I due giapponesi, piazzati vicino alle cosiddette Galapagos d’Oriente, sono come al solito attenti all’osservazione delle acque nell’attesa del passaggio di un qualche esemplare marino eccezionale. Nemmeno loro saprebbero dire cosa diamine gli passa per la testa, quando nei monitor vedono un’ombra lunga quanto un sottomarino passare nell’acqua trasparente, un chilometro sotto la barca. Ma non é un sottomarino, è qualcosa di più inquietante, di vivo; e si sta avvicinando.
L’ombra sale sempre di più, verso lo scafo. I due studiosi non sanno se preoccuparsi o fremere d’eccitazione. Ma qualunque cosa sia, è ancora lontana, c’è tempo per pensare. Un attimo dopo un tentacolo spunta dall’acqua e si lega alla barca, che vacilla pericolosamente. Il tempo di sistemare qualche dettaglio tecnico e sopra lo schermo ultrapiatto della macchina per le fotografie di profondità appare l’occhio enorme di un calamaro.
Spaventi a parte, vengono scattate 500 fotografie, prontamente inviate alla Royal Society di Londra.
Il mostro lotterà per ben cinque ore prima di essere liberato, e perderà un tentacolo.
Un vero mostro
Nel corso della storia, l’uomo dev’essere entrato in contatto con questi animali parecchie volte, ma mai prima erano state raccolte prove di un animale vivo. Tutto ciò che sapevamo arrivava da resti piaggiati spesso incompleti o da esemplari pesantemente mutilati rimasti impigliati nei peschereggi d’altura.
Sono rimasti un po’ tutti sorpresi nello scoprire che questa specie, l’Architeuthis, possa essere così aggressiva, specie vicino al pelo delle acque.
Circa un anno dopo l’incredibile scoop naturalistico viene pubblicato sulla prestigiosa rivista inglese Proceedings of the Royal Society, dove il nostro tentacolato amico si guadagna il titolo di grande predatore delle profondità oceaniche.
Niente di strano, visto che stiamo parlando di esemplari che possono arrivare a pesare fino a otto tonnellate, con tentacoli che portano ventose più larghe di mezzo metro, corredate da un bordo di aculei chitinosi molto taglienti.
I calamari giganti sono sia prede che predatori dei capodogli. I cuccioli del grosso cetaceo sono ovviamente preda ambita per i tentacoli del nostro protagonista; se il piccolo sopravvive le cicatrici circolari lasciate dalle ventose col tempo cresceranno con lui, ed ecco spiegato l’errore di Pontoppidan nel calcolo della lunghezza del mostro.
Infatti, nella mitologia norreana (quella dei Vichinghi dove Odino è padre degli dèi nella dorata Asgard, al di là del Ponte d’Arcobaleno) il mostro compare spesso, ma senza esser mai definito con un nome specifico. Sta di fatto che pare debba riemergere in superficie alla fine del mondo, proprio come il serpente Miðgarðsormr.
Il Kraken compare nella cultura popolare di tutte le genti di mare del nord Europa; l’aspetto e le dimensioni sono più o meno sempre le stesse: un calamaro o un polipo gigante, lungo cento o duecento metri, in grado di ghermire anche le navi più grandi.
Le versioni più colorite gli attribuiscono la capacità di riconoscere gli uomini malvagi, e di sobbarcarsi il compito di trascinarli sul fondo dell’oceano.
Secondo lo svedese Jacob Wallenberg, contemporaneo di Pontoppidan, il Kraken, lungo quasi 16 chilometri, rimane sul fondo dell’oceano per mesi, per poi riemergere quando sente l’arrivo di una flotta.
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