riunirle in tre grandi gruppi. Vi troverete ad affrontare scene in cui domina l’azione, scene in cui sarà protagonista l’introspezione e scene in cui dovrete principalmente descrivere (mostrare).

Perché questa suddivisione? Presto detto: il ritmo.

Stiamo parlando della narrazione, giusto? Non posso certo dirvi come scrivere e non ne sarei capace nemmeno se me lo chiedeste: siamo tutti diversi, non esistono regole (se non quelle grammatico-sintattiche). Lo scopo di questi miei scritti, relativamente alla narrazione, è porre l’accento su alcune questioni che ritegno fondamentali per la riuscita di un romanzo (fantasy); altri giudicheranno fondamentale qualcos’altro.

A conti fatti, sarò sincero: la narrazione è l’aspetto di “Un nuovo mondo” più difficile da affrontare, sotto ogni punto di vista.

Come ho scritto più volte, saper scrivere non significa saper narrare.

Saper narrare significa anche saper imporre un ritmo alle proprie parole, cosa che molto spesso non viene presa in considerazione agli inizi (e cosa su cui io stesso mi sono soffermato in ritardo, faticando per recuperare il terreno perso). Ma, badate bene: il ritmo non è una cosa che vi deve assillare mentre scrivete la prima stesura.

Il ritmo, e i suoi cambi, deve diventare qualcosa di quasi naturale.

Torniamo alle tipologie di scene.

Una scena d’azione deve avere un ritmo molto diverso rispetto a una descrittiva, e diverso sarà anche quello dell’introspettiva. Per farvi capire cosa intendo, scendo un po’ più in dettaglio con quelle d’azione; ma il discorso, è chiaro, ha infinite variabili.

Di solito le scene d’azione devono fluire più velocemente, dando al lettore la sensazione degli eventi che si susseguono uno dopo l’altro, senza inutili interruzioni causate da fronzoli narrativi.

In una scena di battaglia, ad esempio, se volete trasmettere il caos al lettore, non dovete descrivere minuziosamente tutto ciò che accade. Paradossalmente, dovrete descrivere il meno possibile proprio nelle scene in cui avreste più particolari da descrivere. Questo perché così guiderete il lettore in modo più diretto verso la meta che avete scelto per lui, lasciando alla sua immaginazione il compito di riempire i buchi descrittivi (che buchi non sono, se consapevoli).

Se la vostra battaglia viene vissuta da un personaggio preciso, in terza persona limitata, ovviamente il lettore vedrà ciò che il personaggio è in grado di vedere; non altro. Poniamo che il protagonista della scena vivrà la battaglia combattendola; sarà un guerriero, non uno stratega.

Ed ecco che entra in gioco il ritmo. Se a un certo punto un nemico gli sta calando addosso una mazza ferrata, è improbabile che il protagonista pensi al suo colore; non è nemmeno detto che la riconosca per quello che è (una mazza ferrata), magari vedrà soltanto qualcosa calargli addosso. Piuttosto che descrivere la mazza ferrata – cosa inutile, sarà una delle tante mazze ferrate della battaglia -, potreste dare breve spazio a un lampo dei suoi pensieri. O semplicemente lo farete rotolare di lato, evitando che l’arma gli fracassi il cranio. A questo punto, nessuno saprà che si trattava di una mazza ferrata (tranne l’autore e anche lui forse se ne sarà dimenticato a stesura definitiva ultimata). Quello che conta, però, è che il lettore viva l’evento come improvviso, avvertendo che la morte manca d’un soffio il protagonista.

Spero di essermi spiegato.

Ovviamente, nelle scene d’azione non rientrano soltanto gli scontri armati. È azione anche un rito magico o un personaggio che scala una parete rocciosa o una ladra che penetra di soppiatto nel covo nemico, eccetera eccetera. Prendiamo il rito magico: il ritmo potrebbe essere meno incalzante di quello di una battaglia, potrete permettervi di essere più descrittivi, o dovrete esserlo per rendere giustizia al rito stesso.

Le scene introspettive, invece, di solito hanno un ritmo tutto loro, ipnotizzante, se volete (o, diciamo, sarebbe auspicabile l’avessero). Spesso descrivono processi mentali delicati, reazioni emotive difficili da comunicare. È necessario che il ritmo sia sufficientemente blando da permettere al lettore di far propri i vostri ragionamenti e, nel contempo, non diventi troppo lento da annoiare.

Il ritmo delle scene descrittive varia molto, a seconda di ciò che si sta mostrando. In questa tipologia di scene, la cosa più difficile da fare è narrare con belle parole, più che dare un giusto ritmo. La scelta della parole, ovviamente, farà la differenza tra il mostrare e il dire. Ma ancora una volta sarà importante anche il ritmo, che renderà più o meno incisive le parole stesse.

E ancora, è valido tutto e il contrario di tutto. Non prendete queste mie parole alla lettera, erano soltanto degli esempi. Un personaggio angosciato, ad esempio, potrebbe ingenerare una scena introspettiva incalzante, con una prosa volutamente singhiozzante, sincopata.

In ogni caso, il concetto è che il ritmo è fondamentale. È qualcosa di non visto, qualcosa che soltanto chi legge analizzando un testo dovrebbe percepire. Il lettore non deve esserne consapevole, perché nel momento in cui lo diviene, significa che il ritmo non è quello giusto (o, più di rado, che il ritmo non gli è congeniale).

Se il lettore sente una scena veloce, potrebbe giudicarla frettolosa. Se ne sente una lenta, potrebbe giudicarla noiosa. Contrariamente, se vede soltanto quello che voi gli mostrate, giudicherà le scene d’azione avvincenti e quelle introspettive interessanti. E così via…

Quello che conta è chiedersi che ritmo volete infondere alla singola scena e quale volete che sia il risultato della somma delle singole scene.

Se ogni singola scena avrà il battito giusto, il vostro romanzo pulserà di vita propria; non soltanto nelle vostre mani. Il lettore percepirà il pulsare e lo vivrà.

Nel prossimo capitolo affronterò nello specifico la scena, come unità narrativa fondamentale.