Premesso questo, va da sé che, nell’economia di qualunque racconto Fantastico, se il/la protagonista si accontentasse della vita comune, magari in compagnia del Fantozzi della porta accanto, non ci sarebbe alcuna storia meritevole di essere narrata. Il modulo del Fantastico è infatti, per sua stessa natura, quello dell’evento straordinario che irrompe nella vita della persona già poco convenzionale. E questo è perfettamente applicabile a Bella – adolescente un po’ misantropa e sui generis – e a tutto ciò che si trova ad affrontare.

Non a caso uno dei testi fondamentali in materia, L’Eroe dai mille Volti di J. Campbell, individua nei primi stadi di questi racconti i moduli chiamati ‘La Chiamata all’Avventura’ e ‘L’Attraversamento della Prima Soglia’ (5).

Nel corso della prima fase, l’eroe (o, nel nostro caso, l’eroina) è fotografato nel momento in cui è psichicamente maturo per affrontare la trasformazione che lo attende: nelle pagine introduttive di Twilight assistiamo infatti alla conversazione fra madre e figlia, da cui si evince che quest’ultima è in procinto di trasferirsi in un’altra città e cambiare radicalmente la vita che ha condotto sinora.

Nel corso della seconda, l’eroe/eroina viene a contatto, nelle parole di Campbell, “con una zona dagli incommensurabili poteri”. E’ ciò che accade a Bella quando, grazie alle leggende narratele da Jacob, ‘Guardiano’ ancora inconsapevole dell’area di soprannaturalità che circonda la cittadina di Forks, viene messa in grado di riconoscere la natura vampiresca di Edward.

Ma in mezzo a tutto ciò, il Corriere reitera, inesorabile, la propria tesi (casomai non l'avessimo capita):

[…] La stessa Bella, benché con il cuore sempre rivolto all'amore per il vampiro lontano, lascia trasparire una certa tensione erotica verso un simile maschio dichiaratamente innamorato di lei, palesemente premuroso, protettivo e dotato dell'indispensabile maledizione personale.

La potenza sessuale maschile diventa potenza fisica, bestiale, diventa effettiva trasformazione in un animale dalle dimensioni e dall'aggressività esagerata, una trasformazione che si manifesta non solo a piacimento ma anche nel caso di eccessiva eccitazione come si racconta (completando il cerchio della metafora) quando compare la ragazza del capobranco, orrendamente sfregiata in volto proprio per l'aver voluto consumare […].

A questo punto è ora di finirla: se si desidera seriamente individuare la cifra sessuale della saga, questa non risiede nella semplicistica e, come abbiamo visto, insussistente stigmatizzazione della consumazione dell’atto carnale, ma in quella, ben più potente ed evocativa, che risiede nel ruolo centrale del sangue, che è poi la 'presa' subliminale di tutte le storie di vampiri e che viene sfruttata, quasi sempre inconsciamente, dagli scrittori.

Il sangue è il motore della vita di un vampiro: il suo approvvigionamento è il pensiero primario e, in Twilight, tutte le sollecitazioni sensoriali sono sensibilissime a questo indice.

Ma il sangue è anche imprescindibile elemento della vita umana: ci accompagna alla nascita, ci permette di rimanere in vita, scandisce la maturità sessuale e i periodi di fecondità della donna, è presente durante il primo rapporto e infine durante il parto, chiudendo così il cerchio.

In aggiunta, come ci insegna l’antropologia (6), il sangue è anche, simbolicamente, il vessillo dell’anima. Accanto al mero ciclo biologico e riproduttivo, il sangue acquista allora una valenza ben più profonda di comunione fra due individui, racchiudendo in sé l’epitome di quella completezza che si accompagna unicamente a un rapporto maturo, che integri appunto l’aspetto corporeo a quello psichico e spirituale.

Il fatto che Edward e Bella consumino solo dopo il matrimonio (e che, per inciso, da lì in poi si sottolinei anche questo aspetto ingordo del vampirismo, cosa su cui, se la Meyer fosse bigotta quanto vogliono farla apparire, avrebbe potuto tranquillamente sorvolare) non è dunque la chiave di lettura della saga, è solo un fattore incidentale (tanto più che l’assunto del Corriere è smentito dal fatto che Bella, anche sposata, resta pur sempre, anagraficamente, un’ adolescente che fa sesso, mentre Edward, dal canto suo, è tutt’altro che adolescente, essendo ultracentenario).

Bella si offre infatti a Edward già molto prima che i due convolino a giuste nozze (a dispetto dei valori mormoni della sua creatrice) e se da un lato il rifiuto razionale di quest’ultimo è dettato da precauzioni per l’incolumità di Bella – che in quanto fragile umana potrebbe venire spezzata, in un momento di abbandono da parte di un vampiro, a causa della sua forza sovrannaturale – la spiegazione profonda di questa procrastinazione risiede nel fatto che la Meyer decide di portare entrambi alla fine del loro percorso individuale di crescita, dopo che insieme hanno affrontato i rischi e i pericoli della loro relazione (fermo restando che lo svolgimento dei fatti e l’epilogo possano, legittimamente, piacere o meno al lettore a seconda dei gusti).

Poiché così come non c’è storia da narrare scegliendo gente comune in vite comuni, così non c’è storia da narrare in personaggi che, anche se straordinari, non abbiano dinanzi a sé un cammino evolutivo da compiere (e sotto questo profilo, Edward, non essendosi mai innamorato prima, ha in materia amorosa la stessa esperienza fisica e psichica di Bella).

La storia è infatti il cammino stesso.

E’ se è pur vero che la costante sublimazione fra i due crea la tensione nella narrazione, essa non è causata dalla mostruosità del sesso in quanto tale ma, piuttosto, da un sesso fine a se stesso, così come viene svilito, mercificato, decontestualizzato oggi dalla nostra società.

Che poi tutto questo sia utile a insegnare alle nuove generazioni – ormai use a consumare sesso puro in età sempre più precoce – come l’atto possa avere molto più del sapore di un hamburger da fast food mangiato solo per dimostrare di aver raggiunto l’età adulta, personalmente non mi sembra assolutamente un male.

Mostrare ai più giovani che il sesso può diventare un pranzo di tre portate alla Gualtiero Marchesi -  se praticato non per mera sfida infantile  e se integrato in una relazione fra individui psichicamente maturi, che si prendono il tempo di arrivare a un tale stadio godendosi anche tutte le tappe intermedie – mi pare, semmai, un intento educativo lodevole e responsabile, anche se anacronistico e in controtendenza rispetto al ‘velinismo’ che ormai affligge la nostra società (non solo italiana).

E se pensarlo significa essere scioccamente etichettati come vecchi bigotti, includetemi pure (nonostante io mi professi laica): dell'etichetta di bigotta, in questa accezione, me ne vanterò.

Alla luce di tutta la mia disamina, mi sento di affermare che la cosa più interessante dell’articolo del Corriere si rivela il fatto che adesso questa testata abbia scoperto la funzione slideshow nelle immagini a corredo dei propri testi… E il Fantastico ringrazia per quest'ennesima, mancata occasione di proporre un approfondimento serio da parte di uno dei più importanti quotidiani nazionali.

Note

(1) B. BETTELHEIM, The uses of enchantment: meaning and  importance of fairy tales, A.A Knopf, New York, 1976, trad.it. Il mondo incantato – Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli, Milano, 1984.

(2) C.G. JUNG, Die Psychologie der unbewussten Prozesse (1917), trad. it. La Psicologia dei processi inconsci in La psicologia dell’inconscio, Newton Compton, Roma, 1989.

(3) M.L VON FRANZ, L’ombra e il male nella fiaba, Boringhieri, Torino, 1995.

(4) M.L. VON FRANZ, Le fiabe del lieto fine, Red Edizioni, Novara 2004

(5) J. CAMPBELL, The hero with a thousand faces, 1949,  Princeton University Press, New York, 1997.

(6) M. J. FRAZER – The Golden Bough – A Study in Magic and Religion, Oxford University Press, 1998.

(7) K.MEADOWS, Where eagles fly, Element Books, Shaftesbury, 1995; trad. it. La via degli sciamani, Armenia, Milano, 2004