Il curriculum di Justin Dec lo ricorda come regista di qualche cortometraggio, ma soprattutto come factotum da set cinematografico, un ruolo professionale che l’ironica serie di Boris considerava al pari della schiavitù. Countdown è per Dec una scommessa, una via di fuga dalla decennale esperienza nelle retrovie, una promessa di riscatto che, tuttavia, si infrange contro la mancanza di gavetta e svilisce il valore artistico del suo operato.

Trama – Epoc

L’infermiera Quinn Harris (Elizabeth Lail) si imbatte in un paziente terribilmente agitato che, adducendo a una previsione di morte ricavata da un’app del cellulare, si rifiuta di entrare in sala operatoria. Lo staff dell’ospedale, mosso da ludica curiosità, decide di scaricare tale software e Quinn scopre di non avere che pochi giorni da vivere, finendo con il trascorrere il fatale lasso di tempo a indagare su potenziali scappatoie per ingannare la morte.

Tecnica – BB

Countdown si ispira esplicitamente a stimati predecessori quali Final Destination e The Ring, ma dichiarare le proprie fonti d’influenza non condona l’abuso di un atteggiamento eccessivamente citazionista. Il testo, vergato dallo stesso Justin Dec, passa più tempo ad ammiccare a film migliori che a esplorare una propria identità. Sembra di assistere a una fanfiction con poche idee e ancora meno buongusto: dalle stoccate al movimento MeToo all’inserimento forzato di elementi comici atti ad alleviare una tensione nonesistente, ogni elemento pare raffazzonato, privo di focus e immaginazione. Il brivido, impossibilitato a intraprendere un percorso di crescita, viene frustrato e sostituito criminosamente da una serie di banali jump-scare. La trama si inalbera rovinosamente tra il voler spiegare troppo e, al contempo, troppo poco, smarrendosi in un dedalo di buchi narrativi e conclusioni affrettate. 

Justin Dec non riesce a intrattenere neppure con il peccaminoso piacere dello splatter. Per ottenere una classificazione PG13, cioè per poter accogliere un pubblico di teenager, la pellicola si castiga, privandosi dell’uso enfatizzato e puerile dell’orrido. Anche alcuni grandi registi – si vedano Sam Raimi e Peter Jackson – hanno debuttato con film sempliciotti, ma loro hanno fatto la storia grazie a un atteggiamento passionale, divertendo e divertendosi con un uso ludico del “gore”. Dec non stupisce sul piano tecnico, non si fa portatore di nuove idee e non dimostra alcun impeto d’amore verso la propria creatura.

Conclusioni – Tizen

L’idea di base di Countdown è semplice: demonizzare – in senso letterale – i contratti di servizio informatici. Per sopravvivere nella nostra società, così intasata da papiri scritti in fitto burocratese, è ormai indispensabile accettare ciecamente ogni condizione propostaci, pregando ogni giorno che la cosa non ci si ritorca contro. Dalla vendita dei dati personali ad abbonamenti che si rinnovano a oltranza, i potenziali danni sono incalcolabili e fomentano il terrore di molti utenti, soprattutto quelli poco avvezzi alla tecnologia.

Alla base, Countdown è un horror poco innovativo le cui tematiche avrebbero potuto attecchire e toccare la sensibilità degli spettatori, ma il regista/autore non è stato in grado di preservare né una coerenza narrativa né una atmosferica, quindi ha cercato di aggrapparsi disperatamente ai classici del cinema pur di sopravvivere alla melma da lui stesso generata, ma finisce comunque col naufragare in un mare di banalità. Countdown è un empio prodotto nato per fare soldi facili durante halloween, ma in Italia è uscito tardivamente e ha perso anche l’ultimo elemento in grado di garantirgli un minimo di rilevanza. Una pellicola più vicina al terribilmente vuoto Slenderman di Sylvain White che allo zoppicante Drag me to Hell di Sam Raimi.