– Erano nove, incluso Uhn.

Dàhar scoppiò a ridere e Fèral decise che quell’uomo le piaceva: era di poche parole e non aveva battuto ciglio vedendo il suo aspetto. Una sola cosa non la convinceva: quando sorrideva, l’unico occhio sano restava gelido.

Sangue e rocce, dolore e Vuoto.

– Sono vicini – disse Fèral sfiorando il suolo col naso. – L’odore di Kug è fortissimo, non posso sbagliare.

Dàhar sospirò. – Non li avrei mai trovati da solo.

Fèral annuì. – Eh già! Nella foresta ci saresti riuscito, forse – si voltò a guardare il compagno e gli sorrise, – ma non su questo costone roccioso. Il Massiccio del Drago è impervio e… – s’interruppe: c’era qualcosa di strano.

L’uomo se ne accorse. – Che c’è?

– E’ l’aria – rifletté pensierosa.

– Ebbene?

– L’odore è più forte da qui in poi, come se…

– …ci fossero passati due volte! – sussurrò Dàhar.

Un grugnito poderoso esplose sulla cengia; Fèral ebbe solo il tempo di guardare in alto, lungo il crinale, poi Kug le fu addosso; fece per azzannarla, ma lei era pronta: saltò scalciando verso il basso, colpendolo sulla testa. Sentì le unghie che intaccavano l’osso e sorrise di soddisfazione. Quando fu di nuovo coi piedi per terra, una fitta al fianco la costrinse a piegarsi e Kug si avvalse del vantaggio offertogli: protese il collo taurino, ma lei lo afferrò per tenere le zanne lontane dalla propria carne.

Cadde di schiena, col mostro che le sanguinava sulla faccia.

Successe tutto in un attimo: il latrato della belva che piombava su Fèral, la cacciatrice che si difendeva rotolando avvinghiata all’assalitore.

Dàhar mise mano alla spada per aiutarla

– Fermo, cane! Non ti lascerò uccidere il mio Kug. – La voce di Uhn lo distrasse costringendolo a voltarsi: il bandito era un ometto basso e calvo, poggiato a un bastone che terminava con una falce.

– Il tuo aspetto non rende giustizia alla taglia che hai sulla testa – gli disse senza celare il disprezzo.

Uhn attaccò in silenzio, ma Dàhar si sottrasse al primo fendente e colpì per decapitare l’avversario, che fece un passo indietro per riprendere le distanze e sfruttare la lunghezza dell’arma, ma Dàhar fu più svelto: ridusse di nuovo lo spazio che li separava e gli affondò la spada in gola.

– Deludente – disse mentre ripuliva la lama.

Fèral capì che non avrebbe avuto la vendetta che cercava: il fianco le doleva togliendole forza, mentre l’odore del sangue rinvigoriva Kug. Il mostro dischiuse le fauci a un palmo dal suo naso: erano irte di zanne irregolari, che sembravano gettate alla rinfusa.

Una bava appiccicosa le colò sulla faccia, poi Fèral scorse qualcosa crescere in quella bocca e seppe che sarebbe morta; un grumo di carne si muoveva in fondo alla gola: era come se premesse per uscire. La pelle si aprì e il sangue di Kug si unì alla saliva quando una sporgenza acuminata emerse dalla ferita.

Fèral rimase interdetta: il mostro divenne immobile, più pesante, ribaltò gli occhi e cadde di lato. Dàhar estrasse la spada dalla testa di Kug e porse la mano alla cacciatrice, aiutandola a rialzarsi.

– Come va? – chiese Dàhar, senza riuscire a mascherare l’apprensione.

Fèral si mise in piedi grugnendo per lo sforzo. – Bene, ora che è morto! – disse lei sputando sul corpo di Kug.

L’uomo usò la spada per decapitarlo.

– Non vorrai portare quella testa alla Gilda? – obiettò la cacciatrice. – Non ti ricompenseranno mai per una cosa simile!

– Non è detto – fece per iniziare Dàhar raccogliendo il trofeo, ma non finì la frase: Fèral gli si gettò addosso facendolo cadere sul fianco. L’uomo sentì un oggetto passargli vicinissimo alla testa, con un sibilo funesto.

Quando riuscì a rialzarsi, lesse il dolore sul volto della cacciatrice, ma anche la paura.

– Che fai? – le chiese. Voleva aiutarla a sollevarsi, ma lei tese un braccio a indicare qualcosa.

Dàhar si voltò: Uhn era ancora vivo, brandiva la falce e la gola non era più squarciata.

– Quella cagna ti ha salvato una volta – disse il bandito, – ma adesso la facciamo finita! – Fece cadere l’arma e dalle dita prese a gocciolare un liquido bianco, che sollevava nuvolette di fumo quando toccava terra.

Fèral arricciò il naso. – E’ veleno, o peggio.

– Sta’ indietro – le disse Dàhar con un tono che non ammetteva repliche.

– E’ pericoloso sia per me che per te! – la cacciatrice pretendeva di aiutarlo. – In due avremo più possibilità di batterlo.