Se vuoi imparare a scrivere, devi prima leggere molto. È questo il consiglio che ogni aspirante scrittore si sente rivolgere più spesso.

Ma, a vedere ciò che sta facendo Brandon Sanderson in questo periodo, il consiglio sembra valido anche per chi è già un autore affermato.

Non c’è dubbio infatti che lo scrittore di Lincoln, un libro dopo l’altro, stia leggendo – o meglio rileggendo – molto. Undici romanzi in breve tempo, al solo scopo di studiare lo stile di scrittura di Robert Jordan e il modo in cui questi faceva muovere i suoi personaggi.

Al momento è arrivato a Il Signore del Caos, sesto romanzo del ciclo La Ruota del Tempo e, come di consueto, ha inserito sul suo blog alcuni messaggi per riassumere le sue impressioni. Anche se tiene a precisare che le righe che scrive sono più un modo per informare i fan del punto in cui si trova, e delle emozioni suscitate in lui dalla lettura, che una vera e propria analisi dei vari libri.

Per quanto riguarda Il Drago rinato, Sanderson ha confessato che prima di riaprire il libro non ricordava bene quali avvenimenti riguardasse.

La copertina dell’edizione in suo possesso mostra la caduta della Pietra di Tear, ma tutto il resto rimaneva abbastanza confuso nella sua memoria. Le pagine dedicate a Egwene e alla sua esperienza fra i Seanchan, che ricordava come appartenenti a questo romanzo, si trovavano invece ne La grande caccia, mentre di altri fatti ha costatato con sorpresa che sono raccontati ne L’ascesa dell’Ombra.

 

Dopo un centinaio di pagine, finalmente si è ricordato. Questo è il romanzo nel quale Rand sparisce.

Come si vedrà meglio nei successivi libri della serie, personaggi fino a quel momento visti come comprimari assurgono a un ruolo da protagonista, mentre al Drago sono dedicati solo brevi accenni.

Anni fa questa sparizione non gli era piaciuta. Ora si rende conto che La Ruota del Tempo più che essere la storia di Rand è quella della fine di un’era. L’elemento centrale non è una singola persona – per quanto importante – ma un intero mondo e tutta la gente che lo popola.

E così, adesso adora leggere i differenti punti di vista, che gli consentono di conoscere meglio il Mondo della Ruota e i diversi luoghi dei quali conta di iniziare a scrivere nel giro di un mese.

Fra la fine de La grande caccia e Il Drago rinato Rand cambia tantissimo. Questo cambiamento, però, con suo grande dispiacere, non viene mostrato durante il suo accadere ma solamente come un fatto compiuto. Per il lettore, i modi dell’evoluzione interiore del giovane pastore sono inconoscibili, perduti per sempre.

Un amico di Sanderson gli ha recentemente spiegato che Jordan vedeva nella trasformazione di Rand una metafora del suo stesso cambiamento durante gli anni del Vietnam.

A suo giudizio, giudizio condiviso dallo stesso Brandon, l’esperienza del personaggio era troppo vicina a quella del suo autore perché questi riuscisse a scriverne.

L’unico altro elemento che non gli è piaciuto riguarda un personaggio che è sempre stato fra i suoi favoriti: Moiraine.

Sanderson non ha nulla da ridire quando l’Aes Sedai rimprovera Mat – anzi, lui se lo merita. Nulla da dire neanche nel fatto che cerchi di guidare Rand, considerando che un suo errore può tranquillamente annientare una città, ma perché continua a stare addosso anche a Perrin? Lui non lo merita.

Anzi, il giovane fabbro è protagonista del momento migliore dell’intero romanzo. Il mettersi a lavorare alla forgia, lottando contro i suoi tumulti interiori e contro ciò che è avvenuto nei capitoli precedenti, il tutto narrato con una prosa dalla bellezza straordinaria, è qualcosa che lo ha colpito profondamente, e gli ha ricordato perché ama così tanto questo personaggio.

Per quanto riguarda L’ascesa dell’Ombra, anche se si tratta di un libro dalle notevoli dimensioni la presenza di un gran numero di personaggi non glie lo ha mai fatto sentire davvero lungo.

Anche lui ha sentito le lamentele di alcuni fan circa il numero di personaggi presenti nell’intera serie, ma è proprio questo, a suo giudizio, l’elemento che la fa funzionare tanto bene. Solo un gran numero di personaggi, e di numerosi fili della trama, possono giustificare un’opera di 400.000 parole.

La parte che più gli è piaciuta è quella in cui Rand rivive la storia degli Aiel e dei Tuatha’an.

Questi romanzi sono straordinari perché, qualunque sia il punto di vista del momento, Jordan era in grado di renderlo vivo e reale, e di fornirgli delle motivazioni razionali, anche se a volte diaboliche.

Queste scene ambientate nel passato ne sono uno straordinario esempio. Noi non abbiamo mai incontrato prima questa gente, ma le loro vicende sono interessanti da leggere tanto quanto quelle dei personaggi principali.

È questo il salto che i lettori devono compiere per apprezzare davvero la serie. Non possono essere così attaccati a Rand, Mat, Egwene e Perrin da non voler conoscere le straordinarie caratterizzazioni degli altri popoli che abitano il Mondo.

Coloro che non riescono a fare questo salto tendono a lamentarsi che la storia si sia persa per strada, e non abbia più una direzione precisa. Ma chi riesce a farlo si trova in una storia infinitamente più complessa e profonda rispetta a qualsiasi altro fantasy, legato invece a strutture e caratterizzazioni molto più tradizionali.

La seconda parte preferita da Sanderson è legata a Perrin e Faile. A suo giudizio il fatto che quest’ultima non sia molto amata dai lettori dipende dal non averla capita.

All’inizio lei è davvero noiosa, infantile e petulante, ma questo significa che ha maggiori possibilità di crescita. E cresce davvero.

All’inizio del romanzo lei e Perrin sono protagonisti di una relazione molto immatura, ma prima della fine entrambi sono cambiati. Perrin ha imparato a essere un leader, mentre Faile ha imparato a lavorare con lui, invece di limitarsi a cercare di imporsi con la forza per restare al suo fianco. Questa – a suo giudizio – è una lezione molto importante per una nobildonna, e soprattutto una che doveva essere imparata.

La rilettura de I fuochi del cielo ha confermato a Sanderson un’impressione che aveva già avuto. Secondo lui i romanzi, in particolare i primi cinque, sono stati concepiti per essere letti l’uno dopo l’altro.

Anche se ogni volume ha il suo climax, la sua sensazione è sempre stata che ogni fine non è davvero la fine, come ogni inizio non è davvero l’inizio – elemento che naturalmente fa parte del tema centrale della serie.

Gli piace il modo in cui i libri sono legati fra loro, ognuno dotato di un proprio tema ma senza perdere un senso di continuità con ciò che avverrà dopo.

La sua curiosità si è concentrata su Egwene, e sul cambiamento del suo carattere, e ha scoperto di trovarla sempre meno simpatica, mentre continua a crescere il suo apprezzamento per Nynaeve ed Elayne, per non parlare di Aviendha.

Nynaeve in particolare cresce molto, in particolare quando scopre che non può basare le sue azioni sull’odio per Moiraine e sceglie di dedicarsi alla guarigione.

Interessante è anche la sparizione di Perrin, che riecheggia quella di Rand nel terzo romanzo e sottolinea che la serie si sta espandendo, per occuparsi di una gamma sempre più vasta di personaggi.

Rileggendo e aspettando l’accadere degli eventi, Sanderson si scopre sempre più interessato ai “personaggi secondari”. Anche se una cosa che questa saga gli ha insegnato è che non ci sono davvero personaggi secondari e protagonisti. Tutti sono importanti.

È vero, i ta’veren determinano in larga misura ciò che accade agli altri, ma le vicende di Siuan e Morgase sotto molti aspetti sono importanti quanto quelle di Egwene ed Elayne.

Proprio Siuan è protagonista della sua seconda trama preferita nel romanzo. Nel ciclo ci sono un’infinità di racconti relativi a persone comuni divenute per qualche motivo importanti. È interessante vedere il rovescio della medaglia, e osservare la vita di un personaggio importante costretto all’improvviso a diventare una persona qualsiasi.

La storia che preferisce, però, è quella di Mat. Finalmente, quasi contro la sua volontà – il che rende il tutto più interessante – il personaggio inizia a brillare di luce propria. I momenti della battaglia in cui cerca di fuggire, solo per scoprirsi incapace di abbandonare i soldati al loro destino sono potenti e spingono a riflettere.

È interessante anche il fatto, notato da molti lettori, che lo scontro finale fra Mat e Couladin non venga narrato nel suo svolgersi. Questa potrebbe essere un’indicazione del fatto che Robert ritenesse più importanti i conflitti interiori dei personaggi, più che le scene di guerra vere e proprie.

Sedersi insieme a Mat mentre riflette su ciò che è appena avvenuto è un’esperienza interessante, che oltretutto consente, tramite i flashback, di vedere lo scontro stesso.

Ovviamente non è un tipo di struttura che può essere usata troppo spesso, ma in questo caso funziona benissimo.

L’ultimo pensiero su questo romanzo in realtà è rivolto all’avvenire. Sanderson è impaziente di vedere il momento in cui le Sapienti scopriranno che Egwene ha mentito. La ragazza ha bisogno di imparare un po’ d’umiltà.

Commentando Il Signore del Caos Brandon torna a riflettere sulla struttura della saga, con qualche riflessione lievemente diversa rispetto a quanto aveva scritto prima.

La sua tendenza, dice, è probabilmente quella di vedere strutture anche dove non ve ne sono, ma, mentre i primi tre libri erano centrati ognuno su un grande evento – come la cerca del Corno o la caduta della Pietra – i tre successivi cambiano la direzione della serie, spingendola verso una trama molto più complicata.

Ognuno di questi libri centrali sembra contenere un numero molto più ampio di sottotrame, obiettivi e motivazioni personali.

I romanzi dal quarto al sesto sono legati fra loro in maniera molto più stretta rispetto ai primi tre, quasi come se fossero un unico, immenso, volume, con linee sfumate che li separano l’uno dall’altro.

Sanderson non è in grado di dire se questa fosse l’intenzione originaria di Jordan o se la storia abbia semplicemente preso questa direzione, lui si limita a segnalare ciò che percepisce.

Comunque questa svolta, pur senza diminuire minimamente il piacere di rileggere i primi romanzi, rende l’intera saga molto più affascinante.

Una serie di queste dimensioni non sarebbe potuta esistere narrando le vicende di solo uno o due personaggi. Nelle serie in cui questo avviene la caratterizzazione è – a suo giudizio – piatta. Ci si può concentrare solo per un determinato periodo di tempo su un unico personaggio senza diventare ripetitivi o senza cadere nel ridicolo.

Espandendo la storia oltre ciò che in un primo momento poteva sembrare un semplice viaggio dell’eroe, Jordan ha creato qualcosa di infinitamente più affascinante.

Tuttavia, cambiando la direzione alla serie ha anche corso un grosso rischio. Molti scrittori scelgono la strada più semplice e narrano la stessa storia più volte, cambiando semplicemente il nome ai personaggi.

Questo è confortevole per i lettori, ma non è significativo per la narrativa, e a suo giudizio non può portare alla grandezza.

Invece di compiere questa scelta Robert ha preferito espandere la trama inserendo dozzine di personaggi secondari e costruendo qualcosa che è molto più vasto e complesso rispetto a quanto sembrerebbe a un primo sguardo.

L’ascesa dell’Ombra, I fuochi del cielo e Il Signore del Caos sono strettamente legati fra loro, ma anche distinti l’uno dall’altro. La storia si muove, procede, cresce, e alla fine i personaggi sono molto diversi rispetto a quelli che erano all’inizio.

Forse – riflette Sanderson – avrebbe dovuto concentrarsi maggiormente su ciò che avviene e che gli piace in questo sesto volume, ma poiché lui è colui che – per quanto in maniera non adeguata – completerà l’opera di Jordan, reputa più importante concentrarsi sull’insieme che non sui dettagli.

Anche questi ultimi sono importanti, ma se vuole realizzare un buon romanzo deve capire – capire davvero – cos’è che ha reso grande la serie.

Lui potrà non essere in grado di scrivere esattamente le parole che avrebbe scritto Jordan, ma ritiene che se riuscirà a raggiungere correttamente lo SPIRITO del libro, le parole esatte non conteranno.

Comunque, come commenti finali ci segnala che il suo personaggio preferito del romanzo è Lewis Therin, e che la sua interazione con Rand è straordinaria. Il lettore viene messo continuamente nella condizione di chiedersi quanto sia presente la follia e quanto sia forte nella testa di Rand la presenza di un’altra anima.

Ogni dialogo ci fornisce informazioni sul contesto, approfondisce la personalità di Rand e aumenta la tensione della trama ponendo interrogativi sulla sua sanità mentale. Senza dimenticare qualche occasionale risata durante gli scambi verbali, il dolore per la tragedia di cui è stato protagonista Lews Therin e il senso di mistero presente nei tentativi di Rand di interagire con lui.

Magistralmente scritto.

Un secondo elemento da segnalare è il finale. È semplice sottovalutarlo pensando alle conclusioni del secondo e del terzo romanzo, ma questo è comunque uno fra i più intensi dell’intera serie. È molto ben preparato e meravigliosamente raccontato.

In attesa delle riletture dei prossimi romanzi de La Ruota del Tempo, per il momento è tutto.