La piccola Wen e i suoi due papà sono in Pennsylvania per trascorrere una tranquilla vacanza in un cottage immerso nei boschi, lontano da tutto. Mentre sta cercando delle cavallette per studiarle viene avvicinata da Leonard, un omone dall’aspetto minaccioso ma che rassicura la piccola, dicendole che non ha brutte intenzioni. Insieme a lui si presentano alla villetta altri tre individui armati con delle strane mazze, che bussano insistentemente alla porta per cercare di entrare. Vogliono a tutti i costi parlare con Eric e Andrew, i papà di Wen, e quando riescono a penetrare in casa li legano a delle sedie giurando però di non voler far loro del male. Tutti e quattro hanno avuto visioni apocalittiche sulla fine del mondo e un’indicazione precisa: recarsi in quel cottage e chiedere alla famiglia che vi avrebbero trovato di sacrificare volontariamente uno dei suoi membri. Solo con l’omicidio scelto di uno dei tre l’Apocalisse essere sventata.

Dal Il sesto senso in poi M. Night Shyamalan è celebre per usare nei suoi film un finale in grado di spiazzare lo spettatore, con successi assai alterni. È quello che succede anche in Bussano alla porta, che pare un home invasion dove però sono ribaltati tutti i cliché: gli estranei infatti non vogliono far del male a nessuno anzi, sono loro stessi a farsi del male. Per questo è perfetta la scelta di far interpretare a Dave Bautista un insegnante delle elementari e di coinvolgere Rupert Grint ormai visto in tanti ruoli da pazzo instabile. Un altro elemento riuscito è la capacità di usare una coppia gay in modo funzionale alla storia e non nell’ottica di una politica di inclusione a tutti i costi. I pregiudizi vissuti da Eric e Andrew, la loro idea di che cosa sia una famiglia e il desiderio di completarla con l’adozione di Wen, tutto mostrato in brevi ma essenziali flashback, traccia parallelismi tra le scelte che impone loro la società e quella che il gruppo di sconosciuti vuole spingerli a prendere. Sono proprio i preconcetti di cui sono stati vittima a legittimare il dubbio nello spettatore se i quattro non siano solo dei fanatici intolleranti. Per questo Bussano alla porta, così come gli altri film di Shyamalan al di là degli elementi horror o fantascientifici sono un giallo da risolvere: la famiglia è sottoposta a una sorta di strano esperimento come si potrebbe dedurre dall’incipit con Wen e le sue cavallette da studiare, oppure è vittima di una setta di invasati, o sta davvero arrivando l’Apocalisse?

A differenza di quello che fa Paul Tremblay nel suo romanzo da cui il film è tratto, dove sceglie una conclusione ambigua, Shyamalan com’è nel suo stile fornisce una spiegazione chiara. Alle volte il gioco riesce come nel caso di The Visit, altre volte no (Signs, The Village), ma al di là del genere scelto, per lui il giallo ha bisogno di una risoluzione (Old, Split, ecc). È naturale però che se il gioco sta tutto lì, quando la spiegazione è poco efficace tutto rischia di crollare. Purtroppo è ciò che accade in Bussano alla porta che usa argomentazioni talmente superficiali da convincere solo chi ha già un’idea pregressa di quale sia la giusta morale della storia e a cui, vien da dire, non crede neppure Shyamalan.